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CANTO VENTISEIESIMO


1
Cortesi donne ebbe l'antiqua etade, che le virtù, non le ricchezze, amaro: al tempo nostro si ritrovan rade a cui, più del guadagno, altro sia caro. Ma quelle che per lor vera bontade non seguon de le più lo stile avaro, vivendo, degne son d'esser contente; gloriose e immortal poi che fian spente.

2
Degna d'eterna laude è Bradamante, che non amò tesor, non amò impero, ma la virtù, ma l'animo prestante, ma l'alta gentilezza di Ruggiero; e meritò che ben le fosse amante un così valoroso cavalliero, e per piacere a lei facesse cose nei secoli avenir miracolose.

3
Ruggier, come di sopra vi fu detto, coi duo di Chiaramonte era venuto, dico con Aldigier, con Ricciardetto, per dare ai duo fratei prigioni aiuto. Vi dissi ancor che di superbo aspetto venire un cavalliero avean veduto, che portava l'augel che si rinuova, e sempre unico al mondo si ritrova.

4
Come di questi il cavallier s'accorse, che stavan per ferir quivi su l'ale, in prova disegnò di voler porse, s'alla sembianza avean virtude uguale.

5

6
Per tor lor duo de' nostri che prigioni quinci trarran, pietade e amor n'ha mosso. - E seguitò narrando le cagioni che li fece venir con l'arme indosso.

7
Io chiedea un colpo o dui con voi scontrarme, per veder quanto fosse il valor vostro; ma quando all'altrui spese dimostrarme lo vogliate, mi basta, e più non giostro. Vi priego ben, che por con le vostr'arme quest'elmo io possa e questo scudo nostro; e spero dimostrar, se con voi vegno, che di tal compagnia non sono indegno. -

8
Parmi veder ch'alcun saper desia il nome di costui, che quivi giunto a Ruggiero e a' compagni si offeria compagno d'arme al periglioso punto. Costei (non più costui detto vi sia) era Marfisa che diede l'assunto al misero Zerbin de la ribalda vecchia Gabrina ad ogni mal sì calda.

9
I duo di Chiaramonte e il buon Ruggiero l'accettar volentier ne la lor schiera, ch'esser credeano certo un cavalliero, e non donzella, e non quella ch'ella era. Non molto dopo scoperse Aldigiero e veder fe' ai compagni una bandiera che facea l'aura tremolare in volta, e molta gente intorno avea raccolta.

10
E poi che più lor fur fatti vicini, e che meglio notar l'abito moro, conobbero che gli eran Saracini, e videro i prigioni in mezzo a loro legati e tratti su piccol ronzini a' Maganzesi, per cambiarli in oro. Disse Marfisa agli altri: - Ora che resta, poi che son qui, di cominciar la festa? -

11
Ruggier rispose: - Gl'invitati ancora non ci son tutti, e manca una gran parte. Gran ballo s'apparecchia di fare ora; e perché sia solenne, usiamo ogn'arte: ma far non ponno omai lunga dimora. - Così dicendo, veggono in disparte venire i traditori di Maganza: sì ch'eran presso a cominciar la danza.

12
Giungean da l'una parte i Maganzesi, e conducean con loro i muli carchi d'oro e di vesti e d'altri ricchi arnesi; da l'altra in mezzo a lance, spade ed archi, venian dolenti i duo germani presi, che si vedeano essere attesi ai varchi: e Bertolagi, empio inimico loro, udian parlar col capitano Moro.

13
Né di Buovo il figliuol né quel d'Amone, veduto il Maganzese, indugiar puote: la lancia in resta l'uno e l'altro pone, e l'uno e l'altro il traditor percuote. L'un gli passa la pancia e 'l primo arcione, e l'altro il viso per mezzo le gote. Così n'andasser pur tutti i malvagi, come a quei colpi n'andò Bertolagi.

14
Marfisa con Ruggiero a questo segno si muove, e non aspetta altra trombetta; né prima rompe l'arrestato legno, che tre, l'un dopo l'altro, in terra getta. De l'asta di Ruggier fu il pagan degno, che guidò gli altri, e uscì di vita in fretta; e per quella medesima con lui uno ed un altro andò nei regni bui.

15
Di qui nacque un error tra gli assaliti, che lor causò lor ultima ruina. Da un lato i Maganzesi esser traditi credeansi da la squadra saracina; da l'altro i Mori in tal modo feriti, l'altra schiera chiamavano assassina: e tra lor cominciar con fiera clade a tirare archi e a menar lance e spade.

16
Salta ora in questa squadra ed ora in quella Ruggiero, e via ne toglie or dieci or venti: altritanti per man de la donzella di qua e di là ne son scemati e spenti. Tanti si veggon gir morti di sella, quanti ne toccan le spade taglienti, a cui dan gli elmi e le corazze loco, come nel bosco i secchi legni al fuoco.

17
Se mai d'aver veduto vi raccorda,

18
Non così Ricciardetto e il suo cugino tra le due genti variavan danza, perché, lasciando il campo saracino, sol tenean l'occhio all'altro di Maganza. Il fratel di Rinaldo paladino con molto animo avea molta possanza, e quivi raddoppiar glie la facea l'odio che contra ai Maganzesi avea.

19
Facea parer questa medesma causa un leon fiero il bastardo di Buovo, che con la spada senza indugio e pausa fende ogn'elmo, o lo schiaccia come un ovo. E qual persona non saria stata ausa, non saria comparita un Ettor nuovo, Marfisa avendo in compagnia e Ruggiero, ch'eran la scelta e 'l fior d'ogni guerriero?

20
Marfisa tuttavolta combattendo, spesso ai compagni gli occhi rivoltava; e di lor forza paragon vedendo, con maraviglia tutti li lodava: ma di Ruggier pur il valor stupendo e senza pari al mondo le sembrava; e talor si credea che fosse Marte sceso dal quinto cielo in quella parte.

21
Mirava quelle orribili percosse, miravale non mai calare in fallo: parea che contra Balisarda fosse il ferro carta e non duro metallo. Gli elmi tagliava e le corazze grosse, e gli uomini fendea fin sul cavallo, e li mandava in parte uguali al prato, tanto da l'un quanto da l'altro lato.

22
Continuando la medesma botta, uccidea col signore il cavallo anche. I capi dalle spalle alzava in frotta, e spesso i busti dipartia da l'anche. Cinque e più a un colpo ne tagliò talotta: e se non che pur dubito che manche credenza al ver c'ha faccia di menzogna, di più direi; ma di men dir bisogna.

23
Il buon Turpin, che sa che dice il vero, e lascia creder poi quel ch'a l'uom piace, narra mirabil cose di Ruggiero, ch'udendolo, il direste voi mendace. Così parea di ghiaccio ogni guerriero contra Marfisa, ed ella ardente face; e non men di Ruggier gli occhi a sé trasse, ch'ella di lui l'alto valor mirasse.

24
E s'ella lui Marte stimato avea, stimato egli avria lei forse Bellona, se per donna così la conoscea, come parea il contrario alla persona. E forse emulazion tra lor nascea per quella gente misera, non buona, ne la cui carne e sangue e nervi ed ossa fan prova chi di loro abbia più possa.

25
Bastò di quattro l'animo e il valore a far ch'un campo e l'altro andasse rotto. Non restava arme, a chi fuggia, migliore che quella che si porta più di sotto. Beato chi il cavallo ha corridore, ch'in prezzo non è quivi ambio né trotto; e chi non ha destrier, quivi s'avede, quanto il mestier de l'arme è tristo a piede.

26
Riman la preda e 'l campo ai vincitori che non è fante o mulatier che resti. Là Maganzesi, e qua fuggono i Mori: quei lasciano i prigion, le some questi. Furon, con lieti visi e più coi cori, Malagigi e Viviano a scioglier presti; non fur men diligenti a sciorre i paggi, e por le some in terra e i carriaggi.

27
Oltre una buona quantità d'argento ch'in diverse vasella era formato, ed alcun muliebre vestimento di lavoro bellissimo fregiato, e per stanze reali un paramento d'oro e di seta in Fiandra lavorato, ed altre cose ricche in copia grande; fiaschi di vin trovar, pane e vivande.

28
Al trar degli elmi, tutti vider come avea lor dato aiuto una donzella: fu conosciuta all'auree crespe chiome ed alla faccia delicata e bella. L'onoran molto, e pregano che 'l nome di gloria degno non asconda; ed ella, che sempre tra gli amici era cortese, a dar di sé notizia non contese.

29
Non si ponno saziar di riguardarla; che tal vista l'avean ne la battaglia. Sol mira ella Ruggier, sol con lui parla: altri non prezza, altri non par che vaglia. Vengono i servi intanto ad invitarla coi compagni a goder la vettovaglia, ch'apparecchiata avean sopra una fonte che difendea dal raggio estivo un monte.

30
Era una de le fonti di Merlino, de le quattro di Francia da lui fatte, d'intorno cinta di bel marmo fino, lucido e terso, e bianco più che latte. Quivi d'intaglio con lavor divino avea Merlino imagini ritratte: direste che spiravano, e, se prive non fossero di voce, ch'eran vive.

31
Quivi una bestia uscir de la foresta parea, di crudel vista, odiosa e brutta, ch'avea l'orecchie d'asino, e la testa di lupo e i denti, e per gran fame asciutta; branche avea di leon; l'altro che resta, tutto era volpe: e parea scorrer tutta e Francia e Italia e Spagna ed Inghelterra, l'Europa e l'Asia, e al fin tutta la terra.

32
Per tutto avea genti ferite e morte, la bassa plebe e i più superbi capi: anzi nuocer parea molto più forte a re, a signori, a principi, a satrapi. Peggio facea ne la romana corte, che v'avea uccisi cardinali e papi: contaminato avea la bella sede di Pietro e messo scandol ne la fede.

33
Par che dinanzi a questa bestia orrenda cada ogni muro, ogni ripar che tocca. Non si vede città che si difenda: se l'apre incontra ogni castello e rocca. Par che agli onor divini anco s'estenda, e sia adorata da la gente sciocca, e che le chiavi s'arroghi d'avere del cielo e de l'abisso in suo potere.

34
Poi si vedea d'imperiale alloro cinto le chiome un cavallier venire con tre giovini a par, che i gigli d'oro tessuti avean nel lor real vestire; e, con insegna simile, con loro parea un leon contra quel mostro uscire: avean lor nomi chi sopra la testa, e chi nel lembo scritto de la vesta.

35
L'un ch'avea fin a l'elsa ne la pancia la spada immersa alla maligna fera, Francesco primo, avea scritto, di Francia; Massimigliano d'Austria a par seco era; e Carlo quinto imperator, di lancia avea passato il mostro alla gorgiera; e l'altro, che di stral gli fige il petto, l'ottavo Enrigo d'Inghilterra è detto.

36
Decimo ha quel Leon scritto sul dosso, ch'al brutto mostro i denti ha ne l'orecchi; e tanto l'ha già travagliato e scosso, che vi sono arrivati altri parecchi. Parea del mondo ogni timor rimosso; ed in emenda degli errori vecchi nobil gente accorrea, non però molta, onde alla belva era la vita tolta.

37
I cavallieri stavano e Marfisa con desiderio di conoscer questi per le cui mani era la bestia uccisa, che fatti avea tanti luoghi atri e mesti. Avenga che la pietra fosse incisa dei nomi lor, non eran manifesti. Si pregavan tra lor, che se sapesse l'istoria alcuno, agli altri la dicesse.

38
Voltò Viviano a Malagigi gli occhi, che stava a udire, e non facea lor motto:

39
Sappiate che costor che qui scritto hanno nel marmo i nomi, al mondo mai non furo; ma fra settecento anni vi saranno, con grande onor del secolo futuro. Merlino, il savio incantator britanno, fe' far la fonte al tempo del re Arturo; e di cose ch'al mondo hanno a venire, la fe' da buoni artefici scolpire.

40
Questa bestia crudele uscì del fondo de lo 'nferno a quel tempo che fur fatti alle campagne i termini, e fu il pondo trovato e la misura, e scritti i patti. Ma non andò a principio in tutto 'l mondo: di sé lasciò molti paesi intatti. Al tempo nostro in molti lochi sturba; ma i populari offende e la vil turba.

41
Dal suo principio infin al secol nostro sempre è cresciuto, e sempre andrà crescendo: sempre crescendo, al lungo andar fia il mostro il maggior che mai fosse e lo più orrendo. Quel Fiton che per carte e per inchiostro s'ode che fu sì orribile e stupendo, alla metà di questo non fu tutto, né tanto abominevol né sì brutto.

42
Farà strage crudel, né sarà loco che non guasti, contamini ed infetti: e quanto mostra la scultura, è poco de' suoi nefandi e abominosi effetti. Al mondo, di gridar mercé già roco, questi, dei quali i nomi abbiamo letti, che chiari splenderan più che piropo, verranno a dare aiuto al maggior uopo.

43
Alla fera crudele il più molesto non sarà di Francesco il re de' Franchi: e ben convien che molti ecceda in questo, e nessun prima e pochi n'abbia a' fianchi; quando in splendor real, quando nel resto di virtù farà molti parer manchi, che già parver compiuti; come cede tosto ogn'altro splendor, che 'l sol si vede.

44
L'anno primier del fortunato regno, non ferma ancor ben la corona in fronte, passerà l'Alpe, e romperà il disegno di chi all'incontro avrà occupato il monte, da giusto spinto e generoso sdegno, che vendicate ancor non sieno l'onte che dal furor da paschi e mandre uscito l'esercito di Francia avrà patito.

45
E quindi scenderà nel ricco piano di Lombardia, col fior di Francia intorno, e sì l'Elvezio spezzerà, ch'invano farà mai più pensier d'alzare il corno. Con grande e de la Chiesa e de l'ispano campo e del fiorentin vergogna e scorno espugnerà il castel che prima stato sarà non espugnabile stimato.

46
Sopra ogn'altr'arme, ad espugnarlo, molto più gli varrà quella onorata spada con la qual prima avrà di vita tolto il mostro corruttor d'ogni contrada. Convien ch'inanzi a quella sia rivolto in fuga ogni stendardo, o a terra vada; né fossa, né ripar, né grosse mura possan da lei tener città sicura.

47
Questo principe avrà quanta eccellenza aver felice imperator mai debbia: l'animo del gran Cesar, la prudenza di chi mostrolla a Transimeno e a Trebbia, con la fortuna d'Alessandro, senza cui saria fumo ogni disegno, e nebbia. Sarà sì liberal, ch'io lo contemplo qui non aver né paragon né esemplo. -

48
Così diceva Malagigi, e messe desire a' cavallier d'aver contezza del nome d'alcun altro ch'uccidesse l'infernal bestia, uccider gli altri avezza. Quivi un Bernardo tra' primi si lesse, che Merlin molto nel suo scritto apprezza.

49
Non mette piede inanzi ivi persona a Sismondo, a Giovanni, a Ludovico: un Gonzaga, un Salviati, un d'Aragona, ciascuno al brutto mostro aspro nimico. V'è Francesco Gonzaga, né abandona le sue vestigie il figlio Federico; ed ha il cognato e il genero vicino, quel di Ferrara, e quel duca d'Urbino.

50
De l'un di questi il figlio Guidobaldo non vuol che 'l padre o ch'altri a dietro il metta. Con Otobon dal Flisco, Sinibaldo caccia la fera, e van di pari in fretta. Luigi da Gazolo il ferro caldo fatto nel collo le ha d'una saetta, che con l'arco gli diè Febo, quando anco Marte la spada sua gli messe al fianco.

51
Duo Erculi, duo Ippoliti da Este, un altro Ercule, un altro Ippolito anco, da Gonzaga, de' Medici, le peste seguon del mostro, e l'han, cacciando, stanco. Né Giuliano al figliuol, né par che reste Ferrante al fratel dietro; né che manco Andrea Doria sia pronto; né che lassi Francesco Sforza, ch'ivi uomo lo passi.

52
Del generoso, illustre e chiaro sangue d'Avalo vi son dui ch'han per insegna lo scoglio, che dal capo ai piedi d'angue par che l'empio Tifeo sotto si tegna. Non è di questi duo, per fare esangue l'orribil mostro, che più inanzi vegna: l'uno Francesco di Pescara invitto, l'altro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto.

53
Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato, l'ispano onor, ch'in tanto pregio v'era, che fu da Malagigi sì lodato, che pochi il pareggiar di quella schiera? Guglielmo si vedea di Monferrato fra quei che morto avean la brutta fera; ed eran pochi verso gl'infiniti ch'ella v'avea chi morti e chi feriti.

54
In giuochi onesti e parlamenti lieti, dopo mangiar, spesero il caldo giorno, corcati su finissimi tapeti tra gli arbuscelli ond'era il rivo adorno. Malagigi e Vivian, perché quieti più fosser gli altri, tenean l'arme intorno; quando una donna senza compagnia vider, che verso lor ratto venìa.

55
Questa era quella Ippalca a cui fu tolto Frontino, il bon destrier, da Rodomonte. L'avea il dì inanzi ella seguito molto, pregandolo ora, ora dicendogli onte; ma non giovando, avea il camin rivolto per ritrovar Ruggiero in Agrismonte. Tra via le fu (non so già come) detto che quivi il troveria con Ricciardetto.

56
E perché il luogo ben sapea (che v'era stata altre volte), se ne venne al dritto alla fontana; ed in quella maniera ve lo trovò, ch'io v'ho di sopra scritto. Ma come buona e cauta messaggera che sa meglio esequir che non l'è ditto, quando vide il fratel di Bradamante, non conoscer Ruggier fece sembiante.

57
A Ricciardetto tutta rivoltosse, sì come drittamente a lui venisse; e quel che la conobbe, se le mosse incontra, e domandò dove ne gisse. Ella ch'ancora avea le luci rosse del pianger lungo, sospirando disse; ma disse forte, acciò che fosse espresso a Ruggiero il suo dir, che gli era presso.

58

59
Era sì baldanzoso il creder mio, ch'io non stimava alcun di cor sì saldo, che me l'avesse a tor, dicendogli io ch'era de la sorella di Rinaldo. Ma vano il mio disegno ieri m'uscìo, che me lo tolse un Saracin ribaldo; né per udir di chi Frontino fusse, a volermelo rendere s'indusse.

60
Tutto ieri ed oggi l'ho pregato; e quando ho visto uscir prieghi e minacce invano, maledicendol molto e bestemmiando, l'ho lasciato di qui poco lontano, dove il cavallo e sé molto affannando, s'aiuta, quanto può, con l'arme in mano contra un guerrier ch'in tal travaglio il mette, che spero ch'abbia a far le mie vendette. -

61
Ruggiero a quel parlar salito in piede, ch'avea potuto a pena il tutto udire, si volta a Ricciardetto, e per mercede e premio e guidardon del ben servire (prieghi aggiungendo senza fin) gli chiede che con la donna solo il lasci gire tanto che 'l Saracin gli sia mostrato, ch'a lei di mano ha il buon destrier levato.

62
A Ricciardetto, ancor che discortese il concedere altrui troppo paresse di terminar le a sé debite imprese, al voler di Ruggier pur si rimesse: e quel licenza dai compagni prese, e con Ippalca a ritornar si messe, lasciando a quei che rimanean, stupore, con maraviglia pur del suo valore.

63
Poi che dagli altri allontanato alquanto Ippalca l'ebbe, gli narrò ch'ad esso era mandata da colei che tanto avea nel core il suo valore impresso; e senza finger più, seguitò quanto la sua donna al partir le avea commesso, e che se dianzi avea altrimente detto, per la presenza fu di Ricciardetto.

64
Disse, che chi le avea tolto il destriero, ancor detto l'avea con molto orgoglio:

65
Ascoltando, Ruggier mostra nel volto, di quanto sdegno acceso il cor gli sia, sì perché caro avria Frontino molto, sì perché venìa il dono onde venìa sì perché in suo dispregio gli par tolto; vede che biasmo e disonor gli fia, se torlo a Rodomonte non s'affretta, e sopra lui non fa degna vendetta.

66
La donna Ruggier guida, e non soggiorna, che por lo brama col Pagano a fronte; e giunge ove la strada fa dua corna: l'un va giù al piano, e l'altro va su al monte; e questo e quel ne la vallea ritorna, dov'ella avea lasciato Rodomonte. Aspra, ma breve era la via del colle; l'altra più lunga assai, ma piana e molle.

67
Il desiderio che conduce Ippalca d'aver Frontino e vendicar l'oltraggio, fa che 'l sentier de la montagna calca, onde molto più corto era il viaggio. Per l'altra intanto il re d'Algier cavalca col Tartaro e cogli altri che detto aggio; e giù nel pian la via più facil tiene, né con Ruggier ad incontrar si viene.

68
Già son le lor querele differite fin che soccorso ad Agramante sia (questo sapete); ed han d'ogni lor lite la cagion, Doralice, in compagnia. Ora il successo de l'istoria udite. Alla fontana è la lor dritta via, ove Aldigier, Marfisa, Ricciardetto, Malagigi e Vivian stanno a diletto.

69
Marfisa a' prieghi de' compagni avea veste da donna ed ornamenti presi, di quelli ch'a Lanfusa si credea mandare il traditor de' Maganzesi; e ben che veder raro si solea senza l'osbergo e gli altri buoni arnesi, pur quel dì se li trasse; e come donna, a' prieghi lor lasciò vedersi in gonna.

70
Tosto che vede il Tartaro Marfisa, per la credenza c'ha di guadagnarla, in ricompensa e in cambio ugual s'avisa di Doralice, a Rodomonte darla; sì come Amor si regga a questa guisa, che vender la sua donna o permutarla possa l'amante, né a ragion s'attrista, se quando una ne perde, una n'acquista.

71
Per dunque provedergli di donzella, acciò per sé quest'altra si ritegna, Marfisa, che gli par leggiadra e bella, e d'ogni cavallier femina degna, come abbia ad aver questa, come quella, subito cara, a lui donar disegna; e tutti i cavallier che con lei vede, a giostra seco ed a battaglia chiede.

72
Malagigi e Vivian, che l'arme aveano come per guardia e sicurtà del resto, si mossero dal luogo ove sedeano, l'un come l'altro alla battaglia presto, perché giostrar con amenduo credeano; ma l'African che non venìa per questo, non ne fe' segno o movimento alcuno: sì che la giostra restò lor contra uno.

73
Viviano è il primo, e con gran cor si muove, e nel venire abbassa un'asta grossa: e 'l re pagan da le famose pruove da l'altra parte vien con maggior possa. Dirizza l'uno e l'altro, e segna dove crede meglio fermar l'aspra percossa. Viviano indarno a l'elmo il pagan fere; che non lo fa piegar, non che cadere.

74
Il re pagan, ch'avea più l'asta dura, fe' lo scudo a Vivian parer di ghiaccio; e fuor di sella in mezzo alla verdura, all'erbe e ai fiori il fe' cadere in braccio. Vien Malagigi, e ponsi in aventura di vendicare il suo fratello avaccio; ma poi d'andargli appresso ebbe tal fretta, che gli fe' compagnia più che vendetta.

75
L'altro fratel fu prima del cugino coll'arme indosso, e sul destrier salito; e disfidato contra il Saracino venne a scontrarlo a tutta briglia ardito. Risonò il colpo in mezzo a l'elmo fino di quel pagan sotto la vista un dito: volò al ciel l'asta in quattro tronchi rotta; ma non mosse il pagan per quella botta.

76
Il pagan ferì lui dal lato manco; e perché il colpo fu con troppa forza, poco lo scudo, e la corazza manco gli valse, che s'aprir come una scorza. Passò il ferro crudel l'omero bianco: piegò Aldigier ferito a poggia e ad orza; tra fiori ed erbe al fin si vide avolto, rosso su l'arme, e pallido nel volto.

77
Con molto ardir vien Ricciardetto appresso; e nel venire arresta sì gran lancia, che mostra ben, come ha mostrato spesso, che degnamente è paladin di Francia: ed al pagan ne facea segno espresso, se fosse stato pari alla bilancia; ma sozzopra n'andò, perché il cavallo gli cadde adosso, e non già per suo fallo.

78
Poi ch'altro cavallier non si dimostra, ch'al pagan per giostrar volti la fronte, pensa aver guadagnato de la giostra la donna, e venne a lei presso alla fonte; e disse: - Damigella, sète nostra, s'altri non è per voi ch'in sella monte. Nol potete negar, né farne iscusa; che di ragion di guerra così s'usa. -

79
Marfisa, alzando con un viso altiero la faccia, disse: - Il tuo parer molto erra. Io ti concedo che diresti il vero, ch'io sarei tua per la ragion di guerra, quando mio signor fosse o cavalliero alcun di questi ch'hai gittato in terra. Io sua non son, né d'altri son che mia: dunque me tolga a me chi mi desia.

80
So scudo e lancia adoperare anch'io, e più d'un cavalliero in terra ho posto. -

81
Poi che fu armata, la spada si cinse e sul destrier montò d'un leggier salto; e qua e là tre volte e più lo spinse, e quinci e quindi fe' girare in alto; e poi, sfidando il Saracino, strinse la grossa lancia e cominciò l'assalto. Tal nel campo troian Pentesilea contra il tessalo Achille esser dovea.

82
Le lance infin al calce si fiaccaro a quel superbo scontro, come vetro; né pero chi le corsero, piegaro, che si notasse, un dito solo a dietro. Marfisa che volea conoscer chiaro s'a più stretta battaglia simil metro le serverebbe contra il fier pagano, se gli rivolse con la spada in mano.

83
Bestemmiò il cielo e gli elementi il crudo pagan, poi che restar la vide in sella: ella, che gli pensò romper lo scudo, non men sdegnosa contra il ciel favella. Già l'uno e l'altro ha in mano il ferro nudo e su le fatal arme si martella: l'arme fatali han parimente intorno, che mai non bisognar più di quel giorno.

84
Sì buona è quella piastra e quella maglia, che spada o lancia non le taglia o fora; sì che potea seguir l'aspra battaglia tutto quel giorno e l'altro appresso ancora. Ma Rodomonte in mezzo lor si scaglia, e riprende il rival de la dimora, dicendo: - Se battaglia pur far vuoi, finiàn la cominciata oggi fra noi.

85
Facemmo, come sai, triegua con patto di dar soccorso alla milizia nostra. Non debbiàn, prima che sia questo fatto, incominciare altra battaglia o giostra. - Indi a Marfisa, riverente in atto si volta, e quel messaggio le dimostra; e le racconta come era venuto a chieder lor per Agramante aiuto.

86
La priega poi che le piaccia non solo lasciar quella battaglia o differire, ma che voglia in aiuto del figliuolo del re Troian con essi lor venire; onde la fama sua con maggior volo potrà far meglio infin al ciel salire, che, per querela di poco momento, dando a tanto disegno impedimento.

87
Marfisa, che fu sempre disiosa di provar quei di Carlo a spada e a lancia, né l'avea indotta a venire altra cosa di sì lontana regione in Francia, se non per esser certa se famosa lor nominanza era per vero o ciancia, tosto d'andar con lor partito prese, che d'Agramante il gran bisogno intese.

88
Ruggiero in questo mezzo avea seguito indarno Ippalca per la via del monte; e trovò, giunto al loco, che partito per altra via se n'era Rodomonte: e pensando che lungi non era ito, e che 'l sentier tenea dritto alla fonte, trottando in fretta dietro gli venìa per l'orme ch'eran fresche in su la via.

89
Volse che Ippalca a Montalban pigliasse la via, ch'una giornata era vicino; perché s'alla fontana ritornasse, si torria troppo dal dritto camino. E disse a lei, che già non dubitasse che non s'avesse a ricovrar Frontino: ben le farebbe a Montalbano, o dove ella si trovi, udir tosto le nuove.

90
E le diede la lettera che scrisse in Agrismonte, e che si portò in seno; e molte cose a bocca anco le disse, e la pregò che l'escusasse a pieno. Ne la memoria Ippalca il tutto fisse, prese licenza e voltò il palafreno; e non cessò la buona messaggera, ch'in Montalban si ritrovò la sera.

91
Seguia Ruggiero in fretta il Saracino per l'orme ch'apparian ne la via piana, ma non lo giunse prima che vicino con Mandricardo il vide alla fontana. Già promesso s'avean che per camino l'un non farebbe all'altro cosa strana, né fin ch'al campo si fosse soccorso, a cui Carlo era appresso a porre il morso.

92
Quivi giunto Ruggier, Frontin conobbe, e conobbe per lui chi adosso gli era; e su la lancia fe' le spalle gobbe, e sfidò l'African con voce altiera. Rodomonte quel dì fe' più che Iobbe, poi che domò la sua superbia fiera; e ricusò la pugna ch'avea usanza di sempre egli cercar con ogni istanza.

93
Il primo giorno e l'ultimo, che pugna mai ricusasse il re d'Algier, fu questo; ma tanto il desiderio che si giugna, in soccorso al suo re gli pare onesto, che se credesse aver Ruggier ne l'ugna più che mai lepre il pardo isnello e presto, non se vorria fermar tanto con lui, che fêsse un colpo de la spada o dui.

94
Aggiungi che sapea ch'era Ruggiero che seco per Frontin facea battaglia, tanto famoso, ch'altro cavalliero non è ch'a par di lui di gloria saglia, l'uom che bramato ha di saper per vero esperimento quanto in arme vaglia; e pur non vuol seco accettar l'impresa: tanto l'assedio del suo re gli pesa.

95
Trecento miglia sarebbe ito e mille, se ciò non fosse, a comperar tal lite; ma se l'avesse oggi sfidato Achille, più fatto non avria di quel ch'udite: tanto a quel punto sotto le faville le fiamme avea del suo furor sopite. Narra a Ruggier perché pugna rifiuti; ed anco il priega che l'impresa aiuti:

96
che facendol, farà quel che far deve al suo signore un cavallier fedele. Sempre che questo assedio poi si leve, avran ben tempo da finir querele. Ruggier rispose a lui: - Mi sarà lieve differir questa pugna, fin che de le forze di Carlo si traggia Agramante, pur che mi rendi il mio Frontino inante.

97
Se di provarti c'hai fatto gran fallo, e fatto hai cosa indegna ad un uom forte, d'aver tolto a una donna il mio cavallo, vuoi ch'io prolunghi fin che siamo in corte, lascia Frontino, e nel mio arbitrio dàllo. Non pensare altrimente ch'io sopporte che la battaglia qui tra noi non segua,

98
Mentre Ruggiero all'African domanda

99
Nel campo azzur l'aquila bianca avea, che de' Troiani fu l'insegna bella: perché Ruggier l'origine traea dal fortissimo Ettòr, portava quella. Ma questo Mandricardo non sapea; né vuol patire, e grande ingiuria appella, che ne lo scudo un altro debba porre l'aquila bianca del famoso Ettorre.

100
Portava Mandricardo similmente l'augel che rapì in Ida Ganimede. Come l'ebbe quel dì che fu vincente al castel periglioso, per mercede, credo vi sia con l'altre istorie a mente, e come quella fata gli lo diede con tutte le bell'arme che Vulcano avea già date al cavallier troiano.

101
Altra volta a battaglia erano stati Mandricardo e Ruggier solo per questo; e per che caso fosser distornati, io nol dirò, che già v'è manifesto. Dopo non s'eran mai più raccozzati, se non quivi ora; e Mandricardo presto, visto lo scudo alzò il superbo grido minacciando, e a Ruggier disse: - Io ti sfido.

102
Tu la mia insegna, temerario, porti; né questo è il primo dì ch'io te l'ho detto. E credi, pazzo, ancor ch'io tel comporti, per una volta ch'io t'ebbi rispetto? Ma poi che né minacce né conforti ti pôn questa follia levar del petto, ti mostrerò quanto miglior partito t'era d'avermi subito ubbidito.

103
Come ben riscaldato arrido legno a piccol soffio subito s'accende, così s'avampa di Ruggier lo sdegno al primo motto che di questo intende.

104
Un'altra volta pur per questo venni teco a battaglia, e non è gran tempo anco; ma d'ucciderti allora mi contenni, perché tu non avevi spada al fianco. Questi fatti saran, quelli fur cenni; e mal sarà per te quell'augel bianco, ch'antiqua insegna è stata di mia gente: tu te l'usurpi, io 'l porto giustamente. -

105

106
E tutto a un tempo Balisarda stringe, la buona spada, e me' lo scudo imbraccia: ma l'Africano in mezzo il destrier spinge, e Marfisa con lui presta si caccia; e l'uno questo, e l'altro quel respinge, e priegano amendui che non si faccia. Rodomonte si duol che rotto il patto due volte ha Mandricardo, che fu fatto.

107
Prima, credendo d'acquistar Marfisa, fermato s'era a far più d'una giostra; or per privar Ruggier d'una divisa, di curar poco il re Agramante mostra.

108
Con tal condizion fu stabilita la triegua e questo accordo ch'è fra nui. Come la pugna teco avrò finita, poi del destrier risponderò a costui. Tu del tuo scudo, rimanendo in vita, la lite avrai da terminar con lui; ma ti darò da far tanto, mi spero, che non n'avanzarà troppo a Ruggiero. -

109

110
Moltiplicavan l'ire e le parole quando da questo e quando da quel lato: con Rodomonte e con Ruggier la vuole tutto in un tempo Mandricardo irato; Ruggier, ch'oltraggio sopportar non suole, non vuol più accordo, anzi litigio e piato. Marfisa or va da questo or da quel canto per riparar, ma non può sola tanto.

111
Come il villan, se fuor per l'alte sponde trapela il fiume e cerca nuova strada, frettoloso a vietar che non affonde i verdi paschi e la sperata biada, chiude una via ed un'altra, e si confonde; che se ripara quinci che non cada, quindi vede lassar gli argini molli, e fuor l'acqua spicciar con più rampolli:

112
così, mentre Ruggiero e Mandricardo e Rodomonte son tutti sozzopra, ch'ognun vuol dimostrarsi più gagliardo, ed ai compagni rimaner di sopra, Marfisa ad acchetarli have riguardo, e s'affatica, e perde il tempo e l'opra; che, come ne spicca uno e lo ritira, gli altri duo risalir vede con ira.

113
Marfisa, che volea porgli d'accordo, dicea: - Signori, udite il mio consiglio: differire ogni lite è buon ricordo fin ch'Agramante sia fuor di periglio. S'ognun vuole al suo fatto essere ingordo, anch'io con Mandricardo mi ripiglio; e vo' vedere al fin se guadagnarme, come egli ha detto, è buon per forza d'arme.

114
Ma se si de' soccorrere Agramante, soccorrasi, e tra noi non si contenda. -

115
Rispose Rodomonte: - Ottener questo non fia così, come quell'altro, lieve.- E seguitò dicendo: - Io ti protesto che, s'alcun danno il nostro re riceve, fia per tua colpa; ch'io per me non resto di fare a tempo quel che far si deve.- Ruggiero a quel protesto poco bada; ma stretto dal furor stringe la spada.

116
Al re d'Algier come cingial si scaglia, e l'urta con lo scudo e con la spalla; e in modo lo disordina e sbarraglia, che fa che d'una staffa il piè gli falla. Mandricardo gli grida: - O la battaglia differisci, Ruggiero, o meco falla; - e crudele e fellon più che mai fosse, Ruggier su l'elmo in questo dir percosse.

117
Fin sul collo al destrier Ruggier s'inchina, né, quando vuolsi rilevar, si puote; perché gli sopragiunge la ruina del figlio d'Ulien che lo percuote. Se non era di tempra adamantina, fesso l'elmo gli avria fin tra le gote. Apre Ruggier le mani per l'ambascia, e l'una il fren, l'altra la spada lascia.

118
Se lo porta il destrier per la campagna: dietro gli resta in terra Balisarda. Marfisa che quel dì fatta compagna se gli era d'arme, par ch'avampi ed arda, che solo fra que' duo così rimagna: e come era magnanima e gagliarda, si drizza a Mandricardo, e col potere ch'avea maggior, sopra la testa il fiere.

119
Rodomonte a Ruggier dietro si spinge: vinto è Frontin, s'un'altra gli n'appicca; ma Ricciardetto con Vivian si stringe, e tra Ruggiero e 'l Saracin si ficca. L'uno urta Rodomonte e lo rispinge, e da Ruggier per forza lo dispicca; l'altro la spada sua, che fu Viviano, pone a Ruggier, già risentito, in mano.

120
Tosto che 'l buon Ruggiero in sé ritorna, e che Vivian la spada gli appresenta, a vendicar l'ingiuria non soggiorna, e verso il re d'Algier ratto s'aventa, come il leon che tolto su le corna dal bue sia stato, e che 'l dolor non senta: sì sdegno ed ira ed impeto l'affretta, stimula e sferza a far la sua vendetta.

121
Ruggier sul capo al Saracin tempesta: e se la spada sua si ritrovasse, che, come ho detto, al comminciar di questa pugna, di man gran fellonia gli trasse, mi credo ch'a difendere la testa di Rodomonte l'elmo non bastasse, l'elmo che fece il re far di Babelle quando muover pensò guerra alle stelle.

122
La Discordia, credendo non potere altro esser quivi che contese e risse, né vi dovesse mai più luogo avere

123
Fu il colpo di Ruggier di sì gran forza, che fece in su la groppa di Frontino percuoter l'elmo e quella dura scorza di ch'avea armato il dosso il Saracino, e lui tre volte e quattro a poggia e ad orza piegar per gire in terra a capo chino; e la spada egli ancora avria perduta, se legata alla man non fosse suta.

124
Avea Marfisa a Mandricardo intanto fatto sudar la fronte, il viso e il petto, ed egli aveva a lei fatto altretanto; ma sì l'osbergo d'ambi era perfetto, che mai poter falsarlo in nessun canto, e stati eran sin qui pari in effetto: ma in un voltar che fece il suo destriero, bisogno ebbe Marfisa di Ruggiero.

125
Il destrier di Marfisa in un voltarsi che fece stretto, ov'era molle il prato, sdrucciolò in guisa, che non poté aitarsi di non tutto cader sul destro lato; e nel volere in fretta rilevarsi, da Brigliador fu pel traverso urtato, con che il pagan poco cortese venne; sì che cader di nuovo gli convenne.

126
Ruggier che la donzella a mal partito vide giacer, non differì il soccorso, or che l'agio n'avea, poi che stordito da sé lontan quell'altro era trascorso: ferì su l'elmo il Tartaro; e partito quel colpo gli avria il capo, come un torso, se Ruggier Balisarda avesse avuta,

127
Il re d'Algier che si risente in questo, si volge intorno, e Ricciardetto vede; e si ricorda che gli fu molesto dianzi, quando soccorso a Ruggier diede. A lui si drizza, e saria stato presto a darli del ben fare aspra mercede, se con grande arte e nuovo incanto tosto non se gli fosse Malagigi opposto.

128
Malagigi, che sa d'ogni malia quel che ne sappia alcun mago eccellente, ancor che 'l libro suo seco non sia, con che fermare il sole era possente, pur la scongiurazione onde solia commandare ai demoni aveva a mente: tosto in corpo al ronzino un ne costringe di Doralice, ed in furor lo spinge.

129
Nel mansueto ubino che sul dosso avea la figlia del re Stordilano, fece entrar un degli angel di Minosso sol con parole il frate di Viviano: e quel che dianzi mai non s'era mosso, se non quanto ubidito avea alla mano, or d'improviso spiccò in aria un salto, che trenta piè fu lungo e sedeci alto.

130
Fu grande il salto, non però di sorte che ne dovesse alcun perder la sella. Quando si vide in alto, gridò forte (che si tenne per morta) la donzella. Quel ronzin, come il diavol se lo porte, dopo un gran salto se ne va con quella, che pur grida soccorso, in tanta fretta, che non l'avrebbe giunto una saetta.

131
Da la battaglia il figlio d'Ulieno si levò al primo suon di quella voce; e dove furiava il palafreno, per la donna aiutar n'andò veloce. Mandricardo di lui non fece meno, né più a Ruggier, né più a Marfisa nòce; ma, senza chieder loro o paci o tregue, e Rodomonte e Doralice segue.

132
Marfisa intanto si levò di terra, e tutta ardendo di disdegno e d'ira, credesi far la sua vendetta, ed erra; che troppo lungi il suo nimico mira. Ruggier, ch'aver tal fin vede la guerra, rugge come un leon, non che sospira. Ben sanno che Frontino e Brigliadoro giunger non ponno coi cavalli loro.

133
Ruggier non vuol cessar fin che decisa col re d'Algier non l'abbia del cavallo: non vuol quietar il Tartaro Marfisa, che provato a suo senno anco non hallo. Lasciar la sua querela a questa guisa parrebbe all'uno e all'altro troppo fallo. Di commune parer disegno fassi di chi offesi gli avea seguire i passi.

134
Nel campo saracin li troveranno, quando non possan ritrovarli prima; che per levar l'assedio iti seranno, prima che 'l re di Francia il tutto opprima. Così dirittamente se ne vanno dove averli a man salva fanno stima. Già non andò Ruggier così di botto, che non facesse ai suoi compagni motto.

135
Ruggier se ne ritorna ove in disparte era il fratel de la sua donna bella, e se gli proferisce in ogni parte amico, per fortuna e buona e fella: indi lo priega (e lo fa con bella arte) che saluti in suo nome la sorella; e questo così ben gli venne detto, che né a lui diè né agli altri alcun sospetto.

136
E da lui, da Vivian, da Malagigi, dal ferito Aldigier tolse commiato. Si proferiro anch'essi alli servigi di lui, debitor sempre in ogni lato. Marfisa avea sì il cor d'ire a Parigi, che 'l salutar gli amici avea scordato; ma Malagigi andò tanto e Viviano, che pur la salutaron di lontano;

137
e così Ricciardetto; ma Aldigiero giace, e convien che suo malgrado resti. Verso Parigi avean preso il sentiero quelli duo prima, ed or lo piglian questi. Dirvi, Signor, ne l'altro canto spero miracolosi e sopraumani gesti, che con danno degli uomini di Carlo ambe le coppie fer, di ch'io vi parlo.



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