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Tibullo

Albio Tibullo (55 AC – 18 AC).

Sulla vita di Albio Tibullo mancano informazioni precise. Le scarse notizie sono tratte da accenni nelle elegie sue o di altri poeti e da una "vita" giunta adespota (senza il nome dell'autore) nei più antichi codici tibulliani e forse risalente al De poetis di Svetonio. Nacque verso il 55 AC, nel Lazio rurale, da famiglia, agiata, appartenente al ceto equestre (anche se egli deplora rovesci economici e povertà, motivo comune ad altri poeti elegiaci).

Fondamentale per il poeta fu il rapporto di amicizia e protezione che lo legò a Messalla Corvino, nobile uomo politico repubblicano, che conservò una posizione di prestigio anche sotto il regime augusteo. Tibullo seguì il suo patrono in alcune delle spedizioni militari affidategli da Augusto, partecipando a quella in Aquitania che valse a Messalla il trionfo (27 AC), celebrato dal poeta in un'elegia. Un'altra elegia ricorda che Tibullo intraprese, nello stato maggiore di Messalla, anche una missione in Oriente, ma la malattia lo trattenne a Corcira (Corfù) e lo costrinse a tornare in Italia. Trascorse gli ultimi anni di vita nella campagna laziale, dove Orazio lo ritrae appartato e malinconico. Morì nel 18 AC.

Table of contents
1 Opere
2 Il Corpus Tibullianum

Opere

Sotto il nome di Tibullo l'antichità ha trasmesso una raccolta eterogenea di elegie, il Corpus Tibullianum, in tre libri (il terzo fu diviso in due parti in età umanistica), di cui solo una parte è attribuibile con certezza al poeta, (i primi due libri e gli ultimi due componimenti dell'attuale quarto libro, ed altri cinque dello stesso libro (da 2 a 6) sull'amore di Sulpicia (nipote di Messalla) per Cerinto).

Il I libro, iniziato dopo il 32 AC e pubblicato nel 26 o 25 AC, è dominato dalla figura di Delia alla quale sono dedicate cinque (1,2,3,5,6) delle dieci elegie che lo compongono. Questi componimenti, conformemente alla topica del genere elegiaco, descrivono una relazione tormentata dal tradimento con una donna volubile, capricciosa, amante del lusso e dei piaceri mondani. Alle elegie per Delia si alternano quelle per un giovinetto, Màrato (4,8,9 arte di conquistare i ragazzi), venate di giocosa ironia, ma i contorni di questa relazione, restano molto sfumati. Completano il I libro un'elegia (7) per il compleanno di Messalla e quella conclusiva (10) che celebra la pace e la vita campestre.

Tre delle sei elegie del II libro (3,4,6), forse incompiuto, sono dedicate a Nèmesi («Vendetta»), una cortigiana avida e spregiudicata, che ha scalzato Delia dal cuore del poeta. Delle rimanenti elegie, la prima descrive la celebrazione di una festa agricola, gli Ambarvalia, una canta il compleanno dell'amico Cornuto (2) un'altra (5) celebra la nomina di Messalino, primogenito di Messalla, nel collegio sacerdotale dei quindecemviri sacris faciundis. Non c'è traccia, in ciò che resta di Tibullo, della Glicera di cui Orazio, nei Carmina, lo dice infelicemente innamorato.

Tibullo è noto come poeta dei campi, della serena vita agreste, ma la vita cittadina, scenario abituale della poesia elegiaca, fa da sfondo all'intrecciarsi degli amori, degli intrighi, degli incontri furtivi, dei tradimenti e delle occasioni attorno a cui ruota la società galante. La poesia elegiaca tende a costruire un mondo mitico che sia ideale rifugio dalle amarezze e dalle delusioni di un'esistenza tormentata. In Tibullo il mondo del mito è assente (ciò lo differenzia fortemente dagli altri elegiaci) e la sua funzione è svolta dal mondo agreste. La campagna tibulliana è uno spazio di vita semplice e serena, armoniosamente rispondente ai ritmi della natura e pervasa da un senso di rustica religiosità ancestrale. Tibullo ne fa il luogo del rimpianto e del desiderio, scenario di una perduta età dell'oro e insieme approdo sperato di un'esistenza sofferta e precaria. In un ambito convenzionale e stilizzato, sono presenti alcuni cenni indubbiamente autobiografici. È forte nel poeta la necessità di un rifugio, di uno spazio intimo e tranquillo in cui proteggere gli affetti dalle insidie della vita.

A tale bisogno risponde anche l'altro tema dominante della poesia di Tibullo, quello della pace. L'antimilitarismo, l'esecrazione della guerra e dei suoi orrori, risponde ad una diffusa esigenza di pace avvertita dalla cultura del tempo, dopo la lunga tragedia delle guerre civili. Nel vagheggiamento di un mondo ideale, popolato da persone semplici, riscaldato dall'amore di una donna fedele, dietro i tratti dell'idillio bucolico (si avverte l'influenza virgiliana), la campagna di Tibullo rivela il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati dall'ideologia arcaizzante del principato. Nell'intima adesione ai valori tradizionali, nell'atteggiamento antimodernista, Tibullo è forse il caso più evidente della contraddizione insita nella poesia elegiaca, dichiaratamente anticonformista e ribelle. Tibullo non è incline a dichiarazioni di poetica che lo colleghino apertamente alla poesia ellenistica, ma l'opera dei grandi poeti alessandrini gli è certamente ben nota e nella sua opera compaiono molti dei tratti distintivi della poesia ellenistica. Manca l'erudizione sottile esibita dagli Alessandrini ed è quasi assente l'evocazione di miti preziosi, tuttavia, anche a Tibullo compete l'etichetta di poeta doctus, infatti, il suo stile rivela una scrittura attentissima, dove la semplicità è il risultato di una scelta artistica che privilegia la forza espressiva delle parole, senza rafforzarle con torsioni del discorso o intensificazioni patetiche. L'espressione limpida sembra frutto di immediatezza, lo sforzo del comporre resta nascosto sotto la superficie levigata di una scrittura solo apparentemente spontanea.

Alla limpidità dell'espressione corrisponde una voce misurata, senza esasperazioni, il ritmo ha una lieve "cantabilità", una cadenza regolare, che spesso acquista quasi la risonanza di una rima quando il suono che chiude la seconda metà del verso riecheggia la chiusa della prima (ha influenzato la tecnica del distico elegiaco di Ovidio). Terso ed elegante, Tibullo fu ammirato dagli antichi per il suo stile semplice, luminoso, agile e raffinato. La purezza lessicale, i pensieri armoniosamente collegati fra di loro, i toni tenui e delicati, languidamente sognanti, la moderazione della componente mitologica, la lieve ironia, conferiscono alla poesia tibulliana il fascino della maturità stilistica e della naturalezza espressiva. Il successo di Tibullo perdurò fino al primo secolo dopo Cristo, in seguito, durante la tarda antichità ed il medioevo il poeta fu quasi dimenticato, per essere nuovamente apprezzato in età umanistica, nel '700 e fino ad oggi.

Il Corpus Tibullianum

I due codici più importanti di Tibullo, l'Ambrosiano e il Vaticano (XIV secolo), hanno trasmesso una raccolta di componimenti poetici di cui solo una parte è attribuibile al poeta. Tale raccolta costituisce il Corpus Tibullianum. Nei codici il Corpus era diviso in tre libri, ma gli umanisti divisero il III in due, e quindi oggi consta di quattro libri.

Ligdamo

I primi sei componimenti del III libro del Corpus, indirizzati a una donna di nome Neèra, sono opera di un poeta che si denomina Ligdamo. Trattandosi di uno pseudonimo (Lygdamus è nome greco e come tale avrebbe potuto portarlo solo uno schiavo, ma il poeta si definisce un uomo libero e di antica famiglia romana), si era creduto che celasse Tibullo stesso, però Ligdamo fissa il proprio anno di nascita nel 43 AC. Egli indica tale data con il verso: "cum cecidit fato consul uterque pari" (lo usa allo stesso scopo anche Ovidio nei Tristia), per indicare l’anno in cui, nella battaglia di Modena, morirono ambedue i consoli Irzio e Pansa. Il 43 AC è l'anno di nascita di Ovidio, ma non può esserlo di Tibullo, che in tal caso, al momento della spedizione in Oriente con Messalla (circa 30 AC), avrebbe avuto 13-14 anni. L'ipotesi più ovvia e più plausibile, identifica in Ligdamo il giovane Ovidio, il quale avrebbe nei Tristia ripreso un verso già utilizzato in precedenza, ma si scontra con diverse ragioni di ordine linguistico–stilistico. Lìgdamo, probabilmente, era un poeta della cerchia di Messala, i numerosi parallelismi fra i suoi versi e quelli ovidiani possono essere anche spiegati con un influsso di Ovidio su questo misterioso poeta. Le elegie di Ligdamo sono incentrati sulla dolorosa separazione dalla donna amata ed elaborano motivi ricorrenti della poesia elegiaca. Nonostante il ricorso a topoi convenzionali e una certa immaturità stilistica, svelano una fresca sentimentalità, insidiata dal pensiero ossessivo della morte.

Il panegirico di Messalla e gli altri componimenti

Alle sei elegie di Ligdamo fanno seguito, nei codici del Corpus Tibullianum, un lungo carme in esametri, il Panegyricus Messallae, e un gruppo di 13 componimenti, che costituiscono l'attuale IV libro. Il mediocre Panegirico di Messalla (composto poco dopo il 31 AC, anno del suo consolato) è un elogio dell’importante uomo politico di cui celebra le virtù e ripercorre la carriera. L'autore, ignoto, era un poeta del circolo. Degli altri 13 componimenti del IV libro, sono attribuiti a Tibullo i primi cinque ((2-6), sull'amore di Sulpicia (nipote di Messalla) per Cerinto forse il nome ellenizzato di Cornutus, amico di Tibullo) e gli ultimi due (13–14, l'ultimo è un epigramma. Le elegie 7-12 costituiscono invece un ciclo di brevi biglietti d'amore di Sulpicia per Cerinto, attribuiti alla stessa Sulpicia. L'intero Corpus Tibullianum è un documento prezioso di quell'importante ambiente culturale e letterario che fu il circolo di Messalla.

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