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Italo Svevo

Italo Svevo (19 dicembre 1861, Trieste - 13 settembre 1928, Motta di Livenza), scrittore italiano.

Italo Svevo, il cui vero nome era Ettore Schmitz, nacque a Trieste nel 1861, da padre tedesco e madre italiana di origine ebrea. Svevo riuscì, grazie alle caratteristiche culturali di Trieste, allora parte dell'impero austro-ungarico, ad assimilare una cultura mitteleuropea, che gli consentì di acquisire una profondità intellettuale rara negli scrittori italiani del tempo. Al centro della sua formazione ci sono la conoscenza della filosofia tedesca (soprattutto Nietzsche e Schopenhauer) e della psicoanalisi di Freud e l'interesse per i maestri del romanzo francese, (Stendhal, Flaubert, Balzac, Zola) e per i grandi narratori russi (Gogol, Turgenev, Tolstoj, Dostoevskij e Cechov). Costretto ad abbandonare gli studi a causa del fallimento della ditta paterna, trovò un impiego in banca, dove lavorò per vent’anni, nei ritagli di tempo collaborò al giornale triestino l’Indipendente. Intorno al al 1890 scrisse il primo racconto, L’assassinio di via Belpoggio, nel quale la trama poliziesca un pretesto per amare riflessioni sulla natura umana. La sua esperienza di impiegato gli ispirò la prima opera pubblicata, ma che che non ebbe successo, il romanzo Una vita (1892). L’opera, che portava in origine il titolo Un inetto, incentrato sul personaggio di Alfonso Nitti, incapace di adattarsi alle regole e all'ambiente dell'ufficio e infine sconfitto dalla sproporzione tra le alte aspirazioni (la pubblicazione di una grande opera, il successo in società) e la sua incapacità di tradurre l'ideale in azione. Anche il romanzo successivo, Senilità, edito nel 1898, non ottenne il consenso di pubblico e critica. Nel romanzo, il titolo Senilità non allude al dato anagrafico bensì alla patologica vecchiaia psicologico-morale di Emilio Brentani. Questa seconda figura sveviana dell'"inetto" circondata da altri personaggi che acquistano nuovo consistenza rispetto al romanzo precedente: la sorella Amalia, malinconica e "incolore"; Stefano Balli, scultore di poca fama ma uomo energico nella vita e fortunato con le donne; e la procace, sensuale ed esuberante Angiolina. Emilio, letterato di scarso successo, prende a modello l'amico Balli e, nel tentativo di riscattare la mediocrità e il grigiore della propria vita, intreccia con Angiolina una relazione che si rivela fallimentare per l'incapacità di Emilio di tradurre in pratica la lezione dell'amico e per la tenacia con cui proietta nella donna i propri sogni idealizzanti. I due romanzi contengono già gli elementi essenziali della narrativa di Svevo:

  1. il tema della senilità, intesa pi come stato d’animo che come età
  2. il doloroso senso di fallimento che, in una vita dominata dagli istinti e dal sesso, precocemente dispone gli uomini alla fine (tema connesso alla senilità come condizione mentale)
  3. i metodi narrativi, analitici ed introspettivi, che talvolta hanno la crudezza di un referto clinico, ma estremamente fluidi nel seguire i trasalimenti del subconscio

Al tempo di Svevo trionfavano D’Annunzio e Fogazzaro, quindi, difficilmente, avrebbero potuto aver successo i romanzi di Svevo, completamente imperniati sull’analisi interiore del protagonista, eroe in negativo, destinato al fallimento, tanto diverso dal superuomo dannunziano, propugnante la superiorità aristocratica e la vittoria della volontà sui sensi, ed altrettanto lontani dal sentimentalismo neoromantico del Fogazzaro. Svevo contrappone la crudezza ed il grigiore del quotidiano ai toni dolcemente sfumati di Fogazzaro ed al rutilante mondo pittorico – musicale di D’Annunzio, un mondo che di là del bene e del male, nel quale la realtà sconfina nell’onirico e la cui misura non l’etica, bensì l’uomo nella sua suprema capacità sensoria. L’uomo di Svevo, invece ha superato tale fase ed caduto in una precoce senilità psicologica. Certamente, coloro che ammiravano il superficiale titanismo dannunziano dovettero giudicare incomprensibile l’introspezione di Svevo. Nel 1897, lo scrittore pubblicò il racconto La trib, di ispirazione utopisticamente marxista, sulla rivista diretta da Turati La critica sociale, che cercava di conciliare le istanze del movimento operaio con la società liberal - democratica.
L'insuccesso dei primi due romanzi indusse Svevo a circa vent'anni di silenzio letterario, interrotto solo da tre commedie, assai mediocri, che non ebbero ovviamente successo(Le teorie del conte Alberto, Il ladro in casa, Un marito), ma, nonostante le responsabilità imposte dalla sua nuova posizione di dirigente nella ditta di vernici del suocero, Svevo non smise di dedicarsi alla letteratura, come testimoniano alcuni suoi racconti: l'inizio della stesura della Madre  risale al 1910, sebbene il racconto sia stato pubblicato postumo, nel 1929, nella raccolta La novella del buon vecchio e della bella fanciulla. Prima del 1912 si colloca anche la scrittura di alcune delle prose brevi raccolte nel volume Corto viaggio sentimentale, pubblicato nel 1949.

Nel 1905 Svevo conobbe Joyce e che gli insegnò l’inglese da Joyce, tra i due scrittori nacque una profonda amicizia, che portò lo Svevo a riaccostarsi alla letteratura rivelandosi. Joyce, che soggiornò a Trieste fino al 1915, lesse con entusiasmo le opere di Svevo (soprattutto Senilità) e lo incoraggiò a scrivere un nuovo romanzo. Svevo, da parte sua, poté leggere non soltanto le opere joyciane già pubblicate, ma anche i manoscritti di quelle in fase di stesura (certamente Dedalus). Intanto, nel 1908, Svevo cominciò ad interessarsi alla psicoanalisi, accostandosi all'opera di Freud, che gli fornì altri fondamentali strumenti per scandagliare la "coscienza" del terzo inetto, Zeno Cosini. Durante la prima guerra mondiale, Svevo cominciò a elaborare La coscienza di Zeno (1923). In questo romanzo, considerato il suo capolavoro, l'autore sviluppa un'analisi psicologica di straordinaria profondità e costruisce tecniche narrative modernissime, soprattutto per la tradizione del romanzo italiano. La prima pagina, scritta nella finzione letteraria dallo psicoanalista di Zeno, presenta la narrazione come un'autobiografia del paziente, una rievocazione del passato richiesta dal medico come tappa preliminare alla terapia analitica. Mediante la rappresentazione interiore della nevrosi del protagonista e narratore, l'autore riesce a rendere la soggettività del pensiero e dei ricordi, in una narrazione che appare ormai quasi completamente svincolata dalle convenzioni realistiche ottocentesche, ma la novità di Svevo anche nella sua dissacrante ironia, nella costruzione di un protagonista radicalmente antitragico e antieroico. Alla pubblicazione, La coscienza di Zeno ricevette solo brevi recensioni negative. Svevo inviò una copia del romanzo a Joyce, che lo elogiò e gli procurò il consenso di noti critici (Crémiex e Larbaud, nel 1926, dedicarono a Svevo un numero della rivista parigina Le Navire d'Argent). Al successo di Svevo contribuì, nel 1925, una recensione favorevole di Montale (Omaggio a Italo Svevo sul periodico milanese L'Esame), tuttavia la fortuna critica ebbe consacrazione ufficiale un anno dopo la morte dello scrittore, avvenuta in un incidente automobilistico, con un numero speciale dedicato a lui dalla rivista fiorentina di letteratura Solaria. L’ opera di Svevo costituì un momento di passaggio tra le esperienze del decadentismo italiano e la grande narrativa europea dei primi decenni del Novecento. Il clima nazionalista imposto dal regime fascista non poteva però tollerare il successo di uno scrittore di origine ebrea (gli ebrei considerano tali solo coloro la cui madre ebrea), dal nome straniero e che narrava storie di inetti e di falliti, ma si schierò a favore dello Svevo Elio Vittorini. Nel 1927, Svevo pubblicò la novella Vino generoso e, nel 1928, Una burla riuscita e Le confessioni di un vegliardo. lo scrittore morì quello stesso anno e numerose opere furono pubblicate postume: le raccolte La novella del buon vecchio e della bella fanciulla e Corto viaggio sentimentale ed altri racconti inediti, saggi, pagine sparse, e le commedie L’avventura di Maria e Infermità. La grande differenza tra i i due periodi dell’attività letteraria di Svevo, consiste nel fatto che, nei primi due romanzi (Una vita / Senilità) ancora avvertibile l’influsso verista, mentre ne’ La coscienza di Zeno e nelle opere seguenti emerge un nuovo modo di percepire la realtà, totalmente imperniato sull’analisi e l’introspezione psicologica. Nelle opere della maturità, il tono mesto del primo periodo cede ad un sottile, amaro, umorismo. Una caratteristica accomuna i tre romanzi: il protagonista un uomo abulico, incapace di affrontare la realtà, destinato a soccombere, ma che tenta di nascondere anche a se stesso la propria inettitudine, sogna impossibili evasioni, cerca vane giustificazioni. Come in senilità, anche ne’ La coscienza di Zeno la narrazione si accentra, sotto la spinta di motivi autobiografici, in un personaggio – schermo dell’autore, risolvendosi nel monologo interiore del protagonista, tormentato indagatore delle proprie frustrazioni (autoanalisi). Nella descrizione dei personaggi e nell’analisi dei loro processi autogiustificativi, Svevo scopre il continuo intrecciarsi nella psiche di passato e presente, infatti il passato muta come la vita, poiché tornano a galla episodi ormai dimenticati, mentre altre parti della realtà sono obliate o reinterpretate, poiché hanno perso importanza o sono troppo imbarazzanti dolorose.

Il romanzo rimasto incompiuto a causa della morte dello scrittore, Il vecchione la continuazione de’ La coscienza di Zeno e vi compare, il dottor S., un personaggio del precedente romanzo, figura umoristica, ritratto dello psicanalista cinico, mentre il protagonista ancora Zeno il quale, riconoscendo l’inutilità della cura, afferma che gli pare di aver vissuto veramente solo le parti di vita narrate negli appunti, tanto che la descrizione della vita gli appare pi reale della vita stessa. Zeno indeciso, inconcludente, parassita, gretto con le donne, privo di affetti, incapace di badare ai propri interessi, segue cerimoniali ossessivi, tipici del nevrotico, tuttavia Svevo riesce a renderlo simpatico grazie ad un procedimento umoristico, in base al quale il personaggio, ossia lo stesso autore, mette a nudo gli aspetti deteriori della propria personalità, si mostra consapevole dei propri difetti superandoli e conquistando il lettore che identifica nelle debolezze del personaggio le proprie. La prosa di Svevo talvolta grigia e faticosa ed anche tale fattore contribuì agli iniziali insuccessi, in un periodo nel quale trionfava il magniloquente, smagliante barocchismo di D’Annunzio. La lingua usata dallo Svevo ha un andamento sintattico di stampo tedesco, abbondano le cadenze dialettali triestine ed i costrutti sintatticamente trasandati, anche se lo scrittore tentò una revisione linguistica della propria opera, il cui risultato portò all’introduzione di parecchi arcaismi, di espressioni del gergo burocratico e di espressioni prettamente medico – scientifiche. Nonostante ciò, o forse propri grazie a tali “barbarismi”, il Vittorini si entusiasmò, scoprendo nelle parole un significato trascendente la loro bellezza per la dolente e spietata analisi della solitudine e della sconfitta dell’uomo e per la cancellazione fra presente e passato, l’opera di Svevo paragonabile a quella di Pirandello, di Joyce e di Kafka, l’autore triestino stato accostato anche ai decadentisti e tale parallelo può essere corretto se per decadentismo s’intende l’analisi dell’uomo secondo parametri esistenziali, ma, al contrario del maggior decadentista italiano, Pascoli, Svevo non cerca l’alibi del mistero cosmico che avvolge l’uomo, bensì ha il coraggio di considerare l’umana miseria senza remore e di scavare nella psiche fino a mettere a nudo le radici del dolore e della solitudine che vi sono annidate. Nello Svevo v’ un’esigenza continua di chiarezza, una disposizione naturale realistica, alla quale si sovrappone la necessità di trovare una definizione alla vita. Nell’indagine psicologica del personaggio affiora la mistificazione che esso esercita con se stesso, la volontà di svelarla ed una bonaria tolleranza per l’inestricabile groviglio in cui l’uomo vive. Come in Pirandello, l’indagine sulla realtà psicologica supera il mero estetismo e i sentimenti non portano mai al lirismo. L’indagine morale condotta rigorosamente e basata laicamente sulla psicologia, sulla logica, sulla coerenza intellettuale, accentuando la crisi analitica del personaggio, la sua frammentazione, il suo dramma esistenziale, il duello con l’altro se stesso, proiettato sullo sfondo della società, mentre il tempo interiore affonda le radici nell’io pi profondo. Svevo percorre con impressionante chiarezza i temi dell’alienazione e del rapporto fra individuo e società e, come in Pirandello, il suo realismo porta alla disintegrazione della società stessa.


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