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Reato preterintenzionale

1. La definizione di preterintenzione è offerta dal Codice Rocco all’art. 43, comma 2: “il delitto: […] è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agenteâ€. Le fattispecie preterintenzionali conosciute dal nostro ordinamento e nominativamente indicate come tali sono solamente due: il delitto di omicidio preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p. e il delitto di aborto preterintenzionale di cui all’art. 18, comma 2 della Legge 22 maggio 1978, n. 194. La dottrina, tuttavia, ritiene che ulteriori fattispecie delittuose, pur non rubricate come preterintenzionali, possano ricondursi nel novero della preterintenzionalità. Si tratta, in particolare, di taluni delitti rientranti nella categoria di derivazione dogmatica dei “reati aggravati dall’eventoâ€.

L’art. 42 c.p. individua tre criteri di imputazione soggettiva: il dolo, la preterintenzione è la colpa; il comma 2 di tale articolo recita “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla leggeâ€. Sembra così delinearsi un criterio tripartito di imputazione, al vertice del quale sta il dolo, criterio soggettivo per eccellenza, la cui sussistenza importa la punibilità per ogni reato, cui seguono ulteriori e distinti criteri di preterintenzione e colpa, la cui punibilità è possibile per reati che siano tipizzati come punibili in presenza di tali coefficienti soggettivi.

Tale supposta tripartizione, tuttavia, è negata da parte della dottrina, che ritiene che solo due siano i coefficienti soggettivi fondamentali, il dolo e la colpa, “tertium non daturâ€, e che quindi la responsabilità preterintenzionale non goda di autonomia, a queste, tale da potersi atteggiare a terzo e autonomo criterio soggettivo di imputazione.

L’enunciazione normativa offerta dall’art. 43, comma 2 c.p. pone in evidenza il rapporto sussistente fra una condotta umana tipica, un evento voluto ed un evento di maggiore forza lesiva (o di messa in pericolo). Si tratta dunque di una fattispecie complessa, che la dottrina, sceglie di ricostruire come la sovrapposizione di un reato di base, caratterizzato da dolo, ed un successivo evento non voluto, causalmente riconducibile all’azione o all’omissione dell’agente, e di cui si stabilisce la rimproverabilità a quest’ultimo. Il titolo in base al quale tale evento ulteriore è ritenuto imputabile e rimproverabile all’agente è il problema centrale che caratterizza l’analisi dogmatica del fenomeno della preterintenzione.

La tesi storicamente maggioritaria, facendo leva sul fatto che nella definizione legislativa manca una descrizione della partecipazione psicologica del soggetto agente alla causazione dell’evento più grave rispetto al fatto di reato di base voluto ed oggetto di rappresentazione, ha ritenuto che per il verificarsi di una fattispecie di natura preterintenzionale fosse sufficiente la semplice sussistenza del nesso di causalità materiale. In questo modo, il delitto preterintenzionale viene riassorbito all’interno delle ipotesi di responsabilità oggettiva, governate dal principio del “qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casuâ€; la sua struttura psicologica resta semplicemente quella di dolo (relativo al reato base) misto a responsabilità oggettiva. Si schiera in questo senso una consolidata ed importante dottrina (G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, 4° ed., Cedam, Padova, 2001; G. MARINI, Lineamenti del sistema penale, Giappichelli, Torino, 1993; T. PADOVANI, Diritto penale, 6° ed., Giuffrè, Milano, 2002).

La tesi del dolo misto a colpa, maggioritaria in dottrina, ha trovato anche conferma anche nella giurisprudenza maggioritaria. Si collocano in questa linea interpretativa la sentenza Cassazione penale, sez. V, 13 febbraio 2002, n. 13114 (in Cass. pen., 2003, p. 1561), caso Izzo: “l’elemento psicologico dell'omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo misto a colpa, ma unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell'aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell'agente, il quale dunque risponde per fatto proprio, sia pure in relazione ad un evento diverso da quello effettivamente voluto, che, per esplicita previsione legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorioâ€; la sentenza Cassazione penale, sez. V, 2 ottobre 1996, n. 9197 (Cass. pen., 1997, p. 2715), caso Paletti, “la corretta interpretazione dell'art. 584 c.p. impone di ritenere che per integrare in tutti i suoi estremi il delitto di omicidio preterintenzionale è sufficiente il rapporto di causalità tra la condotta di aggressione (atti diretti a percuotere o ledere) e l'evento morte non essendo necessaria la prevedibilità di quest'ultimo, e che quindi l'art. 584 c.p. prevede un caso di dolo misto a responsabilità oggettivaâ€; la sentenza Cassazione penale, sez. V, 20 novembre 1988 (in Cass. pen., 1989, p. 999), caso Zeni, “per la sussistenza del delitto di omicidio preterintenzionale è sufficiente che esista un rapporto di causa ad effetto tra gli atti diretti (anche nella forma del tentativo o semplicemente di atteggiamento aggressivo o minaccioso) a percuotere o a ledere e la morte, indipendentemente da ogni indagine sulla volontarietà, sulla colpa o sulla prevedibilità dell’evento più graveâ€; la sentenza Cassazione penale, sez. I, 30 giugno 1986 (in Giust. pen., 1987, II, p. 720), caso De Nunzio: “l’omicidio preterintenzionale richiede che l'autore della aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ad effetto tra i predetti atti e l'evento letale senza la necessità che la serie causale che ha prodotto la morte, rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o lesioni volute dall'agente. E ciò senza prescindere, tuttavia, dall'elemento psicologico che si concreta nella volontà e previsione di un evento meno grave di quello verificatosi in concreto poiché si tratta, pur sempre, di un reato doloso in cui si introduce una componente fortuita che prescinde da ogni indagine di volontarietà, colpa o di prevedibilità dell'evento più graveâ€. In tutta questa giurisprudenza, si afferma che accertata la sussistenza di tutti i requisito del reato base, sarà sufficiente la mera presenza del nesso di causalità fra la condotta del reato posto in essere e il più grave reato verificatosi, perché di questo possa rispondersi a titolo di preterintenzione.

Sotto un punto di vista sistematico, sussiste il problema che, la presenza nel nostro Codice penale di ipotesi di responsabilità oggettiva, è stata tradizionalmente giustificata con la presenza del 4° comma dell’art. 43 c.p., ove si prevede che, oltre alle ipotesi di dolo, preterintenzionalità e colpa (indicate nel precedente comma 2°), sussistano una serie di casi determinati dalla legge in via esclusiva “nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell'agente come conseguenza della sua azione od omissioneâ€. Secondo la lettura tradizionale, tali altre ipotesi, sono appunto le ipotesi di responsabilità oggettiva. Nella sistematica dell’art. 43, queste ipotesi sono altre, anche rispetto alla preterintenzione, posta nel comma precedente come autonomo coefficiente soggettivo, accanto al dolo e alla colpa.

2. Un elemento di rilevante novità, viene portato con la sentenza Corte costituzionale, 24 marzo 1988, n. 364 (pronuncia nota per aver dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5 del c.p. “nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabileâ€). Tale decisione (cui segue di poco, riprendendone i contenuti, la sentenza Corte costituzionale, 13 dicembre 1988, n. 1085) parte dall’individuazione di una nozione di “colpevolezza costituzionalmente richiestaâ€, dove per richiesta si intende indefettibile ai fini della configurazione di un illecito penale, tale colpevolezza “non costituisce elemento tale da poter esser, a discrezione del legislatore, condizionato, scambiato, sostituito con altri o paradossalmente eliminatoâ€.

Il principio di colpevolezza è reso necessario dalla moderna concezione della pena, che esige che questa tenda alla rieducazione del condannato, come stabilito dall’art. 27 comma 3 Cost.. In tale ottica, non può esserci pena, che prescinda dal diritto di punire dello Stato, il cui necessario presupposto, non può che essere la colpevolezza, che diviene “fondamento, titolo giustificativo dell’intervento punitivo dello Statoâ€. Ancora la colpevolezza è elemento fondante del principio di certezza del diritto, “il principio di colpevolezza è, pertanto, indispensabile, appunto anche per garantire al privato la certezza di libere scelte d'azione: per garantirgli, cioè, che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietateâ€.

Su questi presupposti, la Consulta rilegge il principio di personalità del reato, sancito all’art. 27 comma 1 Cost.: “la responsabilità penale è personaleâ€, attraverso le lenti del 3° comma del medesimo articolo (funzione rieducativa della pena), “comunque s’intenda la funzione rieducativa, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la ‘rieducazione’ di chi, non essendo almeno ‘in colpa’ (rispetto al fatto) non ha, certo, ‘bisogno’ di essere ‘rieducato’â€. La sentenza, tuttavia, non arriva ad affermare la piena incostituzionalità di ogni forma di responsabilità oggettiva in Diritto penale. La Corte enuclea un concetto di responsabilità oggettiva “pura†o “propriaâ€, caratterizzata dal fatto che nessun elemento della fattispecie è coperto dalla colpa del agente, per affermare che solo tale forma di responsabilità oggettiva è da considerarsi in maniera automatica come costituzionalmente illegittima. Per le varie forme di responsabilità oggettiva spuria o impropria, la costituzionalità va valutata volta per volta con riferimento alle singole fattispecie, “va, di volta in volta, a proposito delle diverse ipotesi criminose, stabilito quali sono gli elementi più significativi della fattispecie che non possono non essere ‘coperti’ almeno dalla colpa dell’agenteâ€. In definitiva, dunque, la Consulta afferma che è necessario che gli elemento maggiormente significativi di una fattispecie criminosa siano coperti dalla presenza di un coefficiente soggettivo, una compenetrazione psicologica tra fatto e autore, che possa giustificare la punizione, anche se non è necessario che tutti gli elementi della fattispecie lo siano, ma solo i principali, quelli che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie.

3. Una prima corrente, esprime la tesi che la preterintenzione sia data da dolo misto a colpa specifica. Posto che la colpa è data da una negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero dalla inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, tale dottrina afferma che nella preterintenzione debba sussiste si un elemento colposo, ma che la colpa risieda nel fatto stesso di aver violato la norma penale incriminatrice rispetto al fatto doloso di base. Il richiamo effettuato dal l’art 43, comma 3 c.p., nel richiamare la violazione di norme di legge in maniera generica, si presta a farvi rientrare anche le norme penali incriminatici delle condotte meno gravi. In questo modo, il soggetto che si macchia della fattispecie meno grave, è in dolo relativamente a questa, ma allo stesso tempo, senza che sia necessaria alcuna indagine specifica sul suo coefficiente psicologico, è in colpa.

Tale dottrina, introduce di fatto una forma di colpa presunta o di colpa “in re ipsaâ€, che sul piano pratico non di distingue affatto dall’affermazione di una imputabilità per responsabilità oggettiva. La critica a tale dottrina, la accusa, non a torto, di aver voluto trovare un comodo trucco o un escamotage, per far rientrare dalla finestra la responsabilità oggettiva che dalla porta si voleva cacciare.

Tale tesi ha talvolta trovato una occasionale sanzione in giurisprudenza di legittimità, con sentenza Cassazione penale, sez. IV, 15 novembre 1989, (in Cass. pen., 1991, I, p. 769), caso Paradisi, si afferma che nell’omicidio preterintenzionale non può ravvisarsi una ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché “pur non condizionata nella integrazione alla prevedibilità dell'evento, l’elemento soggettivo (colpa) va ricercato nell'avere disatteso il precetto di non porre in essere atti diretti a percuotere o a ledere. Invero, è nella legge, la cui ‘ratio’ sta nel porre una difesa avanzata al bene della vita dei consociati - nella considerazione che non raramente da atti diretti a ledere (percosse, lesioni) possa, naturalisticamente (ancorché involontariamente) sopravvenire la morte del soggetto passivo, data la delicatezza degli equilibri biologici delle varie componenti la condizione di generica (difficilmente ottimale) normalità nel funzionamento degli organismi viventi - la valutazione intorno alla prevedibilità dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto ‘de quo’â€

4. Sulla scorta della nuova centralità assunta dal principio del colpevolezza, si è fatta strada in dottrina una nuova interpretazione della preterintenzione, ispirata alla necessità di conferire maggiore legittimità costituzionale a questa figura. È dalla volontà di “costituzionalizzare†la responsabilità preterintenzionale, distaccandola dalla responsabilità oggettiva, che nascono le nuove correnti dottrinarie che strutturano la preterintenzione come dolo misto a colpa generica, rifiutando tuttavia la tesi che tale colpa sia da ricondursi alla violazione del precetto base.

Sussiste però il problema che, ove si affarmasse che la preterintenzionalità si sposa in tutto e per tutto con un atteggiamento psicologico di natura colposa, questa finirebbe per coincidere in tutto con l’aberratio delicti plurilesiva di cui all’art. 83 c.p.. Parte della dottrina, in ogni caso, ricostruisce la preterintezione come dolo misto a colpa generica, esigendo che tale colpa sia del tutto equivalente alla colpa ordinaria, componendosi tanto dell’elemento soggettivo della prevedibilità dell’evento ulteriore, quanto di quello oggettivo della violazione di norme cautelari (per una ricostruzione di questo tipo, si schiera F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, 4° ed., Cedam, Padova, 2001).

Per uscire da tale contraddizione ed offrire alla responsabilità preterintenzionale una struttura autonoma, recente dottrina arriva a ricostruirla come dolo misto a colpa generica, esigendo che la genericità della colpa risieda nella pericolosità posseduta dal comportamento posto in essere, relativamente ai beni giuridici protetti dalla fattispecie preterintenzionale. Si esige che, l’agente che commettendo il reato di base attivi il rischio che a questo è connaturato, sia chiamato dall’ordinamento ad adottare specifiche regole cautelari, rese necessarie da questa posizione di rischio. Sarà la violazione di tali particolari precetti cautelari a far nascere quel coefficiente di colpa che caratterizza la preterintenzione, diverso dalla colpa di matrice più generica che caratterizza la responsabilità colposa ordinaria (in dottrina si schierano in tal senso G. BETTIOL, Diritto penale, 11° ed., Cedam, Padova, 1982; CANESTRARI S., voce: Preterintenzione, in “Digesto delle discipline penalisticheâ€, Vol. IX, Torino, UTET, 1995, pp. 710 e ss).

Le critiche a tale dottrina, si incentrano sull’idea che sarebbe illogico prospettare l’esistenza di regole cautelari che siano specificamente collegate ad una situazione di illiceità, regole del “percuotere prudentemente†o del “ledere con attenzioneâ€.

In giurisprudenza, tali ricostruzioni della responsabilità preterintenzionale sono nettamente minoritarie, se ne riscontrano remote testimonianze in Cassazione penale, sez. I, 23 marzo 1979, n. 2989, caso Donzelli, e in Cassazione penale, sez. V, 16 dicembre 1981, n. 10994, caso Albanese. Una isolata sentenza del 1992, tuttavia, riprende tale tesi facendola propria, pur offrendone, tuttavia, una interpretazione discutibile, sentenza Cassazione penale, sez. V, 11 dicembre 1992 (Cass. pen., 1993, p. 2529, con nota di FULGENZI), caso Bonalda. Nel caso di specie, si prende in esame un episodio di scontri fra opposte tifoserie calcistiche, a margine di un evento sportivo. Tre esponenti di una tifoseria sono inseguiti da tifosi avversari (in schiacciante superiorità numerica), uno di questi è raggiunto e percosso, con modalità che tuttavia non sono di per sé pericolose per la vita. La vittima, ricoverata, muore in ospedale. L’autopsia accerta che la morte è dovuta ad una malformazione cardica congenita (di cui lo stesso tifoso ignorava l’esistenza), che ha prodotto l’evento mortale a causa dello stress fisico ed emotivo dell’inseguimento e della colluttazione. In sede di giudizio di legittimità, le difese dell’imputato propongono in primo luogo eccezione di illegittimità costituzionale dall’art. 584 c.p. (omicidio preterintenzionale), sotto diversi profili, ma in primo luogo, per il preteso contrasto con l’art. 27 comma 1 Cost., alla luce delle sentenze di Corte costituzionale, 24 marzo 1988, n. 364 e 13 dicembre 1988, n. 1085. La tesi sostenuta è che il principio di personalizzazione dell’illecito penale offerto con queste sentenze, sia contraddetto dalla lettera dell’ 584 c.p., che invece sarebbe fondato sulla mera sussistenza di un nesso eziologico.

Nel respingere l’istanza di remissione, la Suprema Corte, afferma che tale struttura dell’illecito preterintenzionale (nella specie dell’omicidio preterintenzionale) sarebbe già stata superata dalla giurisprudenza, l’orientamento prevalente, sostiene la Cassazione: “individua l’elemento psicologico del delitto previsto dall’art. 584 c.p. nel dolo misto a colpaâ€. Tale affermazione, non appare in realtà surrogata, risultando di gran lunga maggioritaria, come visto, la giurisprudenza di legittimità che ricostruisce la responsabilità preterintenzionale come una forma di responsabilità oggettiva. In tale sentenza, comunque, viene sposata la tesi dottrinaria di maggiore modernità: “la tesi della preterintenzione come dolo misto a colpa … come quella che sottolinea che la condotta colposa (generica o specifica che sia) consiste nella violazione di regole cautelari tese ad impedire il verificarsi di eventi dannosi che concretizzano il pericolo insito in attività lecite e non di qualsiasi norma, benché di natura preventiva, appare preferibile. Essa spiega perché la preterintenzione costituisce una figura intermedia fra il dolo e la colpa, distinta dalla responsabilità oggettiva ed i cui profili non configgono con il solco tracciato dalla note pronunce della Corte Costituzionale in materia di personalizzazione dell’illecito penaleâ€.

Dopo tale affermazione di principio, tuttavia, la Suprema Corte condanna il Bonalda per omicidio preterintenzionale, sottolineando come l’evento mortale “non si pone oltre la prevedibilità che costituisce il limite minimale dell’imputazione soggettiva dell’illecito, intesa come riferibilità psichica del fatto all’autoreâ€. La Cassazione, dunque, sposa (pur isolatamente) la ricostruzione della preterintenzione come dolo misto a colpa, ma richiede, in questa sede, una nozione minimale di colpa, che coincide non con la violazione di specifiche norme cautelari, ma con la mera prevedibilità.


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