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Diritto divino dei re

Il diritto divino dei Re è una frase che si riferisce alle dottrine politiche e religiose europee dell'assolutismo monarchico. Queste sono largamente, ma non esclusivamente, associate con l'epoca medioevale e basate sulla credenza cristiana dell'epoca, che un monarca dovesse il suo potere alla volontà di Dio, non a quella del popolo, del parlamento, dell'aristocrazia, o di ogni altra autorità, e che ogni tentativo di restringere i suoi poteri fosse un atto contrario alla volontà divina.

Il suo simbolismo rimane nell'incoronazione del monarca britannico, che viene consacrato con l'olio santo dall'Arcivescovo di Canterbury, che con questo gesto lo ordina alla monarchia. È ulteriormente evidenziato dal tentativo di far risalire la genealogia dei monarchi europei a Re Davide del Vecchio Testamento, nell'apparente convinzione che ciò legittimi il governo del presente monarca (cf. http://www.kingdavid.org/genealogy.html). Il re o la regina del Regno Unito è l'ultimo monarca che si sottopone a tale cerimonia, che in altre nazioni è stata sostituita da altre dichiarazioni.

Il concetto

Il concetto di "diritto divino dei re" è differente dal più ampio "diritto reale concesso da Dio", presente in altre culture, che dice semplicementre che "il diritto a regnare è consacrato da Dio". Contrariamente al concetto cinese di "mandato celeste" che legittima il rovesciamento di un monarca oppressivo o incompetente, un Re europeo non poteva perdere il diritto divino a causa del suo malgoverno. Inoltre, il concetto di "mandato celeste" richiedeva che l'imperatore compisse i giusti rituali, consultasse i suoi ministri, e rendesse estrememente difficile disfare quanto portato avanti dai suoi predecessori.

La teoria imperiale giapponese basava la legittimazione dell'Imperatore del Giappone sulla sua discendenza da Amaterasu, comunque, contrariamente al caso europeo, questa divinità non si traduceva automaticamene in potere politico.

Nel mondo occidentale il concetto venne ad essere associato con la fede cattolica e le altre confessioni cristiane, nel periodo della Riforma. La nozione di "diritto divino dei re" sicuramente esisteva già precedentemente al periodo medioevale, comunque fu in qull'epoca che venne usata intensamente come principale meccanismo politico per incrementare il potere dei re all'interno delle monarchie centralizzate, relativamente ai nobili e ai sudditi. La sua formulazione più esauriente venne data da vescovo francese Bossuet e da Re Giacomo I d'Inghilterra, ma deve molto agli antichi scritti di Sant'Agostino d'Ippona e San Paolo di Tarso.

Nella Lettera ai romani, capitolo 13, San Paolo scrisse che i regnanti in terra, anche nel caso in cui non fossero cristiani, erano nominati da Dio alle loro posizioni di potere, allo scopo di punire i malvagi. Alcuni studiosi biblici ritengono che San Paolo stesse scrivendo, in parte, per rassicurare le autorità romane che governavano il suo mondo, che il movimento cristiano non era politicamente sovversivo. Le difficoltà poste per i successivi cristiani furono dovute al fatto che il Nuovo Testamento non contiene piani espliciti per il governo di società principalmente cristiane. Esso assume che i cristiani sarebbero sempre stati una minoranza in un mondo pagano, e i suoi consigli politici erano limitati a suggerire di obbedire alla legge e stare alla larga dai governi pagani.

Sant'Agostino modificò l'accento nel suo De Civitate Dei, per gli scopi del da poco convertito Impero Romano, che si trovava in serie difficoltà politiche e militari. Mentre la "Città degli Uomini" e la "Città di Dio" potevano servire a scopi differenti, entrambe erano state istituite da Dio e servivano alla sua volontà ultima. Anche se la "Città dell'Uomo" - il mondo del potere secolare - poteva sembrare empio e governato da peccatori, nonostante ciò, era stato posto sulla Terra per proteggere la "Città di Dio". Quindi i monarchi arano stati posti sul loro trono per gli sccopi di Dio, e mettere in discussione la loro autorità equivaleva a mettere in discussione quella di Dio.

Durante l'inizio del regno di Luigi XIV di Francia, Bossuet portò questo argomento alle sue conclusioni estreme. Rivendendo i precedenti del Vecchio Testamento riguardo alla scelta dei re, Bossuet concluse che i re erano consacrati come rappresentanti di Dio sulla Terra. Ognuno di essi aveva ricevuto il suo trono da Dio stesso, e ribellarsi contro la loro autorità era come ribellarsi a Dio. Nessun parlamento, nobile, tantomeno il popolo, aveva il diritto di partecipare a questa autorità data da Dio, poiché era stata conferita dalla provvidenza divina attraverso il diritto di primogentura.

In effetti Bossuet scrisse, non per giustificare l'autorità di una monarchia già autocratica, ma per proteggerla da ulteriori incidenti e tumulti che avevano scosso il trono francese, come la serie di "fronde" nelle quali i nobili francesi avevano combattuto insignificanti guerre civili contro l'autorità di Luigi XIII, e contro lo steso Luigi XIV. Gli insegnamenti di Bossuet in definitiva si rivelarono essere la causa di molti tumulti e spargimenti di sangue in Francia; la nozione di diritto divino venne infine spazzata via dalla rivoluzione francese.

Giacomo I d'Inghilterra

Queste motivazioni sono esemplificate e portate oltre nel seguente passaggio del capitolo 20 dei Lavori di Giacomo I d'Inghilterra:

Lo stato della monarchia è la cosa più suprema sulla Terra; poiché i re non sono solo i luogotenenti di Dio sulla Terra, e siedono sul trono di Dio, ma anche da Dio stesso vengono chiamati dei. Esistono tre principali similitudini che illustrano lo stato della monarchia: una presa dalla parola di Dio; le altre due dalle basi della politica e della filosofia. Nelle scritture i re sono chiamati dei, e così il loro potere viene comarato al potere divino. I re sono anche paragonati ai padri di famiglia: perchè un re è davvero un Parens patriæ, il padre politico del suo popolo. Da ultimo, i re sono paragonati alla testa in quel micorocosmo che è il corpo dell'uomo.

I re vengono giustamente chiamati dei, in quanto esercitano comportamenti o somigliano al potere divino in Terra: poiché se voi consideraste gli attributi di Dio, vedreste come concordano nella persona di un re. Dio ha il potere di creare o distruggere, fare e disfare a suo piacere, di donare la vita e mandare la morte, di giudicare tutto e di essere giudicato non responsabile verso nessuno; di innalzare le cose infime e di deprimere le cose elevate a suo piacere, e a Dio sono dovuti sia l'anima che il corpo. Un potere simile hanno i re; fanno e disfano i loro sudditi, hanno il potere di innalzare e deprimere, di vita e di morte, giudici su tutti i loro sudditi e in tutti i casi, e nonostante ciò non responsabili davanti a nessuno se non a Dio soltanto.

Io concludo quindi a questo punto toccando il potere dei re con questo assioma di divinità, che come contestare ciò che Dio può fare è blasfemia, così è sedizioso per i sudditi disputare ciò che un re può fare in virtù del suo potere. Ma solo i re saranno sempre pronti a dichiarare cosa vorranno fare, se non vorranno incorrere nella maledizione di Dio. Non sarò contento che il mio potere venga contestato; ma sarò sempre volenteroso nel far apparire le ragioni di tutti i miei atti, e governare le mie azioni in base alle mie leggi.

I sudditi di Giacomo non erano disposti a sottomettersi a queste affermazioni. Sorse una dottrina contraria, formulata da giudici come Sir Edward Coke, secondo cui il Re d'Inghilterra era la creazione della legge inglese, e soggetto a questa. Tale dottrina trovò aderenti nel Parlamento, spronata da precedenti anti-monarchici come la rivolta dei nobili che portò alla Magna Carta.

Questo conflitto infine culminò nella guerra civile inglese, che venne vinta dalle forze rappresentanti il Parlamento. La vittoria dei Parlamentari, confermata dalla Gloriosa Rivoluzione del 1688, fu il rintocco a morto del diritto divino dei re in Inghilterra, e stabilì fermamente il principio della monarchia costituzionale in cui l'autorità massima era il Parlamento, non il monarca.


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