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Umberto Saba

Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (9 marzo 1883, Trieste - 25 agosto 1957, Gorizia), poeta italiano.
Umberto Poli, di madre ebrea, (quindi, secondo la religione ebraica, ebreo) presto abbandonata dal marito, visse una malinconica infanzia, velata dalla lontananza del padre. Il poeta assunse lo pseudonimo Saba (pane in ebraico) e, dopo l’emanazione delle leggi razziali (1938) visse a Parigi, Firenze, Roma, Milano. Nel 1947, tornò nella città natale. Saba si era formato nell’ambiente culturale mitteleuropeo triestino del primo ‘900, guardando a Nietzsche ed a Freud, ma anche alla grande tradizione ottocentesca italiana, soprattutto al Leopardi. Saba cominciò a scrivere nel ‘900 [Poesie dell’adolescenza e giovanili (1900 –1907), Versi militari (1908)]. Seguirono i capolavori: Trieste e una donna (1910 - 1912) e Serena disperazione (1913 - 1915), in cui, con linguaggio semplicissimo e privo di retorica il poeta esprime sentimenti quotidiani, ed affetti domestici con ricchezza di sfumature e contrasti psicologici. Il colloquio confidenziale con la realtà (lezione pascoliana) si arricchisce in seguito di toni lirici e si volge ai temi della gioia, del dolore, della morte [Cose leggeri e vaganti (1929 - 1931), L’amorosa spina (1920), Preludio e canzonette (1922 1923), Cuor morituro (1925- 1930), Preludio e fughe (1928 – 1929), Il piccolo Berto (1929 - 1931)] gradatamente la poesia diviene riflessione esistenziale ed accettazione rassegnata del tempo che fugge [Parole (1933 - 1934), Ultime cose (1935 – 1943), Varie (1944), Mediterranee (1946) raccolte poi nel Canzoniere (1948)]. Negli ultimi anni al lirismo proprio di Saba si aggiunsero il motivo moralistico e sentenzioso delle prose di Scorciatoie e raccontini (1946) e della raccolta Uccelli, quasi un racconto (1951). Postumi furono pubblicati il romanzo Ernesto ed il volume Amicizia.

I primi versi di Saba sono prosastici, incerti, il motivo psicologico fondamentale la malinconia, le figure rappresentate sono i simboli quotidiani di una vita grigia e comune. Eppure, il linguaggio che dal prosaico diviene talvolta sciatto e la costante aderenza al reale non sfociano nel verismo provinciale, bensì esprimono un’intensa carica sentimentale che diviene canto. I luoghi domestici e le figure care e quotidiane accompagnano e consolano la vita malinconica del poeta ed il suo canto esprime un desiderio di affratellamento. È questa una costante di Saba. Anche le poesie come quelle della raccolta Preludio e fughe (1927 -1928) che poterebbero apparire come una pausa meramente musicale, racchiudono un attento ascolto delle voci interiori e sono spesso simbolo di sentimenti sofferti e di memorie. Nelle ultime raccolte, accanto alla contemplazione assorta della vita si insinuano il ricordo e la nostalgia del passato, spesso affidati alla musicalità dei versi. Persistono, tuttavia, gli aspetti domestici e le figure amate, i versi sono, però, pi scanditi e la composizione breve e incisiva. Restano immutabili i temi originari: i fanciulli di Trieste, le vie solitarie, i caff fumosi del porto, le donne amate. Sono temi immobili, poiché Saba concepisce la vita come immutabile: l’uomo spera sempre un domani migliore, anche se sa che il nuovo giorno porterà le stesse sofferenze di quello trascorso (Leopardi). Saba una delle voci migliori e pi riconoscibili del ‘900 italiano, per la fedeltà ai propri temi, la ricchezza sentimentale, l’impegno umano, l’itinerario spirituale e stilistico non condizionato dalle mode. La sua poesia , soprattutto, storia della sua esistenza, contemplata con la fermezza di chi sa trovare nel dolore e nella pena il segno del destino umano, in nome del quale si sente unito agli altri uomini (Leopardi – La ginestra). Mentre i poeti del periodo fra le due guerre tendono ad una riflessione e ad una grande consapevolezza letteraria, che conduce all’ermetismo, in Saba evidente la volontà di esprimersi in modi semplici, musicali, a volte con notazioni diaristiche, anche se l’autobiografismo gradualmente si dissolve nel canto. Il fondo costante di Saba la consapevolezza malinconica di una esistenza immutabile e la malinconia alleviata dalla contemplazione delle cose quotidiane, dal sentirsi vivere, dall’accettare le passioni come sempre diverse e sempre le stesse. I paesaggi non sono descritti, bensì evocati dal ricordo e dall’affetto che modulano un canto monotono, ma intimo e suggestivo. Di Saba esistono due documenti critici di altissimo valore: Quello che resta da fare ai poeti (1911), articolo rifiutato dalla Voce e la Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) che appartiene all’ultima fase della sua opera. L’apparente contraddizione tra la “poesia onesta” propugnata nell’articolo e la critica della propria opera, attenta a sottolineare i meriti e a trascurare le manchevolezze, si risolve nell’essere il Saba critico di se stesso e, quindi, in possesso di una verità diretta che fa della seconda opera la conclusione logica di una vita trascorsa al servizio della poesia.

Poetica

La prima ragione di Saba, la sua umanità, fa sì che la sua poesia sia un dono per gli altri (Pascoli), con la speranza di giungere ad un discorso fatto di umiltà, semplicità e pietà. L’esame critico si riallaccia all’affermazione del 1911: - ai poeti resta da fare la “poesia onesta” (N.B. – siamo in pieno clima di avanguardia, il manifesto di Marinetti del 1909). Saba contrappone il Manzoni degli Inni sacri (versi mediocri ma immortali perché “onesti”, frutto di autentici sentimenti), al D’Annunzio delle Laudi e dalla Nave (versi magnifici, ma effimeri perché “disonesti” in quanto artificiali, non rispondenti ai sentimenti, bensì costruiti ad effetto). Saba ha quindi già ben chiara la nozione di una poesia che non deve essere frutto di artificio, di finte passioni, di menzogna, esclusivamente volta ad ottenere un bel risultato. Compito dello scrittore far collimare contenuto e forma, magari limitando la spinta emotiva, piuttosto che correre il rischio di esagerare e mentire. Il poeta, lo scrittore in genere, deve essere, tanto nella vita, quanto nella letteratura, un uomo onesto. Tale principio, che il punto di partenza di Saba, ancore determinante al momento della critica della propria opera e tale possibilità critica gli viene dalla consapevolezza di ciò che egli ha inteso realizzare (non crepuscolare, come a volte definito, per gli stessi motivi per i quali rinunzia al dannunzianesimo e tutto ciò che può essere o sembrare posa). Saba parla della necessità di sostenere con il ritmo l’espressione della passione, fissando così i limiti dello strumento, a vantaggio del sentimento da esprimere. Saba mira al giusto equilibrio tra sentimento ed arte, tra contenuto e forma, seguendo l’ispirazione, senza timore di ripetere se stesso o gli altri, (al contrario dei simbolisti, sostenitori della poesia pura). Saba si accosta ad una poesia discorsiva, capace di accogliere tutte le occasioni di ispirazione che la vita può offrire. Il poeta deve rileggersi cercando di rilevare la corrispondenza fra stati d’animo e versi, tra pensato e scritto, mediante moduli tradizionali e semplici, in netto contrasto con le soluzioni allora di moda. Il poeta, inoltre, deve abbandonare il modello del “letterato di professione” (D’Annunzio) rifiutando sia le soluzioni dei futuristi, sia quegli esiti dannunziani che hanno prodotto una poesia artificiale e la collusione tra letteratura e politica. Parimenti Saba rifiuta la ricerca esasperata dell’originalità e la sperimentazione eccessiva e gratuita, mirando, invece, ad una equilibrata opera di revisione, di selezione e di rifacimento. Al contrario di quanto vede fare intorno a sé, Saba adotta il pi semplice dei linguaggi e propone un discorso non drammatico, alieno da violente speculazioni, cercando di sviluppare la naturale capacità dell’uomo – Saba nello stabilire il contatto con gli altri, sulla base di uno scambio fondato su una diversa, ma sempre semplice ed umana interpretazione dell’esistenza. Saba vive pazientemente aspettando la “serena disperazione”, ossia la serenità che viene dalla volontaria partecipazione a ciò che deriva dall’esperienza del mondo, dalla ricerca dell’equilibrio e dal senso delle proporzioni, mentre la disperazione la consapevolezza dell’inalterabilità della vita e dell’inevitabilità del destino. A tale consapevolezza, Saba contrappone la pazienza, il gusto dell’interpretazione, l’amore della vita, per arrivare non alla spiegazione (Montale) bensì ad mitigare l’impatto con la realtà. La malinconia e la dolente consapevolezza dell’esistenza, la meditazione sul trascorrere del tempo, diviene accorata saggezza della maturità e un doloroso amore della vita. Che trova voce nel dialogo interiore fra passato e presente e la consapevolezza delle propria vicissitudini esistenziali diviene coscienza della tragedia storica di tutto un popolo, sempre restando aliena dalla retorica.


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