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Rivoluzione industriale

La rivoluzione industriale iniziò nella seconda metà del '700 in Inghilterra e si estese successivamente all'Europa centro-occidentale, agli Stati Uniti, al Giappone, all'Europa orientale e meridionale ed è tuttora in corso di svolgimento nei Paesi in via di sviluppo. La trasformazione dei processi produttivi ebbe conseguenze sociali, politiche e culturali. Caratteristiche della produzione industriale sono:
  1. l'uso di macchine
  2. l'utilizzazione di nuove fonti di energia
  3. un ampio uso di materie prime di origine minerale

Table of contents
1 Origini
2 Perché l'Inghilterra
3 Dinamica economica
4 Innovazione tecnologica
5 Impatto sociale dell'industrializzazione

Origini

La rivoluzione industriale iniziò con l'introduzione di macchine che, per la loro efficienza, velocità e regolarità, sollecitarono l'invenzione di motori adeguati. Presupposto dell'invenzione delle macchine utensili fu l'affermarsi del principio della divisione del lavoro che fece emergere le singole operazioni semplici e ripetitive che esse potevano eseguire. Premessa dell'industria fu perciò la manifattura, nella quale la divisione del lavoro s'andava progressivamente articolando. Dalla tendenza dell'industria ad utilizzare materie prime ed energia tratte dal mondo minerale anziché vegetale o animale derivarono un enorme aumento delle risorse disponibili e una trasformazione del concetto di risorsa, che fu legato allo sviluppo della tecnologia, infatti, una materia prima diviene risorsa solo quando è messa a punto la tecnica per derivarne energia.

Il termine «rivoluzione» designa la trasformazione produttiva che iniziò in Inghilterra del tardo Settecento, perché essa determinò un mutamento profondo dei consumi, dei rapporti di classe, della cultura, della politica, delle condizioni generali di vita. La continuità di sviluppo, non solo nell'industria, ma anche nell'agricoltura, è testimoniata dalla sempre più rapida espansione demografica. Con l'affermarsi della rivoluzione industriale, la distribuzione della forza-lavoro fu sconvolta: durante la seconda metà dell’ottocento, la maggioranza della popolazione europea cessò di essere impegnata in occupazioni puramente agricole. Un enorme aumento della produzione fu la conseguenza della trasformazione dei metodi di produzione, mentre l'artigianato entrò in crisi e, divenne marginale rispetto alla produzione industriale. L'industrializzazione fu inizialmente resa possibile dallo sviluppo della scienza e della tecnica.

Perché l'Inghilterra

Una delle ragioni per le quali l’Inghilterra fu la nazione dove l'industria ebbe origine fu la superiorità dei suoi tecnici nel corso del XVIII secolo: una superiorità così netta che, persino dopo l'invenzione e l'adozione delle prime macchine per filare e per tessere, occorsero parecchi decenni perché all'estero sì imparasse a ricostruirle e spesso le copie furono realizzate mediante il contributo di tecnici inglesi.

Tale primato tecnologico derivò in parte dalla tradizione empiristica inaugurata da Bacone (1561-1626), che aveva intuito la stretta connessione fra teoria e prassi, ossia fra il progresso delle conoscenze e il dominio dell'uomo sulle forze della natura, inoltre la mobilità della società inglese, caratterizzata da un ricambio delle classi più vivace che altrove, permetteva un più ricco flusso di ingegni creativi verso la produzione e il precoce smantellamento dei regolamenti corporativi, già in gran parte eliminati alla fine del XVII secolo, lasciava spazio all'introduzione di metodi e strumenti di lavoro assolutamente nuovi. Il disprezzo per le attività manuali, da riservare alle classi «inferiori», non faceva parte dei pregiudizi inglesi, cosicché gli appartenenti alle classi medie, dalle quali, di fatto, provennero per lo più gli inventori, non si vergognavano di dedicarsi ai problemi della tecnica. Infine, i tecnici inglesi conoscevano bene la matematica e la fisica, divulgate da periodici e da enciclopedie popolari e in corsi serali promossi da associazioni private.

Anche il quadro politico era in Inghilterra ben più favorevole che altrove alla nascita e allo sviluppo dell'industria, perché, con le rivoluzioni del '600, la borghesia aveva conseguito, la possibilità di condizionare le scelte del governo e ciò aveva permesso sia una rapida trasformazione capitalistica dell'agricoltura, sia grazie alle enclosures approvate dal Parlamento, sia con l'abolizione delle dogane interne e delle gabelle feudali e la conseguente formazione di un ampio mercato unico nazionale, condizione necessaria per l'assorbimento di una produzione su larga scala, sia lo sviluppo di una rete di strade e di canali navigabili, adeguata alle esigenze di una distribuzione rapida ed economica dei prodotti.

Dinamica economica

Gli investimenti necessari all’industria sono in buona parte costituiti da impianti fissi, ossia da macchine e attrezzature che rimangono redditizie solo se sono sfruttate a fondo, ossia se la domanda è abbastanza sostenuta per assorbire gran parte delle loro potenzialità produttive, pertanto, nessun imprenditore si sarebbe sobbarcato al rischio dell’industrializzazione finché l'aumento della domanda non l’avesse imposta assicurando la vittoria degli imprenditori più dinamici. L'espansione della domanda, motivo determinante del trapasso dall'artigianato e dal sistema manifatturiero all'industria, aumentò nel periodo che precedette la rivoluzione industriale. La domanda interna era, in primo luogo, incrementata dalla crescita della popolazione, ma contribuì anche il livello del reddito pro capite e dei salari, decisamente più elevato che non negli altri paesi dell’Europa occidentale, fatta eccezione per l'Olanda.

I salari relativamente elevati conferivano a masse considerevoli della popolazione una forte capacità d'acquisto che si rivolgeva a quelle merci di base, solide ma non raffinate, che erano alla portata della produzione industriale. Anche la domanda dall'estero cresceva, favorita dai rapporti che l'Inghilterra intratteneva con vaste regioni dell'Africa, dell’Asia e dell'America. La vastità dei mercati non era solo una delle condizioni preliminari per la nascita dell'industria, ma anche condizione necessaria per il suo ulteriore sviluppo, perché l'enorme aumento della produzione avrebbe reso indispensabili sbocchi adeguati per le merci e convenienti fonti di approvvigionamento delle materie prime. D'altra parte, la prosperità e l'ampiezza dei commerci inglesi aveva permesso l'accumulo di capitali, necessaria sia agli investimenti industriali, sia allo sviluppo della rete commerciale e delle infrastrutture.

Innovazione tecnologica

Le innovazioni tecniche procedettero dalle macchine utensili alle macchine motrici, dalle industrie tessili all'industria pesante, metallurgica e meccanica che divenne determinante nell'Ottocento in concomitanza con lo sviluppo delle ferrovie. La produzione di tessuti mediante il sistema domestico subiva un rallentamento nella fase della filatura, poiché occorrevano cinque filatrici per alimentare un solo telaio a mano. Lo squilibrio si accentuò intorno alla metà del '700, quando i tempi della tessitura furono ridotti dalla diffusione della la navetta volante (brevettata nel 1733 da John kay). Nella seconda metà del secolo Hargreaves e Arkwright inventarono rispettivamente la giannetta e il filatoio idraulico: la prima accelerava la filatura da 6 a 24 volte, il secondo addirittura di alcune centinaia di volte, ciò rese obsoleti i telai a mano. Nel 1787 Cartwright inventò il telaio meccanico, che fu perfezionato e adottato nei decenni successivi: intorno al 1825 un solo operaio, sorvegliando due telai meccanici, poteva sbrigare un lavoro che con i telai a mano avrebbe richiesto l'opera di una quindicina di persone. L'aumento della produzione di tessuti stimolò lo sviluppo dell'industria chimica, per rendere competitive le fasi di candeggiatura, tinteggiatura e stampatura. Ben presto l'industria chimica divenne fondamentale per tutti i rami della produzione, sia industriale, sia agricola.

Lo sviluppo industriale richiese quantità sempre maggiori di energia, quantità ben superiori a quelle fornite dalla mano dall'uomo. La ricerca mirò quindi alla realizzazione di motori adeguati. James Watt (1736-1819) modificò la macchina a vapore, ottenendo un rendimento ben quattro volte superiore a quello delle precedenti vaporiere (1787), poi progressivamente in altri rami della produzione, nell'Ottocento si affermò definitivamente nei trasporti terrestri e marittimi. La macchina a vapore sostituì le tradizionali fonti di energia che presentavano il gravissimo inconveniente o di non essere disponibili nelle quantità e nei tempi e luoghi richiesti (mulini ad acqua e a vento), o di non essere instancabili e adeguate alle nuove macchine utensili (energia muscolare dell'uomo e degli animali). Inoltre i giacimenti di carbone erano abbondantissimi e, soprattutto, la macchina a vapore consentiva di produrre energia di una intensità e di una concentrazione senza precedenti. Con l’adozione della macchina a vapore la richiesta di ferro e di leghe adeguate subì un rapido incremento.

All'inizio del '700 un progresso decisivo nel campo della siderurgia, ancora nella sua fase preindustriale, era stato conseguito da Abraham Darby, che per la lavorazione dei minerali ferrosi aveva iniziato ad usare, anziché il carbone di legna, il coke, ossia l'antracite distillata a secco per eliminarne le sostanze che avrebbero inquinato i processi di fusione. Senza tale innovazione, la siderurgia avrebbe presto incontrato «i limiti dello sviluppo», perché l'uso tradizionale del carbone di legna avrebbe in breve tempo comportato la distruzione delle foreste. Poiché la combustione del coke negli altiforni doveva essere ravvivata da correnti d'aria assai più intense di quelle ottenibili dai vecchi mantici azionati dai mulini fu necessario utilizzare a questo scopo la macchina a vapore, che quindi trovò la sua prima applicazione in una fonderia. Nel 1783-1784 Henry Cort introdusse nella siderurgia la laminazione e il puddellaggio. Quest'ultimo consisteva nella purificazione dei minerali ferrosi mediante rimescolamento ad altissime temperature in presenza di sostanze ossidanti. La laminazione purificava ulteriormente il ferro e lo sagomava secondo le forme richieste, facendolo passare a forza attraverso i rulli di un laminatoio, che sostituiva il vecchio metodo di percussione sotto maglio e accorciava i tempi di ben quindici volte. Per ottenere barre o rotaie o travi eccetera, bastava modificare la forma dei rulli.

Processi analoghi a quelli svoltisi in Inghilterra fra il '700 e '800 si riprodussero in tutti i paesi nei quali la rivoluzione industriale si affermò, però, mentre in Inghilterra la rivoluzione industriale era stata il risultato di iniziative private non inquadrate in alcun piano o programma, altrove l’intervento statale ebbe una parte più o meno grande.

Impatto sociale dell'industrializzazione

La meccanizzazione dell’agricoltura ed il ricorso ai concimi chimici migliorarono la produzione. La maggiore disponibilità di prodotti alimentari, la loro migliore qualità ed i progressi della medicina ebbero come conseguenza un calo della mortalità, ma nei Paesi industrializzati a fronte di un incremento demografico, si riscontrava una minor richiesta di braccianti agricoli, quindi dalle campagne ci fu un forte flusso di manodopera non qualificata verso le città.

Sotto la spinta dell'industrializzazione le città si ingrandirono, sorsero quartieri residenziali, per accogliere la nuova borghesia imprenditoriale, ma anche enormi e squallidi quartieri operai, dove una popolazione poverissima si accalcava in case mal costruite e malsane, in condizioni igieniche precarie e con un alto rischio di degrado morale. Gli operai svolgevano il loro lavoro in ambienti spesso pericolosi e insalubri, a causa di una tecnologia ancora rudimentale, non avevano assicurazioni che ne tutelassero l'incolumità o pensioni al momento del ritiro dall'attività lavorativa, potevano essere licenziati in qualsiasi momento non avevano diritto all'associazione ed i loro salari erano bassissimi, a causa dell'abbondanza di manodopera non specializzata, inoltre la semplicità e la ripetitività di alcune operazioni consentiva lo sfruttamento di manodopera minorile.

I ragazzi e le donne erano preferiti per certe mansioni, in quanto la loro retribuzione era decisamente inferiore a quella di un operaio. Il loro salario, che in campagna sarebbe bastato a mantenere dignitosamente una famiglia, poiché l'attività agricola avrebbe supplito a molte spese, in città, dove tutto andava acquistato, era quasi sempre insufficiente. L'impiego di macchine sempre più complesse fece con il tempo aumentare la richiesta di operai specializzati causando un aumento della disoccupazione tra la manodopera generica e ricorrenti crisi della produzione fecero aumentare i disoccupati.

Parallelamente al proletariato si formò una classe impiegatizia piccolo borghese, con un tenore di vita di poco superiore a quello degli operai, ma con velleità di promozione sociale. Per soddisfare le esigenze dei ceti medio-bassi con un limitato potere d'acquisto, nelle maggiori città furono aperti i primi grandi magazzini, dove la grande quantità di merci prodotta industrialmente poteva essere commercializzata vantaggiosamente a prezzi contenuti.

La rivoluzione industriale ebbe una notevole influenza anche sulla cultura del tempo sviluppando temi che furono accolti dal Naturalismo francese. I romanzieri si ispirarono per le vicende dei loro romanzi alla vita contemporanea, studiando l'uomo in rapporto alla società, privilegiando nella scelta dei temi i ceti sociali più umili senza rifiutare alcun aspetto, anche se deteriore, della società rappresentata. In una concezione idealistica dell'arte, tali scrittori si illusero con le loro opere di studiare ed evidenziare i problemi della società in modo che fosse possibile porvi rimedio favorendo il progresso. I naturalisti francesi descrissero la società industrializzata, il proletariato i ceti borghesi, i piccoli proprietari agricoli di una nazione che aveva realizzato ormai da molti secoli la propria identità nazionale e che quindi offriva, per i diversi ambiti sociali , un quadro omogeneo e di vasto respiro. Al naturalismo francese si collegò il verismo italiano, il quale, di fronte ad una unità nazionale recentissima, e ad una realtà sociale altamente differenziata (nord Italia allineato alla realtà europea, meridione arretratissimo) non poté trovare una voce nazionale e sfociò in un accentuato regionalismo e nella concezione pessimistica del progresso tipici del Verga.


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