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Resurrezione di Lazzaro Caravaggio (pittore)

"Resurrezione di Lazzaro" è un dipinto ad olio su tela di cm 380 x 275 realizzato nel 1609 dal pittore italiano Caravaggio.

È conservato al Museo Regionale di Messina.

Raffigura Cristo con il dito puntato verso Lazzaro sostenuto dalle sorelle e vicino a loro il popolo che assiste al miracolo.

Storia

Trasferitosi a Messina, dopo essere fuggito dalle prigioni maltesi e sbarcato a Siracusa, Caravaggio nel 1609 ricevette dal ricco mercante genovese Giovanni Battista de' Lazzari l'ordine per l’esecuzione di una pala per la cappella maggiore della chiesa dei Padri Crociferi, detta anche dei Ministri degli Infermi.
Secondo Francesco Susinno, il biografo settecentesco dei pittori messinesi, scegliendo "La Resurrezione di Lazzaro" come soggetto per la tela il committente avrebbe voluto alludere alla sua casata.
Inoltre Susinno narra di come il Caravaggio avrebbe preso a rasoiate la tela della Resurrezione di Lazzaro, offeso per le critiche con cui il pubblico l’aveva accolta. Di questa prima versione, sostituita secondo la leggenda da un’altra realizzata a tempo di record sempre da Caravaggio, non è rimasta alcuna traccia ed è probabile che si tratti di un parto del fantasioso biografo.

Di questa tela si parla anche ne "Le Vite de' pittori scultori e architetti moderni" di Giovan Pietro Bellori (1613-1696):

"[…] Passando egli dopo a Messina, colorì a' Cappuccini il quadro della Natività, figuratavi la Vergine col Bambino fuori la capanna rotta e disfatta d'assi e di travi; e vi è San Giuseppe appoggiato al bastone con alcuni pastori in adorazione. Per li medesimi Padri dipinse San Girolamo che sta scrivendo sopra il libro, e nella Chiesa de' Ministri de gl'Infermi, nella cappella de' signori Lazzari, la Risurrezzione di Lazzaro, il quale sostentato fuori del sepolcro, apre le braccia alla voce di Cristo che lo chiama estende verso di lui la mano. Piange Marta e si maraviglia Madalena, e vi è uno che si pone la mano al naso per ripararsi dal fetore del cadavero. Il quadro è grande, e le figure hanno il campo d'una grotta, col maggior lume sopra l'ignudo di Lazzaro e di quelli che lo reggono, ed è sommamente in istima per la forza dell'imitazione. Ma la disgrazia di Michele non l'abbandonava, e 'ltimore lo scacciava di luogo in luogo. […]"


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