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CANTO TERZO


1
Chi mi darà la voce e le parole convenienti a sì nobil suggetto? chi l'ale al verso presterà, che vole tanto ch'arrivi all'alto mio concetto? Molto maggior di quel furor che suole, ben or convien che mi riscaldi il petto; che questa parte al mio signor si debbe, che canta gli avi onde l'origin ebbe:

2
Di cui fra tutti li signori illustri, dal ciel sortiti a governar la terra, non vedi, o Febo, che 'l gran mondo lustri, più gloriosa stirpe o in pace o in guerra; né che sua nobiltade abbia più lustri servata, e servarà (s'in me non erra quel profetico lume che m'ispiri) fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.

3
E volendone a pien dicer gli onori, bisogna non la mia, ma quella cetra con che tu dopo i gigantei furori rendesti grazia al regnator dell'etra. S'istrumenti avrò mai da te migliori, atti a sculpire in così degna pietra, in queste belle imagini disegno porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.

4
Levando intanto queste prime rudi scaglie n'andrò con lo scarpello inetto: forse ch'ancor con più solerti studi poi ridurrò questo lavor perfetto. Ma ritorniano a quello, a cui né scudi potran né usberghi assicurare il petto: parlo di Pinabello di Maganza, che d'uccider la donna ebbe speranza.

5
Il traditor pensò che la donzella fosse ne l'alto precipizio morta; e con pallida faccia lasciò quella trista e per lui contaminata porta, e tornò presto a rimontar in sella: e come quel ch'avea l'anima torta, per giunger colpa a colpa e fallo a fallo, di Bradamante ne menò il cavallo.

6
Lasciàn costui, che mentre all'altrui vita ordisce inganno, il suo morir procura; e torniamo alla donna che, tradita, quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura. Poi ch'ella si levò tutta stordita, ch'avea percosso in su la pietra dura, dentro la porta andò, ch'adito dava ne la seconda assai più larga cava.

7
La stanza, quadra e spaziosa, pare una devota e venerabil chiesa, che su colonne alabastrine e rare con bella architettura era suspesa. Surgea nel mezzo un ben locato altare, ch'avea dinanzi una lampada accesa; e quella di splendente e chiaro foco rendea gran lume all'uno e all'altro loco.

8
Di devota umiltà la donna tocca, come si vide in loco sacro e pio, incominciò col core e con la bocca, inginocchiata, a mandar prieghi a Dio. Un picciol uscio intanto stride e crocca, ch'era all'incontro, onde una donna uscìo discinta e scalza, e sciolte avea le chiome, che la donzella salutò per nome.

9
E disse: - O generosa Bradamante, non giunta qui senza voler divino, di te più giorni m'ha predetto inante il profetico spirto di Merlino, che visitar le sue reliquie sante dovevi per insolito camino: e qui son stata acciò ch'io ti riveli quel c'han di te già statuito i cieli.

10
Questa è l'antiqua e memorabil grotta ch'edificò Merlino, il savio mago che forse ricordare odi talotta, dove ingannollo la Donna del Lago. Il sepolcro è qui giù, dove corrotta giace la carne sua; dove egli, vago di sodisfare a lei, che glil suase, vivo corcossi, e morto ci rimase.

11
Col corpo morto il vivo spirto alberga, sin ch'oda il suon de l'angelica tromba che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga, secondo che sarà corvo o colomba. Vive la voce; e come chiara emerga, udir potrai dalla marmorea tomba, che le passate e le future cose a chi gli domandò, sempre rispose.

12
Più giorni son ch'in questo cimiterio venni di remotissimo paese, perché circa il mio studio alto misterio mi facesse Merlin meglio palese: e perché ebbi vederti desiderio, poi ci son stata oltre il disegno un mese; che Merlin, che 'l ver sempre mi predisse, termine al venir tuo questo dì fisse. -

13
Stassi d'Amon la sbigottita figlia tacita e fissa al ragionar di questa; ed ha sì pieno il cor di maraviglia, che non sa s'ella dorme o s'ella è desta: e con rimesse e vergognose ciglia (come quella che tutta era modesta) rispose: - Di che merito son io, ch'antiveggian profeti il venir mio? -

14
E lieta de l'insolita avventura, dietro alla Maga subito fu mossa, che la condusse a quella sepoltura che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa. Era quell'arca d'una pietra dura, lucida e tersa, e come fiamma rossa; tal ch'alla stanza, ben che di sol priva, dava splendore il lume che n'usciva.

15
O che natura sia d'alcuni marmi che muovin l'ombre a guisa di facelle,

16

A pena ha Bradamante da la soglia
levato il piè ne la secreta cella,
che 'l vivo spirto da la morta spoglia

con chiarissima voce le favella:

17
L'antiquo sangue che venne da Troia, per li duo miglior rivi in te commisto, produrrà l'ornamento, il fior, la gioia d'ogni lignaggio ch'abbia il sol mai visto tra l'Indo e 'l Tago e 'l Nilo e la Danoia, tra quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto. Ne la progenie tua con sommi onori saran marchesi, duci e imperatori.

18
I capitani e i cavallier robusti quindi usciran, che col ferro e col senno ricuperar tutti gli onor vetusti de l'arme invitte alla sua Italia denno. Quindi terran lo scettro i signor giusti, che, come il savio Augusto e Numa fenno, sotto il benigno e buon governo loro ritorneran la prima età de l'oro.

19
Acciò dunque il voler del ciel si metta in effetto per te, che di Ruggiero t'ha per moglier fin da principio eletta, segue animosamente il tuo sentiero; che cosa non sarà che s'intrometta da poterti turbar questo pensiero, sì che non mandi al primo assalto in terra quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. -

20
Tacque Merlino avendo così detto, ed agio all'opre de la Maga diede, ch'a Bradamante dimostrar l'aspetto si preparava di ciascun suo erede. Avea di spirti un gran numero eletto, non so se da l'Inferno o da qual sede, e tutti quelli in un luogo raccolti sotto abiti diversi e vari volti.

21
Poi la donzella a sé richiama in chiesa, là dove prima avea tirato un cerchio che la potea capir tutta distesa, ed avea un palmo ancora di superchio. E perché da li spirti non sia offesa, le fa d'un gran pentacolo coperchio; e le dice che taccia e stia a mirarla: poi scioglie il libro, e coi demoni parla.

22
Eccovi fuor de la prima spelonca, che gente intorno al sacro cerchio ingrossa; ma, come vuole entrar, la via l'è tronca, come lo cinga intorno muro e fossa. In quella stanza, ove la bella conca in sé chiudea del gran profeta l'ossa, entravan l'ombre, poi ch'avean tre volte fatto d'intorno lor debite volte.

23

24
Vedi quel primo che ti rassimiglia ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto: capo in Italia fia di tua famiglia, del seme di Ruggiero in te concetto. Veder del sangue di Pontier vermiglia per mano di costui la terra aspetto, e vendicato il tradimento e il torto contra quei che gli avranno il padre morto.

25
Per opra di costui sarà deserto il re de' Longobardi Desiderio: d'Este e di Calaon per questo merto il bel dominio avrà dal sommo Imperio. Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto, onor de l'arme e del paese esperio: per costui contra Barbari difesa più d'una volta fia la santa Chiesa.

26
Vedi qui Alberto, invitto capitano ch'ornerà di trofei tanti delubri: Ugo il figlio è con lui, che di Milano farà l'acquisto, e spiegherà i colubri. Azzo è quell'altro, a cui resterà in mano dopo il fratello, il regno degli Insubri. Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio torrà d'Italia Beringario e il figlio;

27
e sarà degno a cui Cesare Otone Alda sua figlia, in matrimonio aggiunga. Vedi un altro Ugo: oh bella successione, che dal patrio valor non si dislunga! Costui sarà, che per giusta cagione ai superbi Roman l'orgoglio emunga, che 'l terzo Otone e il pontefice tolga de le man loro, e 'l grave assedio sciolga.

28
Vedi Folco, che par ch'al suo germano, ciò che in Italia avea, tutto abbi dato, e vada a possedere indi lontano in mezzo agli Alamanni un gran ducato; e dia alla casa di Sansogna mano, che caduta sarà tutta da un lato; e per la linea de la madre, erede, con la progenie sua la terrà in piede.

29
Questo ch'or a nui viene è il secondo Azzo, di cortesia più che di guerre amico, tra dui figli, Bertoldo ed Albertazzo. Vinto da l'un sarà il secondo Enrico, e del sangue tedesco orribil guazzo Parma vedrà per tutto il campo aprico: de l'altro la contessa gloriosa, saggia e casta Matilde, sarà sposa.

30
Virtù il farà di tal connubio degno; ch'a quella età non poca laude estimo quasi di mezza Italia in dote il regno, e la nipote aver d'Enrico primo. Ecco di quel Bertoldo il caro pegno, Rinaldo tuo, ch'avrà l'onor opimo d'aver la Chiesa de le man riscossa de l'empio Federico Barbarossa.

31
Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona avrà in poter col suo bel tenitorio; e sarà detto marchese d'Ancona dal quarto Otone e dal secondo Onorio. Lungo sarà s'io mostro ogni persona del sangue tuo, ch'avrà del consistorio il confalone, e s'io narro ogni impresa vinta da lor per la romana Chiesa.

32
Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi, ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto; duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi, e vesta di Spoleti il ducal manto. Ecco che 'l sangue e le gran piaghe asciughi d'Italia afflitta, e volga in riso il pianto: di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto) onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.

33
Ezellino, immanissimo tiranno, che fia creduto figlio del demonio, farà, troncando i sudditi, tal danno, e distruggendo il bel paese ausonio, che pietosi apo lui stati saranno Mario, Silla, Neron, Caio ed Antonio. E Federico imperator secondo fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.

34
Terrà costui con più felice scettro la bella terra che siede sul fiume, dove chiamò con lacrimoso plettro Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume, quando fu pianto il fabuloso elettro, e Cigno si vestì di bianche piume; e questa di mille oblighi mercede gli donerà l'Apostolica sede.

35
Dove lascio il fratel Aldrobandino? che per dar al pontefice soccorso contra Oton quarto e il campo ghibellino che sarà presso al Campidoglio corso, ed avrà preso ogni luogo vicino, e posto agli Umbri e alli Piceni il morso; né potendo prestargli aiuto senza molto tesor, ne chiederà a Fiorenza;

36
e non avendo gioie o miglior pegni, per sicurtà daralle il frate in mano. Spiegherà i suoi vittoriosi segni, e romperà l'esercito germano; in seggio riporrà la Chiesa, e degni darà supplici ai conti di Celano; ed al servizio del sommo Pastore finirà gli anni suoi nel più bel fiore.

37
Ed Azzo, il suo fratel, lascierà erede del dominio d'Ancona e di Pisauro, d'ogni città che da Troento siede tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro, e di grandezza d'animo e di fede, e di virtù, miglior che gemme ed auro: che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna; sol in virtù non ha possanza alcuna.

38
Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio splenderà di valor, pur che non sia a tanta esaltazion del bel lignaggio Morte o Fortuna invidiosa e ria. Udirne il duol fin qui da Napoli aggio, dove del padre allor statico fia. Or Obizzo ne vien, che giovinetto dopo l'avo sarà principe eletto.

39
Al bel dominio accrescerà costui Reggio giocondo, e Modona feroce. Tal sarà il suo valor, che signor lui domanderanno i populi a una voce. Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui, confalonier de la cristiana croce: avrà il ducato d'Andria con la figlia del secondo re Carlo di Siciglia.

40
Vedi in un bello ed amichevol groppo de li principi illustri l'eccellenza: Obizzo, Aldrobandin, Nicolò zoppo, Alberto, d'amor pieno e di clemenza. Io tacerò, per non tenerti troppo, come al bel regno aggiungeran Favenza, e con maggior fermezza Adria, che valse da sé nomar l'indomite acque salse;

41
Come la terra, il cui produr di rose le diè piacevol nome in greche voci, e la città ch'in mezzo alle piscose paludi, del Po teme ambe le foci, dove abitan le genti disiose che 'l mar si turbi e sieno i venti atroci. Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille altre castella e populose ville.

42
Ve' Nicolò, che tenero fanciullo il popul crea signor de la sua terra, e di Tideo fa il pensier vano e nullo, che contra lui le civil arme afferra. Sarà di questo il pueril trastullo sudar nel ferro e travagliarsi in guerra; e da lo studio del tempo primiero il fior riuscirà d'ogni guerriero.

43
Farà de' suoi ribelli uscire a voto ogni disegno, e lor tornare in danno; ed ogni stratagema avrà sì noto, che sarà duro il poter fargli inganno. Tardi di questo s'avedrà il terzo Oto, e di Reggio e di Parma aspro tiranno, che da costui spogliato a un tempo fia e del dominio e de la vita ria.

44
Avrà il bel regno poi sempre augumento senza torcer mai piè dal camin dritto; né ad alcuno farà mai nocumento, da cui prima non sia d'ingiuria afflitto: ed è per questo il gran Motor contento che non gli sia alcun termine prescritto: ma duri prosperando in meglio sempre, fin che si volga il ciel ne le sue tempre.

45
Vedi Leonello, e vedi il primo duce, fama de la sua età, l'inclito Borso, che siede in pace, e più trionfo adduce di quanti in altrui terre abbino corso. Chiuderà Marte ove non veggia luce, e stringerà al Furor le mani al dorso. Di questo signor splendido ogni intento sarà che 'l popul suo viva contento.

46
Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia, col piè mezzo arso e con quei debol passi, come a Budrio col petto e con la faccia il campo volto in fuga gli fermassi; non perché in premio poi guerra gli faccia, né, per cacciarlo, fin nel Barco passi. Questo è il signor, di cui non so esplicarme se fia maggior la gloria o in pace o in arme.

47
Terran Pugliesi, Calabri e Lucani de' gesti di costui lunga memoria, là dove avrà dal Re de' Catalani di pugna singular la prima gloria; e nome tra gl'invitti capitani s'acquisterà con più d'una vittoria: avrà per sua virtù la signoria, più di trenta anni a lui debita pria.

48
E quanto più aver obligo si possa a principe, sua terra avrà a costui; non perché fia de le paludi mossa tra campi fertilissimi da lui; non perché la farà con muro e fossa meglio capace a' cittadini sui, e l'ornarà di templi e di palagi, di piazze, di teatri e di mille agi;

49
non perché dagli artigli de l'audace aligero Leon terrà difesa; non perché, quando la gallica face per tutto avrà la bella Italia accesa, si starà sola col suo stato in pace, e dal timore e dai tributi illesa: non sì per questi ed altri benefici saran sue genti ad Ercol debitrici:

50
quanto che darà lor l'inclita prole, il giusto Alfonso e Ippolito benigno, che saran quai l'antiqua fama suole narrar de' figli del Tindareo cigno, ch'alternamente si privan del sole per trar l'un l'altro de l'aer maligno. Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte l'altro salvar con sua perpetua morte.

51
Il grande amor di questa bella coppia renderà il popul suo via più sicuro, che se, per opra di Vulcan, di doppia cinta di ferro avesse intorno il muro. Alfonso è quel che col saper accoppia sì la bontà, ch'al secolo futuro la gente crederà che sia dal cielo tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.

52
A grande uopo gli fia l'esser prudente, e di valore assimigliarsi al padre; che si ritroverà, con poca gente, da un lato aver le veneziane squadre, colei dall'altro, che più giustamente non so se devrà dir matrigna o madre; ma se per madre, a lui poco più pia, che Medea ai figli o Progne stata sia.

53
E quante volte uscirà giorno o notte col suo popul fedel fuor de la terra, tante sconfitte e memorabil rotte darà a' nimici o per acqua o per terra. Le genti di Romagna mal condotte, contra i vicini e lor già amici, in guerra, se n'avedranno, insanguinando il suolo che serra il Po, Santerno e Zanniolo.

54
Nei medesmi confini anco saprallo del gran Pastore il mercenario Ispano, che gli avrà dopo con poco intervallo la Bastìa tolta, e morto il castellano, quando l'avrà già preso; e per tal fallo non fia, dal minor fante al capitano, che del racquisto e del presidio ucciso a Roma riportar possa l'aviso.

55
Costui sarà, col senno e con la lancia, ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna, d'aver dato all'esercito di Francia la gran vittoria contra Iulio e Spagna. Nuoteranno i destrier fin alla pancia nel sangue uman per tutta la campagna; ch'a sepelire il popul verrà manco tedesco, ispano, greco, italo, e franco.

56
Quel ch'in pontificale abito imprime del purpureo capel la sacra chioma, è il liberal, magnanimo, sublime, gran cardinal de la Chiesa di Roma Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime darà materia eterna in ogni idioma; la cui fiorita età vuole il ciel iusto ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.

57
Adornerà la sua progenie bella, come orna il sol la machina del mondo molto più de la luna e d'ogni stella; ch'ogn'altro lume a lui sempre è secondo. Costui con pochi a piedi e meno in sella veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo; che quindici galee mena captive, oltra mill'altri legni alle sue rive.

58
Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo. Vedi d'Alfonso i cinque figli cari, alla cui fama ostar, che di sé il mondo non empia, i monti non potran né i mari: gener del re di Francia, Ercol secondo è l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari) Ippolito è, che non con minor raggio che 'l zio, risplenderà nel suo lignaggio;

59
Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui ambi son detti. Or, come io dissi prima, s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui valor la stirpe sua tanto sublima, bisognerà che si rischiari e abbui più volte prima il ciel, ch'io te li esprima: e sarà tempo ormai, quando ti piaccia, ch'io dia licenza all'ombre e ch'io mi taccia. -

60
Così con voluntà de la donzella la dotta incantatrice il libro chiuse. Tutti gli spirti allora ne la cella spariro in fretta, ove eran l'ossa chiuse. Qui Bradamante, poi che la favella le fu concessa usar, la bocca schiuse, e domandò: - Chi son li dua sì tristi, che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?

61
Veniano sospirando, e gli occhi bassi parean tener d'ogni baldanza privi; e gir lontan da loro io vedea i passi dei frati sì, che ne pareano schivi. - Parve ch'a tal domanda si cangiassi la maga in viso, e fe' degli occhi rivi, e gridò: - Ah sfortunati, a quanta pena lungo istigar d'uomini rei vi mena!

62
O bona prole, o degna d'Ercol buono, non vinca il lor fallir vostra bontade: di vostro sangue i miseri pur sono; qui ceda la iustizia alla pietade. - Indi soggiunse con più basso suono:

63
Tosto che spunti in ciel la prima luce, piglierai meco la più dritta via ch'al lucente castel d'acciai' conduce, dove Ruggier vive in altrui balìa. Io tanto ti sarò compagna e duce, che tu sia fuor de l'aspra selva ria: t'insegnerò, poi che saren sul mare, sì ben la via, che non potresti errare. -

64
Quivi l'audace giovane rimase tutta la notte, e gran pezzo ne spese a parlar con Merlin, che le suase rendersi tosto al suo Ruggier cortese. Lasciò di poi le sotterranee case, che di nuovo splendor l'aria s'accese, per un camin gran spazio oscuro e cieco, avendo la spirtal femmina seco.

65
E riusciro in un burrone ascoso tra monti inaccessibili alle genti; e tutto 'l dì senza pigliar riposo saliron balze e traversar torrenti. E perché men l'andar fosse noioso, di piacevoli e bei ragionamenti, di quel che fu più conferir soave, l'aspro camin facean parer men grave:

66
di quali era però la maggior parte, ch'a Bradamante vien la dotta maga mostrando con che astuzia e con qual arte proceder de', se di Ruggiero è vaga.

67
che oltre che d'acciar murata sia la rocca inespugnabile, e tant'alta; oltre che 'l suo destrier si faccia via per mezzo l'aria, ove galoppa e salta; ha lo scudo mortal, che come pria si scopre, il suo splendor sì gli occhi assalta, la vista tolle, e tanto occupa i sensi, che come morto rimaner conviensi.

68
E se forse ti pensi che ti vaglia combattendo tener serrati gli occhi, come potrai saper ne la battaglia quando ti schivi, o l'avversario tocchi? Ma per fuggire il lume ch'abbarbaglia, e gli altri incanti di colui far sciocchi, ti mostrerò un rimedio, una via presta; né altra in tutto 'l mondo è se non questa.

69
Il re Agramante d'Africa uno annello, che fu rubato in India a una regina, ha dato a un suo baron detto Brunello, che poche miglia inanzi ne camina; di tal virtù, che chi nel dito ha quello, contra il mal degl'incanti ha medicina. Sa de furti e d'inganni Brunel, quanto colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto.

70
Questo Brunel sì pratico e sì astuto, come io ti dico, è dal suo re mandato acciò che col suo ingegno e con l'aiuto di questo annello, in tal cose provato, di quella rocca dove è ritenuto, traggia Ruggier, che così s'è vantato, ed ha così promesso al suo signore, a cui Ruggiero è più d'ogn'altro a core.

71
Ma perché il tuo Ruggiero a te sol abbia, e non al re Agramante, ad obligarsi che tratto sia de l'incantata gabbia, t'insegnerò il rimedio che de' usarsi. Tu te n'andrai tre dì lungo la sabbia del mar, ch'è oramai presso a dimostrarsi; il terzo giorno in un albergo teco arriverà costui c'ha l'annel seco.

72
La sua statura, acciò tu lo conosca, non è sei palmi, ed ha il capo ricciuto; le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca; pallido il viso, oltre il dover barbuto; gli occhi gonfiati e guardatura losca; schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto: l'abito, acciò ch'io lo dipinga intero, è stretto e corto, e sembra di corriero.

73
Con esso lui t'accaderà soggetto di ragionar di quell'incanti strani: mostra d'aver, come tu avra' in effetto, disio che 'l mago sia teco alle mani; ma non mostrar che ti sia stato detto di quel suo annel che fa gl'incanti vani. Egli t'offerirà mostrar la via fin alla rocca e farti compagnia.

74
Tu gli va dietro: e come t'avicini a quella rocca sì ch'ella si scopra, dàgli la morte; né pietà t'inchini che tu non metta il mio consiglio in opra. Né far ch'egli il pensier tuo s'indovini, e ch'abbia tempo che l'annel lo copra; perché ti spariria dagli occhi, tosto ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto. -

75
Così parlando, giunsero sul mare, dove presso a Bordea mette Garonna. Quivi, non senza alquanto lagrimare, si dipartì l'una da l'altra donna. La figliuola d'Amon, che per slegare di prigione il suo amante non assonna, caminò tanto, che venne una sera ad uno albergo, ove Brunel prim'era.

76
Conosce ella Brunel come lo vede, di cui la forma avea sculpita in mente: onde ne viene, ove ne va, gli chiede; quel le risponde, e d'ogni cosa mente. La donna, già prevista, non gli cede in dir menzogne, e simula ugualmente e patria e stirpe e setta e nome e sesso; e gli volta alle man pur gli occhi spesso.

77
Gli va gli occhi alle man spesso voltando, in dubbio sempre esser da lui rubata; né lo lascia venir troppo accostando, di sua condizion bene informata. Stavano insieme in questa guisa, quando l'orecchia da un rumor lor fu intruonata. Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa, ch'avrò fatto al cantar debita pausa.



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