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CANTO QUINDICESIMO


1
Fu il vincer sempremai laudabil cosa, vincasi o per fortuna o per ingegno: gli è ver che la vittoria sanguinosa spesso far suole il capitan men degno; e quella eternamente è gloriosa, e dei divini onori arriva al segno, quando servando i suoi senza alcun danno, si fa che gl'inimici in rotta vanno.

2
La vostra, Signor mio, fu degna loda, quando al Leone, in mar tanto feroce, ch'avea occupata l'una e l'altra proda del Po, da Francolin sin alla foce, faceste sì, ch'ancor che ruggir l'oda, s'io vedrò voi, non tremerò alla voce. Come vincer si de', ne dimostraste; ch'uccideste i nemici, e noi salvaste.

3
Questo il pagan, troppo in suo danno audace, non seppe far; che i suoi nel fosso spinse, dove la fiamma subita e vorace non perdonò ad alcun, ma tutti estinse. A tanti non saria stato capace tutto il gran fosso, ma il fuoco restrinse, restrinse i corpi e in polve li ridusse, acciò ch'abile a tutti il luogo fusse.

4
Undicimila ed otto sopra venti si ritrovar ne l'affocata buca, che v'erano discesi malcontenti; ma così volle il poco saggio duca. Quivi fra tanto lume or sono spenti, e la vorace fiamma li manuca: e Rodomonte, causa del mal loro, se ne va esente da tanto martoro:

5
che tra' nemici alla ripa più interna era passato d'un mirabil salto. Se con gli altri scendea ne la caverna, questo era ben il fin d'ogni suo assalto. Rivolge gli occhi a quella valle inferna; e quando vede il fuoco andar tant'alto, e di sua gente il pianto ode e lo strido, bestemmia il ciel con spaventoso grido.

6
Intanto il re Agramante mosso avea impetuoso assalto ad una porta; che, mentre la crudel battaglia ardea quivi ove è tanta gente afflitta e morta, quella sprovista forse esser credea di guardia, che bastasse alla sua scorta. Seco era il re d'Arzilla Bambirago, e Baliverzo, d'ogni vizio vago;

7
e Corineo di Mulga, e Prusione, il ricco re dell'Isole beate; Malabuferso che la regione
tien di Fizan, sotto continua estate; altri signori, ed altre assai persone esperte ne la guerra e bene armate; e molti ancor senza valore e nudi, che 'l cor non s'armerian con mille scudi.

8
Trovò tutto il contrario al suo pensiero in questa parte il re de' Saracini: perché in persona il capo de l'Impero v'era, re Carlo, e de' suoi paladini, re Salamone ed il danese Ugiero, ed ambo i Guidi ed ambo gli Angelini, e 'l duca di Bavera e Ganelone, e Berlengier e Avolio e Avino e Otone;

9
gente infinita poi di minor conto, de' Franchi, de' Tedeschi e de' Lombardi, presente il suo signor, ciascuno pronto a farsi riputar fra i più gagliardi. Di questo altrove io vo' rendervi conto; ch'ad un gran duca è forza ch'io riguardi, il qual mi grida, e di lontano accenna, e priega ch'io nol lasci ne la penna.

10
Gli è tempo ch'io ritorni ove lasciai l'aventuroso Astolfo d'Inghilterra, che 'l lungo esilio avendo in odio ormai, di desiderio ardea de la sua terra; come gli n'avea data pur assai speme colei ch'Alcina vinse in guerra. Ella di rimandarvilo avea cura per la via più espedita e più sicura.

11
E così una galea fu apparechiata, di che miglior mai non solcò marina; e perché ha dubbio per tutta fiata, che non gli turbi il suo viaggio Alcina, vuol Logistilla che con forte armata Andronica ne vada e Sofrosina, tanto che nel mar d'Arabi, o nel golfo de' Persi, giunga a salvamento Astolfo.

12
Più tosto vuol che volteggiando rada gli Sciti e gl'Indi e i regni nabatei, e torni poi per così lunga strada a ritrovar i Persi e gli Eritrei; che per quel boreal pelago vada, che turban sempre iniqui venti e rei, e sì, qualche stagion, pover di sole, che starne senza alcuni mesi suole.

13
La fata, poi che vide acconcio il tutto, diede licenza al duca di partire, avendol prima ammaestrato e istrutto di cose assai, che fôra lungo a dire; e per schivar che non sia più ridutto per arte maga, onde non possa uscire, un bello ed util libro gli avea dato, che per suo amore avesse ognora allato.

14
Come l'uom riparar debba agl'incanti mostra il libretto che costei gli diede: dove ne tratta o più dietro o più inanti, per rubrica e per indice si vede. Un altro don gli fece ancor, che quanti doni fur mai, di gran vantaggio eccede: e questo fu d'orribil suono un corno, che fa fugire ognun che l'ode intorno.

15
Dico che 'l corno è di sì orribil suono, ch'ovunque s'oda, fa fuggir la gente: non può trovarsi al mondo un cor sì buono, che possa non fuggir come lo sente: rumor di vento e di termuoto, e 'l tuono, a par del suon di questo, era niente. Con molto riferir di grazie, prese da la fata licenza il buono Inglese.

16
Lasciando il porto e l'onde più tranquille, con felice aura ch'alla poppa spira, sopra le ricche e populose ville de l'odorifera India il duca gira, scoprendo a destra ed a sinistra mille isole sparse; e tanto va, che mira la terra di Tomaso, onde il nocchiero più a tramontana poi volge il sentiero.

17
Quasi radendo l'aurea Chersonesso, la bella armata il gran pelago frange: e costeggiando i ricchi liti, spesso vede come nel mar biancheggi il Gange; e Traprobane vede e Cori appresso; e vede il mar che fra i duo liti s'ange. Dopo gran via furo a Cochino, e quindi usciro fuor dei termini degl'Indi.

18
Scorrendo il duca il mar con sì fedele e sì sicura scorta, intender vuole, e ne domanda Andronica, se de le parti c'han nome dal cader del sole, mai legno alcun che vada a remi e a vele, nel mare orientale apparir suole; e s'andar può senza toccar mai terra, chi d'India scioglia, in Francia o in Inghilterra.

19

20
Per questo del nostro indico levante nave non è che per Europa scioglia; né si muove d'Europa navigante ch'in queste nostre parti arrivar voglia. Il ritrovarsi questa terra avante, e questi e quelli al ritornare invoglia; che credono, veggendola sì lunga, che con l'altro emisperio si congiunga.

21
Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire da l'estreme contrade di ponente nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire la strada ignota infin al dì presente: altri volteggiar l'Africa, e seguire tanto la costa de la negra gente, che passino quel segno onde ritorno fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;

22
e ritrovar del lungo tratto il fine, che questo fa parer dui mar diversi; e scorrer tutti i liti e le vicine isole d'Indi, d'Arabi e di Persi: altri lasciar le destre e le mancine rive che due per opra Erculea fersi; e del sole imitando il camin tondo, ritrovar nuove terre e nuovo mondo.

23
Veggio la santa croce, e veggio i segni imperial nel verde lito eretti: veggio altri a guardia dei battuti legni, altri all'acquisto del paese eletti: veggio da dieci cacciar mille, e i regni di là da l'India ad Aragon suggetti; e veggio i capitan di Carlo quinto, dovunque vanno, aver per tutto vinto.

24
Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa strada sia stata, e ancor gran tempo stia; né che prima si sappia, che la sesta e la settima età passata sia: e serba a farla al tempo manifesta, che vorrà porre il mondo a monarchia, sotto il più saggio imperatore e giusto, che sia stato o sarà mai dopo Augusto.

25
Del sangue d'Austria e d'Aragon io veggio nascer sul Reno alla sinistra riva un principe, al valor del qual pareggio nessun valor, di cui si parli o scriva. Astrea veggio per lui riposta in seggio, anzi di morta ritornata viva; e le virtù che cacciò il mondo, quando lei cacciò ancora, uscir per lui di bando.

26
Per questi merti la Bontà suprema non solamente di quel grande impero ha disegnato ch'abbia diadema ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo; ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema, che mai né al sol né all'anno apre il sentiero: e vuol che sotto a questo imperatore solo un ovile sia, solo un pastore.

27
E perch'abbian più facile successo gli ordini in cielo eternamente scritti, gli pon la somma Providenza appresso in mare e in terra capitani invitti. Veggio Hernando Cortese, il qualo ha messo nuove città sotto i cesarei editti, e regni in Oriente sì remoti, ch'a noi, che siamo in India, non son noti.

28
Veggio Prosper Colonna, e di Pescara veggio un marchese, e veggio dopo loro un giovene del Vasto, che fan cara parer la bella Italia ai Gigli d'oro: veggio ch'entrare inanzi si prepara quel terzo agli altri a guadagnar l'alloro: come buon corridor ch'ultimo lassa le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.

29
Veggio tanto il valor, veggio la fede tanta d'Alfonso (che 'l suo nome è questo), ch'in così acerba età, che non eccede dopo il vigesimo anno ancora il sesto, l'imperator l'esercito gli crede, il qual salvando, salvar non che 'l resto, ma farsi tutto il mondo ubidiente con questo capitan sarà possente.

30
Come con questi, ovunque andar per terra si possa, accrescerà l'imperio antico; così per tutto il mar, ch'in mezzo serra di là l'Europa e di qua l'Afro aprico, sarà vittorioso in ogni guerra, poi ch'Andrea Doria s'avrà fatto amico. Questo è quel Doria che fa dai pirati sicuro il vostro mar per tutti i lati.

31
Non fu Pompeio a par di costui degno, se ben vinse e cacciò tutti i corsari; Però che quelli al più possente regno che fosse mai, non poteano esser pari: ma questo Doria, sol col proprio ingegno e proprie forze purgherà quei mari; sì che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda il nome suo, tremar veggio ogni proda.

32
Sotto la fede entrar, sotto la scorta di questo capitan di ch'io ti parlo, veggio in Italia, ove da lui la porta gli sarà aperta, alla corona Carlo. Veggio che 'l premio che di ciò riporta, non tien per sé, ma fa alla patria darlo: con prieghi ottien ch'in libertà la metta, dove altri a sé l'avria forse suggetta.

33
Questa pietà, ch'egli alla patria mostra, è degna di più onor d'ogni battaglia ch'in Francia o in Spagna o ne la terra vostra vincesse Iulio, o in Africa o in Tessaglia. Né il grande Ottavio, né chi seco giostra di par, Antonio, in più onoranza saglia pei gesti suoi; ch'ogni lor laude amorza l'avere usato alla lor patria forza.

34
Questi ed ogn'altro che la patria tenta di libera far serva, si arrosisca; né dove il nome d'Andrea Doria senta, di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca. Veggio Carlo che 'l premio gli augumenta; ch'oltre quel ch'in commun vuol che fruisca, gli dà la ricca terra ch'ai Normandi sarà principio a farli in Puglia grandi.

35
A questo capitan non pur cortese il magnanimo Carlo ha da mostrarsi, ma a quanti avrà ne le cesaree imprese del sangue lor non ritrovati scarsi. D'aver città, d'aver tutto un paese donato a un suo fedel, più ralegrarsi lo veggio, e a tutti quei che ne son degni, che d'acquistar nuov'altri imperi e regni. -

36
Così de le vittorie, le qual, poi ch'un gran numero d'anni sarà corso, daranno a Carlo i capitani suoi, facea col duca Andronica discorso: e la compagna intanto ai venti eoi viene allentando e raccogliendo il morso; e fa ch'or questo or quel propizio l'esce, e come vuol li minuisce e cresce.

37
Veduto aveano intanto il mar de' Persi come in sì largo spazio si dilaghi; onde vicini in pochi giorni fersi al golfo che nomar gli antiqui Maghi. Quivi pigliaro il porto, e fur conversi con la poppa alla ripa i legni vaghi; quindi sicur d'Alcina e di sua guerra, Astolfo il suo camin prese per terra.

38
Passò per più d'un campo e più d'un bosco, per più d'un monte e per più d'una valle; ove ebbe spesso, all'aer chiaro e al fosco, i ladroni or inanzi or alle spalle. Vide leoni, e draghi pien di tosco, ed altre fere attraversarsi il calle; ma non sì tosto avea la bocca al corno, che spaventati gli fuggian d'intorno.

39
Vien per l'Arabia ch'è detta Felice, ricca di mirra e d'odorato incenso, che per suo albergo l'unica fenice eletto s'ha di tutto il mondo immenso; fin che l'onda trovò vendicatrice già d'Israel, che per divin consenso Faraone sommerse e tutti i suoi: e poi venne alla terra degli Eroi.

40
Lungo il fiume Traiano egli cavalca su quel destrier ch'al mondo è senza pare, che tanto leggiermente e corre e valca, che ne l'arena l'orma non n'appare: l'erba non pur, non pur la nieve calca; coi piedi asciutti andar potria sul mare; e sì si stende al corso, e sì s'affretta, che passa e vento e folgore e saetta.

41
Questo è il destrier che fu de l'Argalia, che di fiamma e di vento era concetto; e senza fieno e biada, si nutria de l'aria pura, e Rabican fu detto. Venne, suguendo il Duca la sua via, dove dà il Nilo a quel fiume ricetto; e prima che giugnesse in su la foce, vide un legno venire a sé veloce.

42
Naviga in su la poppa uno eremita con bianca barba, a mezzo il petto lunga, che sopra il legno il paladino invita, e: - Figliuol mio (gli grida da la lunga), se non t'è in odio la tua propria vita, se non brami che morte oggi ti giunga, venir ti piaccia su quest'altra arena; ch'a morir quella via dritto ti mena.

43
Tu non andrai più che sei miglia inante, che troverai la saguinosa stanza dove s'alberga un orribil gigante che d'otto piedi ogni statura avanza. Non abbia cavallier né viandante di partirsi da lui, vivo, speranza: ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia, molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.

44
Piacer, fra tanta crudeltà, si prende d'una rete ch'egli ha, molto ben fatta: poco lontana al tetto suo la tende, e ne la trita polve in modo appiatta, che chi prima nol sa, non la comprende, tanto è sottil, tanto egli ben l'adatta: e con tai gridi i peregrin minaccia, che spaventati dentro ve li caccia.

45
E con gran risa, aviluppati in quella se li strascina sotto il suo coperto; né cavallier riguarda né donzella,

46
Prendi quest'altra via, prendila, figlio, che fin al mar ti fia tutta sicura. -

47
Fuggendo, posso con disnor salvarmi; ma tal salute ho più che morte a schivo. S'io vi vo, al peggio che potrà incontrarmi, fra molti resterò di vita privo; ma quando Dio così mi drizzi l'armi, che colui morto, ed io rimanga vivo, sicura a mille renderò la via: sì che l'util maggior che 'l danno fia.

48
Metto all'incontro la morte d'un solo alla salute di gente infinita. -

49
Giace tra l'alto fiume e la palude picciol sentier nell'arenosa riva: la solitaria casa lo richiude, d'umanitade e di commercio priva. Son fisse intorno teste e membra nude de l'infelice gente che v'arriva. Non v'è finestra, non v'è merlo alcuno, onde penderne almen non si veggia uno.

50
Qual ne le alpine ville o ne' castelli suol cacciator che gran perigli ha scorsi, su le porte attaccar l'irsute pelli, l'orride zampe e i grossi capi d'orsi; tal dimostrava il fier gigante quelli che di maggior virtù gli erano occorsi. D'altri infiniti sparse appaion l'ossa; ed è di sangue uman piena ogni fossa.

51
Stassi Caligorante in su la porta; che così ha nome il dispietato mostro ch'orna la sua magion di gente morta, come alcun suol di panni d'oro o d'ostro. Costui per gaudio a pena si comporta, come il duca lontan se gli è dimostro; ch'eran duo mesi, e il terzo ne venìa, che non fu cavallier per quella via.

52
Vêr la palude, ch'era scura e folta di verdi canne, in gran fretta ne viene; che disegnato avea correre in volta, e uscir al paladin dietro alle schene; che ne la rete, che tenea sepolta sotto la polve, di cacciarlo ha spene, come avea fatto gli altri peregrini che quivi tratto avean lor rei destini.

53
Come venire il paladin lo vede, ferma il destrier, non senza gran sospetto che vada in quelli lacci a dar del piede, di che il buon vecchiarel gli avea predetto. Quivi il soccorso del suo corno chiede, e quel sonando fa l'usato effetto: nel cor fere il gigante che l'ascolta, di tal timor, ch'a dietro i passi volta.

54
Astolfo suona, e tuttavolta bada; che gli par sempre che la rete scocchi. Fugge il fellon, né vede ove si vada; che, come il core, avea perduti gli occhi. Tanta è la tema, che non sa far strada, che ne li propri aguati non trabocchi: va ne la rete; e quella si disserra, tutto l'annoda, e lo distende in terra.

55
Astolfo, ch'andar giù vede il gran peso, già sicuro per sé, v'accorre in fretta; e con la spada in man, d'arcion disceso, va per far di mill'anime vendetta. Poi gli par che s'uccide un che sia preso, viltà, più che virtù, ne sarà detta; che legate le braccia, i piedi e il collo gli vede sì, che non può dare un crollo.

56
Avea la rete già fatta Vulcano di sottil fil d'acciar, ma con tal arte, che saria stata ogni fatica invano per ismagliarne la più debol parte; ed era quella che già piedi e mano avea legate a Venere ed a Marte. La fe' il geloso, e non ad altro effetto, che per pigliarli insieme ambi nel letto.

57
Mercurio al fabbro poi la rete invola; che Cloride pigliar con essa vuole, Cloride bella che per l'aria vola dietro all'Aurora, all'apparir del sole, e dal raccolto lembo de la stola gigli spargendo va, rose e viole. Mercurio tanto questa ninfa attese, che con la rete in aria un dì la prese.

58
Dove entra in mare il gran fiume etiopo, par che la dea presa volando fosse. Poi nei tempio d'Anubide a Canopo la rete molti seculi serbosse. Caligorante tremila anni dopo, di là, dove era sacra, la rimosse: se ne portò la rete il ladrone empio, ed arse la cittade, e rubò il tempio.

59
Quivi adattolla in modo in su l'arena, che tutti quei ch'avean da lui la caccia vi davan dentro; ed era tocca a pena, che lor legava e collo e piedi e braccia. Di questa levò Astolfo una catena, e le man dietro a quel fellon n'allaccia; le braccia e 'l petto in guisa gli ne fascia, che non può sciorsi: indi levar lo lascia,

60
dagli altri nodi avendol sciolto prima, ch'era tornato uman più che donzella. Di trarlo seco e di mostrarlo stima per ville, per cittadi e per castella. Vuol la rete anco aver, di che né lima né martel fece mai cosa più bella: ne fa somier colui ch'alla catena con pompa trionfal dietro si mena.

61
L'elmo e lo scudo anche a portar gli diede, come a valletto, e seguitò il camino, di gaudio empiendo, ovunque metta il piede, ch'ir possa ormai sicuro il peregrino. Astolfo se ne va tanto, che vede ch'ai sepolcri di Memfi è già vicino, Memfi per le piramidi famoso: vede all'incontro il Cairo populoso.

62
Tutto il popul correndo si traea per vedere il gigante smisurato.

63
Non era grande il Cairo così allora, come se ne ragiona a nostra etade: che 'l populo capir, che vi dimora, non puon diciottomila gran contrade; e che le case hanno tre palchi, e ancora ne dormono infiniti in su le strade; e che 'l soldano v'abita un castello mirabil di grandezza, e ricco e bello;

64
e che quindicimila suoi vasalli, che son cristiani rinegati tutti, con mogli, con famiglie e con cavalli ha sotto un tetto sol quivi ridutti. Astolfo veder vuole ove s'avalli, e quanto il Nilo entri nei salsi flutti a Damiata; ch'avea quivi inteso, qualunque passa restar morto o preso.

65
Però ch'in ripa al Nilo in su la foce si ripara un ladron dentro una torre, ch'a paesani e a peregrini nuoce, e fin al Cairo, ognun rubando scorre. Non gli può alcun resistere; ed ha voce che l'uom gli cerca invan la vita torre: centomila ferite egli ha già avuto, né ucciderlo però mai s'è potuto.

66
Per veder se può far rompere il filo alla Parca di lui, sì che non viva, Astolfo viene a ritrovare Orrilo (così avea nome), e a Damiata arriva; ed indi passa ove entra in mare il Nilo, e vede la gran torre in su la riva, dove s'alberga l'anima incantata che d'un folletto nacque e d'una fata.

67
Quivi ritruova che crudel battaglia era tra Orrilo e dui guerrieri accesa. Orrilo è solo; e sì que' dui travaglia, ch'a gran fatica gli puon far difesa: e quando in arme l'uno e l'altro vaglia, a tutto il mondo la fama palesa. Questi erano i dui figli d'Oliviero, Grifone il bianco ed Aquilante il nero.

68
Gli è ver che 'l negromante venuto era alla battaglia con vantaggio grande; che seco tratto in campo avea una fera, la qual si truova solo in quelle bande: vive sul lito e dentro alla rivera; e i corpi umani son le sue vivande, de le persone misere ed incaute de viandanti e d'infelici naute.

69
La bestia ne l'arena appresso al porto per man dei duo fratei morta giacea; e per questo ad Orril non si fa torto, s'a un tempo l'uno e l'altro gli nocea. Più volte l'han smembrato e non mai morto, né, per smembrarlo, uccider si potea; che se tagliato o mano o gamba gli era, la rapiccava, che parea di cera.

70
Or fin a' denti il capo gli divide Grifone, or Aquilante fin al petto. Egli dei colpi lor sempre si ride: s'adiran essi, che non hanno effetto. Chi mai d'alto cader l'argento vide, che gli alchimisti hanno mercurio detto, e sparger e raccor tutti i suo' membri, sentendo di costui, se ne rimembri.

71
Se gli spiccano il capo, Orrilo scende, né cessa brancolar fin che lo truovi; ed or pel crine ed or pel naso il prende, lo salda al collo, e non so con che chiovi. Piglial talor Grifone, e 'l braccio stende, nel fiume il getta, e non par ch'anco giovi; che nuota Orrilo al fondo come un pesce, e col suo capo salvo alla ripa esce.

72
Due belle donne onestamente ornate, l'una vestita a bianco e l'altra a nero, che de la pugna causa erano state, stavano a riguardar l'assalto fiero. Queste eran quelle due benigne fate ch'avean notriti i figli d'Oliviero, poi che li trasson teneri citelli dai curvi artigli di duo grandi augelli,

73
che rapiti gli avevano a Gismonda, e portati lontan dal suo paese. Ma non bisogna in ciò ch'io mi diffonda, ch'a tutto il mondo è l'istoria palese; ben che l'autor nel padre si confonda, ch'un per un altro (io non so come) prese. Or la battaglia i duo gioveni fanno, che le due donne ambi pregati n'hanno.

74
Era in quel clima già sparito il giorno, all'isole ancor alto di Fortuna; l'ombre avean tolto ogni vedere a torno sotto l'incerta e mal compresa luna; quando alla rocca Orril fece ritorno, poi ch'alla bianca e alla sorella bruna piacque di differir l'aspra battaglia fin che 'l sol nuovo all'orizzonte saglia.

75
Astolfo, che Grifone ed Aquilante, ed all'insegne e più al ferir gagliardo, riconosciuto avea gran pezzo inante, lor non fu altiero a salutar né tardo. Essi vedendo che quel che 'l gigante traea legato, era il baron dal pardo (che così in corte era quel duca detto), raccolser lui con non minore affetto.

76
Le donne a riposare i cavallieri menaro a un lor palagio indi vicino. Donzelle incontra vennero e scudieri con torchi accesi, a mezzo del camino. Diero a chi n'ebbe cura i lor destrieri, trassonsi l'arme; e dentro un bel giardino trovar ch'apparechiata era la cena ad una fonte limpida ed amena.

77
Fan legare il gigante alla verdura Con un'altra catena molto grossa ad una quercia di molt'anni dura, che non si romperà per una scossa; e da dieci sergenti averne cura, che la notte discior non se ne possa, ed assalirli, e forse far lor danno, mentre sicuri e senza guardia stanno.

78
All'abondante e sontuosa mensa, dove il manco piacer fur le vivande, del ragionar gran parte si dispensa sopra d'Orrilo e del miracol grande, che quasi par un sogno a chi vi pensa, ch'or capo or braccio a terra se gli mande, ed egli lo raccolga e lo raggiugna, e più feroce ognor torni alla pugna.

79
Astolfo nel suo libro avea già letto (quel ch'agl'incanti riparare insegna) ch'ad Orril non trarrà l'alma del petto fin ch'un crine fatal nel capo tegna; ma, se lo svelle o tronca, fia costretto che suo mal grado fuor l'alma ne vegna. Questo ne dice il libro; ma non come conosca il crine in così folte chiome.

80
Non men de la vittoria si godea, che se n'avesse Astolfo già la palma; come chi speme in pochi colpi avea svellere il crine al negromante e l'alma. Però di quella impresa promettea tor su gli omeri suoi tutta la salma: Orril farà morir, quando non spiaccia ai duo fratei, ch'egli la pugna faccia.

81
Ma quei gli danno volentier l'impresa, certi che debbia affaticarsi invano. Era già l'altra aurora in cielo ascesa, quando calò dai muri Orrilo al piano. Tra il duca e lui fu la battaglia accesa: la mazza l'un, l'altro ha la spada in mano. Di mille attende Astolfo un colpo trarne, che lo spirto gli sciolga da la carne.

82
Or cader gli fa il pugno con la mazza, or l'uno or l'altro braccio con la mano; quando taglia a traverso la corazza, e quando il va troncando a brano a brano: ma ricogliendo sempre de la piazza va le sue membra Orrilo, e si fa sano. S'in cento pezzi ben l'avesse fatto, redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.

83
Al fin di mille colpi un gli ne colse sopra le spalle ai termini del mento: la testa e l'elmo dal capo gli tolse, né fu d'Orrilo a dismontar più lento. La sanguinosa chioma in man s'avolse, e risalse a cavallo in un momento; e la portò correndo incontra 'l Nilo, che riaver non la potesse Orrilo.

84
Quel sciocco, che del fatto non s'accorse, per la polve cercando iva la testa: ma come intese il corridor via torse, portare il capo suo per la foresta; immantinente al suo destrier ricorse, sopra vi sale, e di seguir non resta. Volea gridare: - Aspetta, volta, volta! - ma gli avea il duca già la bocca tolta.

85
Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna si riconforta, e segue a tutta briglia. Dietro il lascia gran spazio di campagna quel Rabican che corre a maraviglia. Astolfo intanto per la cuticagna va da la nuca fin sopra le ciglia cercando in fretta, se 'l crine fatale conoscer può, ch'Orril tiene immortale.

86
Fra tanti e innumerabili capelli, un più de l'altro non si stende o torce: qual dunque Astolfo sceglierà di quelli, che per dar morte al rio ladron raccorce?

87
E tenendo quel capo per lo naso, dietro e dinanzi lo dischioma tutto. Trovò fra gli altri quel fatale a caso: si fece il viso allor pallido e brutto, travolse gli occhi, e dimostrò all'occaso, per manifesti segni, esser condutto; e 'l busto che seguia troncato al collo, di sella cadde, e diè l'ultimo crollo.

88
Astolfo, ove le donne e i cavallieri lasciato avea, tornò col capo in mano, che tutti avea di morte i segni veri, e mostrò il tronco ove giacea lontano. Non so ben se lo vider volentieri, ancor che gli mostrasser viso umano; che la intercetta lor vittoria forse d'invidia ai duo germani il petto morse.

89
Né che tal fin quella battuglia avesse, credo più fosse alle due donne grato. Queste, perché più in lungo si traesse de' duo fratelli il doloroso fato ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse, con loro Orrilo avean quivi azzuffato, con speme di tenerli tanto a bada, che la trista influenza se ne vada.

90
Tosto che 'l castellan di Damiata certificossi ch'era morto Orrilo, la columba lasciò, ch'avea legata sotto l'ala la lettera col filo. Quella andò al Cairo; ed indi fu lasciata un'altra altrove, come quivi è stilo: sì che in pochissime ore andò l'aviso per tutto Egitto, ch'era Orrilo ucciso.

91
Il duca, come al fin trasse l'impresa, confortò molto i nobili garzoni, ben che da sé v'avean la voglia intesa, né bisognavan stimuli né sproni, che per difender de la santa Chiesa e del romano Imperio le ragioni, lasciasser le battaglie d'Oriente, e cercassino onor ne la lor gente.

92
Così Grifone ed Aquilante tolse ciascuno da la sua donna licenza; le quali, ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse, non vi seppon però far resistenza. Con essi Astolfo a man destra si volse; che si deliberar far riverenza ai santi luoghi ove Dio in carne visse, prima che verso Francia si venisse.

93
Potuto avrian pigliar la via mancina, ch'era più dilettevole e più piana, e mai non si scostar da la marina; ma per la destra andaro orrida e strana, perché l'alta città di Palestina per questa sei giornate è men lontana. Acqua si truova ed erba in questa via: di tutti gli altri ben v'è carestia.

94
Sì che prima ch'entrassero in viaggio, ciò che lor bisognò, fecion raccorre, e carcar sul gigante il carriaggio, ch'avria portato in collo anco una torre. Al finir del camino aspro e selvaggio, da l'alto monte alla lor vista occorre la santa terra, ove il superno Amore lavò col proprio sangue il nostro errore.

95
Trovano in su l'entrar de la cittade un giovene gentil, lor conoscente, Sansonetto da Meca, oltre l'etade, ch'era nel primo fior, molto prudente; d'alta cavalleria, d'alta bontade famoso, e riverito fra la gente. Orlando lo converse a nostra fede, e di sua man battesmo anco gli diede.

96
Quivi lo trovan che disegna a fronte del calife d'Egitto una fortezza; e circondar vuole il Calvario monte di muro di duo miglia di lunghezza. Da lui raccolti fur con quella fronte che può d'interno amor dar più chiarezza, e dentro accompagnati, e con grande agio fatti alloggiar nel suo real palagio.

97
Avea in governo egli la terra, e in vece di Carlo vi reggea l'imperio giusto. Il duca Astolfo a costui dono fece di quel sì grande e smisurato busto, ch'a portar pesi gli varrà per diece bestie da soma, tanto era robusto. Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso la rete ch'in sua forza l'avea messo.

98
Sansonetto all'incontro al duca diede per la spada una cinta ricca e bella; e diede spron per l'uno e l'altro piede, che d'oro avean la fibbia e la girella; ch'esser del cavallier stati si crede, che liberò dal drago la donzella: al Zaffo avuti con molt'altro arnese Sansonetto gli avea, quando lo prese.

99
Purgati de lor colpe a un monasterio che dava di sé odor di buoni esempi, de la passion di Cristo ogni misterio contemplando n'andar per tutti i tempi ch'or con eterno obbrobrio e vituperio agli cristiani usurpano i Mori empi. L'Europa è in arme, e di far guerra agogna in ogni parte, fuor ch'ove bisogna.

100
Mentre avean quivi l'animo divoto, a perdonanze e a cerimonie intenti, un peregrin di Grecia, a Grifon noto, novelle gli arrecò gravi e pungenti, dal suo primo disegno e lungo voto troppo diverse e troppo differenti; e quelle il petto gl'infiammaron tanto, che gli scacciar l'orazion da canto.

101
Amava il cavallier, per sua sciagura, una donna ch'avea nome Orrigille: di più bel volto e di miglior statura non se ne sceglierebbe una fra mille; ma disleale e di sì rea natura, che potresti cercar cittadi e ville, la terra ferma e l'isole del mare, né credo ch'una le trovassi pare.

102
Ne la città di Costantin lasciata grave l'avea di febbre acuta e fiera. Or quando rivederla alla tornata più che mai bella, e di goderla spera, ode il meschin, ch'in Antiochia andata dietro un suo nuovo amante ella se n'era, non le parendo ormai di più patire ch'abbia in sì fresca età sola a dormire.

103
Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova, sospirava Grifon notte e dì sempre. Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova, par ch'a costui più l'animo distempre: pensilo ognun, ne li cui danni pruova Amor, se li suoi strali han buone tempre. Ed era grave sopra ogni martire, che 'l mal ch'avea si vergognava a dire.

104
Questo, perché mille fiate inante già ripreso l'avea di quello amore, di lui più saggio, il fratello Aquilante, e cercato colei trargli del core, colei ch'al suo giudicio era di quante femine rie si trovin la peggiore. Grifon l'escusa, se 'l fratel la danna; e le più volte il parer proprio inganna.

105
Però fece pensier, senza parlarne con Aquilante, girsene soletto sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne colei che tratto il cor gli avea del petto; trovar colui che gli l'ha tolta, e farne vendetta tal, che ne sia sempre detto. Dirò, come ad effetto il pensier messe, nell'altro canto, e ciò che ne successe.



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