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Papa Clemente I

Papa Clemente I, generalmente noto come Clemente di Roma, o Clemente Romano (ca. 96), fu uno dei Padri Apostolici, e nella lista dei Papi occupa il terzo o il quarto posto, prima o dopo Papa Anacleto. Non ci sono basi per identificarlo con Clemente dei Filippesi. Potrebbe essere stato un liberto di T. Flavio Clemente, che fu console con suo cugino, l'Imperatore Domiziano, nel 95. Una tradizione del IX secolo dice che venne martirizzato in Crimea nel 102; autorità precedenti dissero che era morto per cause naturali. Viene commemorato il 23 novembre.

In Il pastore di Hermas (Visioni II. 4. 3) viene fatta menzione di un Clemente il cui ufficio è di comunicare con altre chiese, e questa funzione ben si accorda con ciò che troviamo nella lettera alla chiesa di Corinto, per la quale Clemente è noto. Mentre si deve stare attenti ad applicare concetti posteriori al titolo di "vescovo" come venne applicato a Clemente, non c'è motivo di dubitare che fu una delle principali personalità della comunità cristiana a Roma, dove fin dai tempi di Paolo le varie congregazioni (Romani, cap.16) erano state unite in una chiesa officiata da presbiteri e diaconi (1 Clem. 40-42).

Questa lettera, nota come 1 Clemente, venne generata da una disputa nella chiesa di Corinto, che aveva portato all'espulsione di diversi presbiteri dal loro ufficio. La lettera non contiene il nome di Clemente, ma è intestata dalla Chiesa di Dio che alberga a Roma alla Chiesa di Dio che alberga a Corinto. Ma non c'è motivo di dubitare la tradizione universale che la ascrive a Clemente, o la data generalmente accettata, ca. 96. Nessuna pretesa viene fatta dalla Chiesa Romana di interferire sulle basi di un rango superiore; ancora è degno di nota che nei primi documenti al di fuori del canone che possiamo datare con sicurezza, la chiesa della città imperiale si fa avanti come pacificatrice per comporre i problemi di una chiesa in Grecia. Nulla si sa delle cause del malcontento; nessuna offesa morale viene addossata ai presbiteri, e la loro dimissione viene vista da Clemente come dispotica e ingiustificabile, e come una rivolta dei membri più giovani della comunità contro i vecchi.

Dopo un resoconto elogiativo della condotta passata della Chiesa Corinta, Clemente si addentra in una denuncia dei vizi e in una lode delle virtù, e illustra i suoi vari argomenti con copiose illustrazioni dalle scritture del Vecchio Testamento. Perciò egli spiana la strada al suo tardo rimprovero dei presenti disordini, che trattiene fin quando due terzi della sua epistola sono completati. Clemente è eccessivamente discorsivo, e la sua lettera raggiunge una lunghezza doppia della Lettera agli ebrei. Molte delle sue esortazioni generali sono molto indirettamente connesse con l'argomento pratico al quale la lettera è diretta, ed è molto probabile che venne stilata basandosi ampiamente sulle omelie con le quali era abituato edificare i suoi seguaci cristiani a Roma.

La familiarità di Clemente con il Vecchio Testamento indica che è un cristiano da lunga data piuttosto che un recente convertito. Apprendiamo dalla sua lettera (1.7) che la chiesa di Roma, per quanto sofferente delle persecuzioni, venne fermamente tenuta assieme da fede e amore, ed esibì la sua unità in un culto disciplinato. L'epistola venne letta pubblicamente di tanto in tanto a Corinto, e per il IV secolo il suo uso si era diffuso ad altre chiese. La troviamo allegata addirittura al famoso manoscritto Alessandrino (Codice Alessandrino) del Nuovo testamento, ma ciò non implica che raggiunse mai il rango canonico. Questa epistola venne tradotta in almeno tre lingue in epoca antica: una traduzione del II o III secolo venne trovata in un manoscritto dell'XI secolo a Namur, in Belgio, e pubblicata da G. Morin nel 1894; un manoscritto Siriaco, oggi all'Università di Cambridge, venne trovato da R. L. Bensly nel 1876, e venne tradotto nel 1899; ed una traduzione copta è sopravvissuta in due copie in papiro, una pubblicata da C. Schmidt nel 1908 e l'altra da F. Rösch nel 1910.

Per la massa di letteratura cristiana delle origini che venne gradualmente associata al suo nome si veda Letteratura Clementina.

L'epistola venne pubblicata nel 1633 da Patrick Young che la trasse dal Codice Alessandrino, nel quale un foglio verso la fine era mancante, così che la grande preghiera (capitoli 55 - 64) rimase sconosciuta. Nel 1875 (sei anni dopo la prima edizione di Joseph Barber Lightfoot) Philotheus Bryennius pubblicò un testo completo proveniente da un manoscritto di Costantinopoli (datato 1055), dal quale nel 1883 trasse la Didachè. Lightfoot fece uso delle traduzioni in latino e siriaco in un'appendice alla ristampa della prima edizione (1877); la sua seconda edizione, sulla quale stava lavorando all'epoca della sua morte, venne pubblicata nel 1890. La monografia di Adolf von Harnack, Einführung in die alte Kirchengeschichte ( Leiden, 1929), è considerata l'inizio degli studi moderni su quest'opera.

Nell'arte, San Clemente può essere riconosciuto come un Papa con un ancora e un pesce. Talvolta c'è in aggiunta una pietra miliare; chiavi; una fontana che spruzza alle sue preghiere; o un libro. Può essere raffigurato mentre giace in un tempio sul mare.

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