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Benvenuto Cellini

Benvenuto Cellini (3 novembre 1500, Firenze - 13 febbraio 1571, Firenze), scultore ed orafo italiano.

La figura di Benvenuto Cellini emerge prepotentemente dalle pagine della Vita, la singolare autobiografia ch’egli iniziò a comporre quasi sessantenne. La sua fu una vita avventurosa, intensa, spericolata, piena di vicende romanzesche alcune buone, altre negative, le une e le altre poste dall’autore su di uno stesso piano di giudizio, nel senso che egli non seppe valutarle moralmente in modo diverso, proprio perché fu sempre incapace di discernere, almeno sotto certi aspetti e limiti, il bene dal male.

Nato a Firenze, visse dal 1500 al 1571 e fu orafo e scultore insigne. Tra risse e zuffe, e ferimenti ebbe una vita turbolenta che lo condusse a Siena, a Bologna e a Pisa. A Roma soggiornò dal 1523 al 1540, svolgendovi l’attività di orafo e di cesellatore, onorato da principi, uomini di lettere, prelati, e dallo stesso pontefice Clemente VII, che lo ebbe carissimo. Anche papa Paolo III Farnese lo protesse, nonostante la sua indole ribelle e sempre irrequieta. Ma altre sue intemperanze e ribalderie gli tolsero la protezione del Pontefice e finirono col condurlo al carcere di Castel Sant’Angelo, dove rimase rinchiuso per oltre un anno (1538-1539). Il Cellini era però convinto dì essere sempre dalla parte della ragione, le sue azioni, anche le più furfantesche, avevano per lui una logica l giustificazione.

Francesco I, re di Francia, lo protese accordandogli titoli ed onori (1540) ed affidandogli non soltanto lavori di oreficeria, ma anche opere decorative e monumentali. Dopo cinque anni però, inimicizie e gelosie alle quali egli reagiva violentemente, lo costrinsero a lasciare la Francia (1545); tornato a Firenze fu assunto al servizio di Cosimo I, per incarico del quale modellò in bronzo la statua del Perseo.

Opere

La Vita (autobiografia)

Le avventure del Cellini, il suo carattere irrequieto e bizzarro, balzano vivissimi dalla Vita. Lo stile, impetuoso, rapido, asintattico, il racconto serrato ed efficace, fanno di quest'opera un capolavoro.

La materia della narrazione è, spesso, la sua stessa arte di scultore e cesellatore, quanto alla veridicità del racconto, altre testimonianze hanno confermato l'esattezza di molti particolari, ma anche là, dove il Cellini inventa, ingrandisce, abbellisce, colora è con tutta la sincerità dell’artista e con l’atteggiamento spavaldo che gli fu proprio. Il valore dell’opera nasce anche dall'originale stile che rispecchia l'esuberanza dell'autore, la cui personalità domina l'intero libro. A rendere maggiormente viva e spontanea la prosa contribuisce la lingua, che è il fiorentino parlato dal popolo, tra il quale il Cellini, che pur trattava da pari a pari con pontefici e sovrani, aveva a Firenze relazioni d’affari ed amicizie e non solo col popolo minuto fatto di artigiani e operai, ma anche con gente equivoca che viveva ai margini della malavita. Cellini commise almeno tre omicidi, apertamente ammessi (due a Roma: quello dell’archibugiere che gli aveva ucciso il fratello e quello di un orefice che l’aveva diffamato presso il papa ed uno a Siena durante una rissa). In ogni pagina il Cellini si rappresenta come un eroe, qualunque cosa faccia, convinto della propria superiorità, tanto persuaso che neppur lui sa o vuole distinguere ciò che è vero e ciò che è fantastico. Verità e fantasia s'intrecciano e sì confondono con una spontaneità inventiva e poetica di un'originalità sorprendente. Episodi inventati, o esagerati senza misura, sono rappresentati così vivamente che ad essi non soltanto il lettore crede, ma lo stesso autore finisce col prestare fede.

La critica tradizionale parlava un Cellini incolto, ma la più recente valutazione, ha messo in rilievo una certa cultura, buone conoscenze letterarie, vaste cognizioni intorno all'arte. La Vita non è opera d'illetterato e il Cellini cercò assiduamente di dare alle sue pagine la migliore forma possibile.


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