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CANTO DECIMO


1
Fra quanti amor, fra quante fede al mondo mai si trovar, fra quanti cor constanti, fra quante, o per dolente o per iocondo stato, fer prove mai famosi amanti; più tosto il primo loco ch'il secondo darò ad Olimpia: e se pur non va inanti, ben voglio dir che fra gli antiqui e nuovi maggior de l'amor suo non si ritruovi;

2
e che con tante e con sì chiare note di questo ha fatto il suo Bireno certo, che donna più far certo uomo non puote, quando anco il petto e 'l cor mostrasse aperto. E s'anime sì fide e sì devote d'un reciproco amor denno aver merto, dico ch'Olimpia è degna che non meno, anzi più che sé ancor, l'ami Bireno:

3
e che non pur l'abandoni mai per altra donna, se ben fosse quella ch'Europa ed Asia messe in tanti guai,

4
Se Bireno amò lei come ella amato Bireno avea, se fu sì a lei fedele come ella a lui, se mai non ha voltato ad altra via, che a seguir lei, le vele;

5
E poi che nota l'impietà vi fia, che di tanta bontà fu a lei mercede, donne, alcuna di voi mai più non sia, ch'a parole d'amante abbia a dar fede. L'amante, per aver quel che desia, senza guardar che Dio tutto ode e vede, aviluppa promesse e giuramenti, che tutti spargon poi per l'aria i venti.

6
I giuramenti e le promesse vanno dai venti in aria disipate e sparse, tosto che tratta questi amanti s'hanno l'avida sete che gli accese ed arse. Siate a' prieghi ed a' pianti che vi fanno, per questo esempio, a credere più scarse. Bene è felice quel, donne mie care, ch'essere accorto all'altrui spese impare.

7
Guardatevi da questi che sul fiore de' lor begli anni il viso han sì polito; che presto nasce in loro e presto muore, quasi un foco di paglia, ogni appetito. Come segue la lepre il cacciatore al freddo, al caldo, alla montagna, al lito, né più l'estima poi che presa vede; e sol dietro a chi fugge affretta il piede:

8
così fan questi gioveni, che tanto che vi mostrate lor dure e proterve, v'amano e riveriscono con quanto studio de' far chi fedelmente serve; ma non sì tosto si potran dar vanto de la vittoria, che, di donne, serve vi dorrete esser fatte; e da voi tolto vedrete il falso amore, e altrove volto.

9
Non vi vieto per questo (ch'avrei torto) che vi lasciate amar; che senza amante sareste come inculta vite in orto, che non ha palo ove s'appoggi o piante. Sol la prima lanugine vi esorto tutta a fuggir, volubile e incostante, e corre i frutti non acerbi e duri, ma che non sien però troppo maturi.

10
Di sopra io vi dicea ch'una figliuola del re di Frisa quivi hanno trovata, che fia, per quanto n'han mosso parola, da Bireno al fratel per moglie data. Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola; che vivanda era troppo delicata: e riputato avria cortesia sciocca, per darla altrui, levarsela di bocca.

11
La damigella non passava ancora quattordici anni, ed era bella e fresca, come rosa che spunti alora alora fuor de la buccia e col sol nuovo cresca. Non pur di lei Bireno s'innamora, ma fuoco mai così non accese esca, né se lo pongan l'invide e nimiche mani talor ne le mature spiche;

12
come egli se n'accese immantinente, come egli n'arse fin ne le medolle, che sopra il padre morto lei dolente vide di pianto il bel viso far molle. E come suol, se l'acqua fredda sente, quella restar che prima al fuoco bolle; così l'ardor ch'accese Olimpia, vinto dal nuovo successore, in lui fu estinto.

13
Non pur sazio di lei, ma fastidito n'è già così, che può vederla a pena; e sì de l'altra acceso ha l'appetito, che ne morrà se troppo in lungo il mena: pur fin che giunga il dì c'ha statuito a dar fine al disio, tanto l'affrena, che par ch'adori Olimpia, non che l'ami, e quel che piace a lei, sol voglia e brami.

14
E se accarezza l'altra (che non puote far che non l'accarezzi più del dritto), non è chi questo in mala parte note; anzi a pietade, anzi a bontà gli è ascritto: che rilevare un che Fortuna ruote talora al fondo, e consolar l'afflitto, mai non fu biasmo, ma gloria sovente; tanto più una fanciulla, una innocente.

15
Oh sommo Dio, come i giudìci umani spesso offuscati son da un nembo oscuro! i modi di Bireno empi e profani, pietosi e santi riputati furo. I marinari, già messo le mani ai remi, e sciolti dal lito sicuro, portavan lieti pei salati stagni verso Selandia il duca e i suoi compagni.

16
Già dietro rimasi erano e perduti tutti di vista i termini d'Olanda (che per non toccar Frisa, più tenuti s'eran vêr Scozia alla sinistra banda), quando da un vento fur sopravenuti, ch'errando in alto mar tre dì li manda. Sursero il terzo, già presso alla sera, dove inculta e deserta un'isola era.

17
Tratti che si fur dentro un picciol seno, Olimpia venne in terra; e con diletto in compagnia de l'infedel Bireno cenò contenta e fuor d'ogni sospetto: indi con lui, là dove in loco ameno teso era un padiglione, entrò nel letto. Tutti gli altri compagni ritornaro, e sopra i legni lor si riposaro.

18
Il travaglio del mare e la paura che tenuta alcun dì l'aveano desta, il ritrovarsi al lito ora sicura, lontana da rumor ne la foresta, e che nessun pensier, nessuna cura, poi che 'l suo amante ha seco, la molesta; fur cagion ch'ebbe Olimpia sì gran sonno, che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.

19
Il falso amante che i pensati inganni veggiar facean, come dormir lei sente, pian piano esce del letto, e de' suoi panni fatto un fastel, non si veste altrimente; e lascia il padiglione; e come i vanni nati gli sian, rivola alla sua gente, e li risveglia; e senza udirsi un grido, fa entrar ne l'alto e abandonare il lido.

20
Rimase a dietro il lido e la meschina Olimpia, che dormì senza destarse, fin che l'Aurora la gelata brina da le dorate ruote in terra sparse, e s'udir le Alcione alla marina de l'antico infortunio lamentarse. Né desta né dormendo, ella la mano per Bireno abbracciar stese, ma invano.

21
Nessuno truova: a sé la man ritira: di nuovo tenta, e pur nessuno truova. Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira, or l'una or l'altra gamba; e nulla giova. Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira: non vede alcuno. Or già non scalda e cova più le vedove piume, ma si getta del letto e fuor del padiglione in fretta:

22
e corre al mar, graffiandosi le gote, presaga e certa ormai di sua fortuna. Si straccia i crini, e il petto si percuote, e va guardando (che splendea la luna) se veder cosa, fuor che 'l lito, puote; né fuor che 'l lito, vede cosa alcuna. Bireno chiama: e al nome di Bireno rispondean gli Antri che pietà n'avieno.

23
Quivi surgea nel lito estremo un sasso, ch'aveano l'onde, col picchiar frequente, cavo e ridutto a guisa d'arco al basso; e stava sopra il mar curvo e pendente. Olimpia in cima vi salì a gran passo (così la facea l'animo possente), e di lontano le gonfiate vele vide fuggir del suo signor crudele:

24
vide lontano, o le parve vedere; che l'aria chiara ancor non era molto. Tutta tremante si lasciò cadere, più bianca e più che nieve fredda in volto; ma poi che di levarsi ebbe potere, al camin de le navi il grido volto, chiamò, quanto potea chiamar più forte, più volte il nome del crudel consorte:

25
e dove non potea la debil voce, supliva il pianto e 'l batter' palma a palma.

26
Ma i venti che portavano le vele per l'alto mar di quel giovene infido, portavano anco i prieghi e le querele de l'infelice Olimpia, e 'l pianto e 'l grido; la qual tre volte, a se stessa crudele, per affogarsi si spiccò dal lido: pur al fin si levò da mirar l'acque, e ritornò dove la notte giacque.

27
E con la faccia in giù stesa sul letto, bagnandolo di pianto, dicea lui:

28
Uomo non veggio qui, non ci veggio opra donde io possa stimar ch'uomo qui sia; nave non veggio, a cui salendo sopra, speri allo scampo mio ritrovar via. Di disagio morrò; né chi mi cuopra gli occhi sarà, né chi sepolcro dia, se forse in ventre lor non me lo dànno i lupi, ohimè, ch'in queste selve stanno.

29
Io sto in sospetto, e già di veder parmi di questi boschi orsi o leoni uscire,

30
Ma presupongo ancor ch'or ora arrivi nochier che per pietà di qui mi porti; e così lupi, orsi, leoni schivi, strazi, disagi ed altre orribil morti: mi porterà forse in Olanda, s'ivi per te si guardan le fortezze e i porti? mi porterà alla terra ove son nata, se tu con fraude già me l'hai levata?

31
Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto di parentado e d'amicizia, tolto. Ben fosti a porvi le tue genti presto, per avere il dominio a te rivolto. Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il resto di che io vivea, ben che non fossi molto, per sovenirti e di prigione trarte. Mischina! dove andrò? non so in qual parte.

32
Debbo forse ire in Frisa, ove io potei, e per te non vi volsi esser regina? il che del padre e dei fratelli miei e d'ogn'altro mio ben fu la ruina. Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei, ingrato, improverar, né disciplina dartene; che non men di me lo sai: or ecco il guiderdon che me ne dai.

33
Deh, pur che da color che vanno in corso io non sia presa, e poi venduta schiava! Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso venga, e la tigre e ogn'altra fera brava, di cui l'ugna mi stracci, e franga il morso; e morta mi strascini alla sua cava. - Così dicendo, le mani si caccia ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.

34
Corre di nuovo in su l'estrema sabbia, e ruota il capo e sparge all'aria il crine; e sembra forsennata, e ch'adosso abbia non un demonio sol, ma le decine; o, qual Ecuba, sia conversa in rabbia, vistosi morto Polidoro al fine. Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare; né men d'un vero sasso, un sasso pare.

35
Ma lasciànla doler fin ch'io ritorno, per voler di Ruggier dirvi pur anco, che nel più intenso ardor del mezzo giorno cavalca il lito, affaticato e stanco. Percuote il sol nel colle e fa ritorno: di sotto bolle il sabbion trito e bianco. Mancava all'arme ch'avea indosso, poco ad esser, come già, tutte di fuoco.

36
Mentre la sete, e de l'andar fatica per l'alta sabbia e la solinga via gli facean, lungo quella spiaggia aprica, noiosa e dispiacevol compagnia; trovò ch'all'ombra d'una torre antica che fuor de l'onde appresso il lito uscia, de la corte d'Alcina eran tre donne, che le conobbe ai gesti ed alle gonne.

37
Corcate su tapeti allessandrini godeansi il fresco rezzo in gran diletto, fra molti vasi di diversi vini e d'ogni buona sorte di confetto. Presso alla spiaggia, coi flutti marini scherzando, le aspettava un lor legnetto fin che la vela empiesse agevol òra; ch'un fiato pur non ne spirava allora.

38
Queste, ch'andar per la non ferma sabbia vider Ruggier al suo viaggio dritto, che sculta avea la sete in su le labbia, tutto pien di sudore il viso afflitto, gli cominciaro a dir che sì non abbia il cor voluntaroso al camin fitto, ch'alla fresca e dolce ombra non si pieghi, e ristorar lo stanco corpo nieghi.

39
E di lor una s'accostò al cavallo per la staffa tener, che ne scendesse; l'altra con una coppa di cristallo di vin spumante, più sete gli messe: ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo; perché d'ogni tardar che fatto avesse, tempo di giunger dato avria ad Alcina, che venìa dietro ed era omai vicina.

40
Non così fin salnitro e zolfo puro, tocco dal fuoco, subito s'avampa; né così freme il mar quando l'oscuro turbo discende e in mezzo se gli accampa: come, vedendo che Ruggier sicuro al suo dritto camin l'arena stampa, e che le sprezza (e pur si tenean belle), d'ira arse e di furor la terza d'elle.

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42
Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose parole che gli usò la donna altiera, ancor che mai Ruggier non le rispose, che di sì vil tenzon poco onor spera; con le sorelle tosto ella si pose sul legno in mar, che al lor servigio v'era: ed affrettando i remi, lo seguiva, vedendol tuttavia dietro alla riva.

43
Minaccia sempre, maledice e incarca; che l'onte sa trovar per ogni punto. Intanto a quello stretto, onde si varca alla fata più bella, è Ruggier giunto; dove un vecchio nochiero una sua barca scioglier da l'altra ripa vede, a punto come, avisato e già provisto, quivi si stia aspettando che Ruggiero arrivi.

44
Scioglie il nochier, come venir lo vede, di trasportarlo a miglior ripa lieto; che, se la faccia può del cor dar fede, tutto benigno e tutto era discreto. Pose Ruggier sopra il navilio il piede, Dio ringraziando; e per lo mar quieto ragionando venìa col galeotto, saggio e di lunga esperienza dotto.

45
Quel lodava Ruggier, che sì se avesse saputo a tempo tor da Alcina, e inanti che 'l calice incantato ella gli desse, ch'avea al fin dato a tutti gli altri amanti; e poi, che a Logistilla si traesse, dove veder potria costumi santi, bellezza eterna ed infinita grazia che 'l cor notrisce e pasce, e mai non sazia.

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Ella t'insegnerà studi più grati, che suoni, danze, odori, bagni e cibi: ma come i pensier tuoi meglio formati poggin più ad alto, che per l'aria i nibi, e come de la gloria de' beati nel mortal corpo parte si delibi. - Così parlando il marinar veniva, lontano ancora alla sicura riva;

48
quando vide scoprire alla marina molti navili, e tutti alla sua volta. Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina; e molta di sua gente have raccolta per por lo stato a se stessa in ruina,

49
Ella non ebbe sdegno, da che nacque, di questo il maggior mai, ch'ora la rode; onde fa i remi sì affrettar per l'acque, che la spuma ne sparge ambe le prode. Al gran rumor né mar né ripa tacque, ed Ecco risonar per tutto s'ode.

50
Così disse il nocchier di Logistilla: ed oltre il detto, egli medesmo prese la tasca e da lo scudo dipartilla, e fe' il lume di quel chiaro e palese. L'incantato splendor che ne sfavilla, gli occhi degli aversari così offese, che li fe' restar ciechi allora allora, e cader chi da poppa e chi da prora.

51
Un ch'era alla veletta in su la rocca, de l'armata d'Alcina si fu accorto; e la campana martellando tocca, onde il soccorso vien subito al porto. L'artegliaria, come tempesta, fiocca contra chi vuole al buon Ruggier far torto: sì che gli venne d'ogni parte aita, tal che salvò la libertà e la vita.

52
Giunte son quattro donne in su la spiaggia, che subito ha mandate Logistilla: la valorosa Andronica e la saggia Fronesia e l'onestissima Dicilla e Sofrosina casta, che, come aggia quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla. L'esercito ch'al mondo è senza pare, del castello esce, e si distende al mare.

53
Sotto il castel ne la tranquilla foce di molti e grossi legni era una armata, ad un botto di squilla, ad una voce giorno e notte a battaglia apparecchiata. E così fu la pugna aspra ed atroce, e per acqua e per terra, incominciata; per cui fu il regno sottosopra volto, ch'avea già Alcina alla sorella tolto.

54
Oh di quante battaglie il fin successe diverso a quel che si credette inante! Non sol ch'Alcina alor non riavesse, come stimossi, il fugitivo amante; ma dele navi che pur dianzi spesse fur sì, ch'a pena il mar ne capia tante, fuor de la fiamma che tutt'altre avampa, con un legnetto sol misera scampa.

55
Fuggesi Alcina, e sua misera gente arsa e presa riman, rotta e sommersa. D'aver Ruggier perduto, ella si sente via più doler che d'altra cosa aversa: notte e dì per lui geme amaramente, e lacrime per lui dagli occhi versa; e per dar fine a tanto aspro martire, spesso si duol di non poter morire.

56
Morir non puote alcuna fata mai, fin che 'l sol gira, o il ciel non muta stilo. Se ciò non fosse, era il dolore assai per muover Cloto ad inasparle il filo; o, qual Didon, finia col ferro i guai;

57
Torniamo a quel di eterna gloria degno Ruggiero; e Alcina stia ne la sua pena. Dico di lui, che poi che fuor del legno si fu condutto in più sicura arena, Dio ringraziando che tutto il disegno gli era successo, al mar voltò la schiena; ed affrettando per l'asciutto il piede, alla rocca ne va che quivi siede.

58
Né la più forte ancor né la più bella mai vide occhio mortal prima né dopo. Son di più prezzo le mura di quella, che se diamante fossino o piropo. Di tai gemme qua giù non si favella: ed a chi vuol notizia averne, è d'uopo che vada quivi; che non credo altrove, se non forse su in ciel, se ne ritruove.

59
Quel che più fa che lor si inchina e cede ogn'altra gemma, è che, mirando in esse, l'uom sin in mezzo all'anima si vede; vede suoi vizi e sue virtudi espresse, sì che a lusinghe poi di sé non crede, né a chi dar biasmo a torto gli volesse: fassi, mirando allo specchio lucente se stesso, conoscendosi, prudente.

60
Il chiaro lume lor, ch'imita il sole, manda splendore in tanta copia intorno, che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole, Febo, mal grado tuo, si può far giorno. Né mirabil vi son le pietre sole; ma la materia e l'artificio adorno contendon sì, che mal giudicar puossi qual de le due eccellenze maggior fossi.

61
Sopra gli altissimi archi, che puntelli parean che del ciel fossino a vederli, eran giardin sì spaziosi e belli, che saria al piano anco fatica averli. Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli si puon veder fra i luminosi merli, ch'adorni son l'estate e il verno tutti di vaghi fiori e di maturi frutti.

62
Di così nobili arbori non suole prodursi fuor di questi bei giardini,

né di tai rose o di simil viole,
di gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove appar come a un medesmo sole

e nasca e viva, e morto il capo inchini, e come lasci vedovo il suo stelo il fior suggetto al variar del cielo:

63
ma quivi era perpetua la verdura, perpetua la beltà de' fiori eterni: non che benignità de la Natura sì temperatamente li governi; ma LogistilIa con suo studio e cura, senza bisogno de' moti superni (quel che agli altri impossibile parea), sua primavera ognor ferma tenea.

64
Logistilla mostrò molto aver grato ch'a lei venisse un sì gentil signore; e comandò che fosse accarezzato, e che studiasse ognun di fargli onore. Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato, che visto da Ruggier fu di buon core. Fra pochi giorni venner gli altri tutti, ch'a l'esser lor Melissa avea ridutti.

65
Poi che si fur posati un giorno e dui, venne Ruggiero alla fata prudente col duca Astolfo, che non men di lui avea desir di riveder Ponente. Melissa le parlò per amendui; e supplica la fata umilemente, che li consigli, favorisca e aiuti, sì che ritornin donde eran venuti.

66
Disse la fata: - Io ci porrò il pensiero, e fra dui dì te li darò espediti. - Discorre poi tra sé, come Ruggiero, e dopo lui, come quel duca aiti: conchiude infin che 'l volator destriero ritorni il primo agli aquitani liti; ma prima vuol che se gli faccia un morso, con che lo volga, e gli raffreni il corso.

67
Gli mostra come egli abbia a far, se vuole che poggi in alto, e come a far che cali; e come, se vorrà che in giro vole,

68
Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto, da la fata gentil comiato prese, alla qual restò poi sempre congiunto di grande amore; e uscì di quel paese. Prima di lui che se n'andò in buon punto, e poi dirò come il guerriero inglese tornasse con più tempo e più fatica al magno Carlo ed alla corte amica.

69
Quindi partì Ruggier, ma non rivenne per quella via che fe' già suo mal grado, allor che sempre l'ippogrifo il tenne sopra il mare, e terren vide di rado: ma potendogli or far batter le penne di qua di là, dove più gli era a grado, volse al ritorno far nuovo sentiero, come, schivando Erode, i Magi fero.

70
Al venir quivi, era, lasciando Spagna, venuto India a trovar per dritta riga, là dove il mare oriental la bagna; dove una fata avea con l'altra briga. Or veder si dispose altra campagna, che quella dove i venti Eolo istiga, e finir tutto il cominciato tondo, per aver, come il sol, girato il mondo.

71
Quinci il Cataio, e quindi Mangiana sopra il gran Quinsaì vide passando: volò sopra l'Imavo, e Sericana lasciò a man destra; e sempre declinando da l'iperborei Sciti a l'onda ircana, giunse alle parti di Sarmazia: e quando fu dove Asia da Europa si divide, Russi e Pruteni e la Pomeria vide.

72
Ben che di Ruggier fosse ogni desire di ritornare a Bradamante presto; pur, gustato il piacer ch'avea di gire cercando il mondo, non restò per questo, ch'alli Pollacchi, agli Ungari venire non volesse anco, alli Germani, e al resto di quella boreale orrida terra: e venne al fin ne l'ultima Inghilterra.

73
Non crediate, Signor, che però stia per sì lungo camin sempre su l'ale: ogni sera all'albergo se ne gìa, schivando a suo poter d'alloggiar male. E spese giorni e mesi in questa via, sì di veder la terra e il mar gli cale. Or presso a Londra giunto una matina, sopra Tamigi il volator declina.

74
Dove ne' prati alla città vicini vide adunati uomini d'arme e fanti, ch'a suon di trombe e a suon di tamburini venian, partiti a belle schiere, avanti il buon Rinaldo, onor de' paladini; del qual, se vi ricorda, io dissi inanti, che mandato da Carlo, era venuto in queste parti a ricercar aiuto.

75
Giunse a punto Ruggier, che si facea la bella mostra fuor di quella terra; e per sapere il tutto, ne chiedea un cavallier, ma scese prima in terra: e quel, ch'affabil era, gli dicea che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra e de l'isole intorno eran le schiere che quivi alzate avean tante bandiere:

76
e finita la mostra che faceano, alla marina se distenderanno, dove aspettati per solcar l'Oceano son dai navili che nel porto stanno. I Franceschi assediati si ricreano, sperando in questi che a salvar li vanno.

77
Tu vedi ben quella bandiera grande, ch'insieme pon la fiordaligi e i pardi: quella il gran capitano all'aria spande, e quella han da seguir gli altri stendardi. Il suo nome, famoso in queste bande, è Leonetto, il fior de li gagliardi, di consiglio e d'ardire in guerra mastro, del re nipote, e duca di Lincastro.

78
La prima, appresso il gonfalon reale, che 'l vento tremolar fa verso il monte, e tien nel campo verde tre bianche ale, porta Ricardo, di Varvecia conte. Del duca di Glocestra è quel segnale, c'ha duo corna di cervio e mezza fronte. Del duca di Chiarenza è quella face; quel arbore è del duca d'Eborace.

79
Vedi in tre pezzi una spezzata lancia: gli è 'l gonfalon del duca di Nortfozia. La fulgure è del buon conte di Cancia; il grifone è del conte di Pembrozia. Il duca di Sufolcia ha la bilancia. Vedi quel giogo che due serpi assozia: è del conte d'Esenia, e la ghirlanda in campo azzurro ha quel di Norbelanda.

80
Il conte d'Arindelia è quel c'ha messo in mar quella barchetta che s'affonda. Vedi il marchese di Barclei; e appresso di Marchia il conte e il conte di Ritmonda: il primo porta in bianco un monte fesso, l'altro la palma, il terzo un pin ne l'onda. Quel di Dorsezia è conte, e quel d'Antona, che l'uno ha il carro, e l'altro la corona.

81
Il falcon che sul nido i vanni inchina, porta Raimondo, il conte di Devonia. Il giallo e negro ha quel di Vigorina; il can quel d'Erbia un orso quel d'Osonia. La croce che là vedi cristallina, è del ricco prelato di Battonia. Vedi nel bigio una spezzata sedia: è del duca Ariman di Sormosedia.

82
Gli uomini d'arme e gli arcieri a cavallo di quarantaduomila numer fanno. Sono duo tanti, o di cento non fallo, quelli ch'a piè ne la battaglia vanno. Mira quei segni, un bigio, un verde, un giallo, e di nero e d'azzur listato un panno: Gofredo, Enrigo, Ermante ed Odoardo guidan pedoni, ognun col suo stendardo.

83
Duca di Bocchingamia è quel dinante; Enrigo ha la contea di Sarisberia; signoreggia Burgenia il vecchio Ermante; quello Odoardo è conte di Croisberia. Questi alloggiati più verso levante sono gl'Inglesi. Or volgeti all'Esperia, dove si veggion trentamila Scotti, da Zerbin, figlio del lor re, condotti.

84
Vedi tra duo unicorni il gran leone, che la spada d'argento ha ne la zampa: quell'è del re di Scozia il gonfalone; il suo figliol Zerbino ivi s'accampa. Non è un sì bello in tante altre persone: natura il fece, e poi roppe la stampa. Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,

85
Porta in azzurro una dorata sbarra il conte d'Ottonlei ne lo stendardo. L'altra bandiera è del duca di Marra, che nel travaglio porta il leopardo. Di più colori e di più augei bizzarra mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo, che non è duca, conte, né marchese, ma primo nel salvatico paese.

86
Del duca di Trasfordia è quella insegna, dove è l'augel ch'al sol tien gli occhi franchi. Lurcanio conte, ch'in Angoscia regna, porta quel tauro, c'ha duo veltri ai fianchi. Vedi là il duca d'Albania, che segna il campo di colori azzurri e bianchi. Quel avoltor, ch'un drago verde lania, è l'insegna del conte di Boccania.

87
Signoreggia Forbesse il forte Armano, che di bianco e di nero ha la bandiera; ed ha il conte d'Erelia a destra mano, che porta in campo verde una lumiera. Or guarda gl'Ibernesi appresso il piano: sono duo squadre; e il conte di Childera mena la prima, e il conte di Desmonda da fieri monti ha tratta la seconda.

88
Ne lo stendardo il primo ha un pino ardente; l'altro nel bianco una vermiglia banda. Non dà soccorso a Carlo solamente la terra inglese, e la Scozia e l'Irlanda; ma vien di Svezia e di Norvegia gente, da Tile, e fin da la remota Islanda: da ogni terra, insomma, che là giace, nimica naturalmente di pace.

89
Sedicimila sono, o poco manco, de le spelonche usciti e de le selve; hanno piloso il viso, il petto, il fianco, e dossi e braccia e gambe, come belve. Intorno allo stendardo tutto bianco par che quel pian di lor lance s'inselve: così Moratto il porta, il capo loro, per dipingerlo poi di sangue Moro. -

90
Mentre Ruggier di quella gente bella, che per soccorrer Francia si prepara, mira le varie insegne e ne favella, e dei signor britanni i nomi impara; uno ed un altro a lui, per mirar quella bestia sopra cui siede, unica o rara, maraviglioso corre e stupefatto; e tosto il cerchio intorno gli fu fatto.

91
Sì che per dare ancor più maraviglia, e per pigliarne il buon Ruggier più gioco, al volante corsier scuote la briglia, e con gli sproni ai fianchi il tocca un poco: quel verso il ciel per l'aria il camin piglia, e lascia ognuno attonito in quel loco. Quindi Ruggier, poi che di banda in banda vide gl'Inglesi, andò verso l'Irlanda.

92
E vide Ibernia fabulosa, dove il santo vecchiarel fece la cava, in che tanta mercé par che si truove, che l'uom vi purga ogni sua colpa prava. Quindi poi sopra il mare il destrier muove là dove la minor Bretagna lava: e nel passar vide, mirando a basso, Angelica legata al nudo sasso.

93
Al nudo sasso, all'Isola del pianto; che l'Isola del pianto era nomata quella che da crudele e fiera tanto ed inumana gente era abitata, che (come io vi dicea sopra nel canto) per vari liti sparsa iva in armata tutte le belle donne depredando, per farne a un mostro poi cibo nefando.

94
Vi fu legata pur quella matina, dove venìa per trangugiarla viva quel smisurato mostro, orca marina, che di aborrevole esca si nutriva. Dissi di sopra, come fu rapina di quei che la trovaro in su la riva dormire al vecchio incantatore a canto, ch'ivi l'avea tirata per incanto.

95
La fiera gente inospitale e cruda alla bestia crudel nel lito espose la bellissima donna, così ignuda come Natura prima la compose. Un velo non ha pure, in che richiuda i bianchi gigli e le vermiglie rose, da non cader per luglio o per dicembre, di che son sparse le polite membre.

96
Creduto avria che fosse statua finta

97
E come ne' begli occhi gli occhi affisse, de la sua Bradamante gli sovvenne. Pietade e amore a un tempo lo trafisse, e di piangere a pena si ritenne; e dolcemente alla donzella disse, poi che del suo destrier frenò le penne:

98
e ben di questo e d'ogni male indegna, chi è quel crudel che con voler perverso d'importuno livor stringendo segna di queste belle man l'avorio terso? - Forza è ch'a quel parlare ella divegna quale è di grana un bianco avorio asperso, di sé vedendo quelle parti ignude, ch'ancor che belle sian, vergogna chiude.

99
E coperto con man s'avrebbe il volto, se non eran legate al duro sasso; ma del pianto, ch'almen non l'era tolto, lo sparse, e si sforzò di tener basso. E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto, incominciò con fioco suono e lasso: ma non seguì; che dentro il fe' restare il gran rumor che si sentì nel mare.

100
Ecco apparir lo smisurato mostro mezzo ascoso ne l'onda e mezzo sorto. Come sospinto suol da borea o d'ostro venir lungo navilio a pigliar porto, così ne viene al cibo che l'è mostro la bestia orrenda; e l'intervallo è corto. La donna è mezza morta di paura; né per conforto altrui si rassicura.

101
Tenea Ruggier la lancia non in resta, ma sopra mano, e percoteva l'orca. Altro non so che s'assimigli a questa, ch'una gran massa che s'aggiri e torca; né forma ha d'animal, se non la testa, c'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca. Ruggier in fronte la ferìa tra gli occhi; ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.

102
Poi che la prima botta poco vale, ritorna per far meglio la seconda. L'orca, che vede sotto le grandi ale l'ombra di qua e di là correr su l'onda, lascia la preda certa litorale, e quella vana segue furibonda: dietro quella si volve e si raggira. Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.

103
Come d'alto venendo aquila suole, ch'errar fra l'erbe visto abbia la biscia,

104
così Ruggier con l'asta e con la spada, non dove era de' denti armato il muso, ma vuol che 'l colpo tra l'orecchie cada, or su le schene, or ne la coda giuso. Se la fera si volta, ei muta strada, ed a tempo giù cala, e poggia in suso: ma come sempre giunga in un diaspro, non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.

105
Simil battaglia fa la mosca audace contra il mastin nel polveroso agosto,

106
Sì forte ella nel mar batte la coda, che fa vicino al ciel l'acqua inalzare; tal che non sa se l'ale in aria snoda,

107
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore, di vincer con altre arme il mostro crudo: abbarbagliar lo vuol con lo splendore ch'era incantato nel coperto scudo. Vola nel lito; e per non fare errore, alla donna legata al sasso nudo lascia nel minor dito de la mano l'annel, che potea far l'incanto vano:

108
dico l'annel che Bradamante avea, per liberar Ruggier, tolto a Brunello, poi per trarlo di man d'Alcina rea, mandato in India per Melissa a quello. Melissa (come dianzi io vi dicea) in ben di molti adoperò l'annello; indi l'avea a Ruggier restituito, dal qual poi sempre fu portato in dito.

109
Lo dà ad Angelica ora, perché teme che del suo scudo il fulgurar non viete, e perché a lei ne sien difesi insieme gli occhi che già l'avean preso alla rete. Or viene al lito e sotto il ventre preme ben mezzo il mar la smisurata cete. Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo; e par ch'aggiunga un altro sole al cielo.

110
Ferì negli occhi l'incantato lume di quella fera, e fece al modo usato. Quale o trota o scaglion va giù pel fiume c'ha con calcina il montanar turbato, tal si vedea ne le marine schiume il mostro orribilmente riversciato. Di qua di là Ruggier percuote assai, ma di ferirlo via non truova mai.

111
La bella donna tuttavolta priega ch'invan la dura squama oltre non pesti.

112
Il destrier punto, ponta i piè all'arena e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa; e porta il cavalliero in su la schena, e la donzella dietro in su la groppa. Così privò la fera de la cena per lei soave e delicata troppa. Ruggier si va volgendo, e mille baci figge nel petto e negli occhi vivaci.

113
Non più tenne la via, come propose prima, di circundar tutta la Spagna; ma nel propinquo lito il destrier pose, dove entra in mar più la minor Bretagna. Sul lito un bosco era di querce ombrose, dove ognor par che Filomena piagna; ch'in mezzo avea un pratel con una fonte, e quinci e quindi un solitario monte.

114
Quivi il bramoso cavallier ritenne l'audace corso, e nel pratel discese; e fe' raccorre al suo destrier le penne, ma non a tal che più le avea distese. Del destrier sceso, a pena si ritenne di salir altri; ma tennel l'arnese: l'arnese il tenne, che bisognò trarre, e contra il suo disir messe le sbarre.

115
Frettoloso, or da questo or da quel canto confusamente l'arme si levava. Non gli parve altra volta mai star tanto; che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava. Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto, e forse ch'anco l'ascoltar vi grava: sì ch'io differirò l'istoria mia in altro tempo che più grata sia.



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