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Le lingue neolatine o romanze (italiano, francese, spagnolo, portoghese, rumeno, dialetti ladini del Friuli, del Trentino e dei Grigioni, Sardo) derivano dal latino. I Romani imposero il latino come lingua ufficiale nei territori dell’impero, a livello locale, la lingua subì inevitabili alterazioni che, con il disgregarsi dell’impero, divennero sempre pi marcate.

Alcuni secoli dopo la caduta dell’Impero Romano, tra le differenti regioni che ne avevano fatto parte, le parlate popolari erano ormai differenziate ed all’interno di ogni territorio si era verificata un’ulteriore differenziazione tra lingua scritta e lingua parlata (già presente nel latino classico).

Table of contents
1 Nascita dei volgari
2 Umanesimo e Rinascimento
3 Rinascimento
4 Il Cinquecento
5 Paragone Guicciardini - Machiavelli
6 Rinascimento e Controriforma
7 La letteratura e la Controriforma
8 Il ‘600
9 Poetica barocca
10 Gli Antimarinisti
11 Il poema eroicomico
12 Prosa barocca
13 Il teatro nel ‘600
14 La commedia dell’arte
15 Il ‘700
16 Prima metà del ‘700
17 Seconda metà del ‘700
18 Il Romanticismo europeo
19 Differenze tra Manzoni e Leopardi
20 Leopardi romantico
21 Crepuscolari
22 Decadentismo
23 Ermetismo
24 Il Simbolismo
25 Il futurismo: movimento di rottura.
26 Differenti conclusioni del pessimismo
27 Pirandello, Svevo, Joyce
28 Questione della lingua

Nascita dei volgari

La maggioranza della popolazione era costituita da laici illetterati, che, senza distinzione di condizione sociale, parlavano volgari che si allontanavano sempre pi dal latino, finché questo divenne incomprensibile a chi non lo avesse studiato (il latino era sentito come coincidente con la grammatica), mentre un’élite di uomini di cultura, i chierici, quasi tutti appartenenti alla cerchia ecclesiastica, parlava in volgare, ma era capace di leggere e scrivere in latino. Col tempo diventò necessario rivolgersi ai laici in volgare, prima oralmente, poi, quando si fu costituito un pubblico di laici avente una certa cultura, anche per iscritto. Tutti coloro che sapevano scrivere, usavano il medio-latino, ossia una lingua che, pur con modificazioni profonde, era una continuazione diretta del latino scritto antico mentre coloro che parlavano soltanto (l’analfabetismo tra i laici, nobili e sovrani compresi, era pressoché totale) usavano esclusivamente le parlate locali, ossia i volgari, sempre pi lontani dal latino e sempre pi differenziati tra loro, ciò incoraggiò l’uso scritto del volgare. Dall’VIII secolo in poi, l’uso scritto del volgare fu avvertito come necessario per soddisfare le necessità di una larga parte della popolazione. Nell’813 un capitolare impose l’uso del volgare nella predicazione. Per il francese (d’oïl) ed il tedesco (francone) il primo documento ufficiale in volgare risale all’842, il Giuramento di Strasburgo, redatto da Nitardo in lingua colta. Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, alleandosi, giurarono l’uno nella lingua dell’altro, alla presenza dei rispettivi eserciti. (Ludovico il Germanico in romanzo, Carlo il Calvo in germanico). Per l'italiano non possibile indicare una data precisa, tuttavia, dall'VIII al XII secolo, il volgare fu adoperato sempre pi largamente e scritto con frequenza sempre maggiore. Il documento pi antico che si conosca l’indovinello veronese, della fine del VIII secolo o del principio del IX, forse opera di un chierico, in cui l'atto dello scrivere paragonato a quello del contadino che ara un campo bianco lasciandosi dietro un seme nero. L’indovinello in una lingua nella quale il latino al tramonto e il volgare già si delinea:
''Se pareba boves, alba pratalia araba
Albo versorio teneba, negro semen seminaba 

(''sembravano buoi (dita), arava un bianco prato (pagine) teneva un bianco versorio (penna) e seminava una semente nera (lettere)

Il volgare appare ormai vitale in quattro placiti cassinensi, ossia quattro testimonianze giurate, registrate tra il 960 e il 963, sull'appartenenza di certe terre ai monasteri benedettini di Capua, Sessa e Teano. Sono importanti soprattutto perché non sono la stesura per iscritto di frasi improvvisate dai testimoni, bensì la ripetizione di formule che il giudice aveva preparate in volgare, perché fossero intese anche da coloro che non erano in grado di comprendere un giuramento in latino. I placiti sono i primi documenti in un linguaggio che vuol essere ufficiale e dotto. Documenti simili divennero sempre pi frequenti, documentando il diffondersi e rafforzarsi progressivo del volgare e l’intenzione di usarlo con scopi o con caratteri. Tuttavia, il latino, grazie al carattere conservatore della chiesa, restò ancora, per tutto il Duecento e oltre, lingua della cultura ed occorsero parecchi secoli perché il volgare italiano, divenuto ormai lingua letteraria e culturale, raggiungesse tutti i settori del sapere. Nel corso del Duecento e del Trecento in latino scrissero regolarmente i teologi, i giuristi, i retori, quasi tutti gli scienziati e molti storici. Dante compose in volgare il Convivio, ossia un'opera culturale e la Commedia, un poema didascalico nel quale si tratta anche di teologia, ma, per formulare le leggi retoriche del poetare in volgare, scrisse in latino ed in latino scrisse il de Monarchia che, trattando un problema supernazionale, i rapporti tra Chiesa e Impero si rivolgeva a un pubblico non solo italiano. Nel Duecento si sceglieva tra le due lingue, a seconda del «genere», dell'argomento e del pubblico, ma chi sapeva il latino e aveva conoscenze scientifiche non leggeva volentieri libri scritti in volgare. Già nel IX secolo le dame amavano la narrativa storico- romanzesca, che pi tardi portò alle chansons de geste ed ai romanzi (XI-XII sec.).
Nelle corti alcuni signori ed alcune dame erano in grado di leggere i testi latini, per gli altri i chierici palatini facevano pubbliche letture, traducendo estemporaneamente o riassumendo in volgare. Alla regolamentazione dei volgari contribuì notevolmente il capitolare dell’813, infatti, gli uomini di Chiesa nel tradurre le omelie dal latino applicava alla nuova lingua le regole del latino.

Fondamentali differenze fra latino ed italiano
Latino Italiano
Declinazione neutra Perdita del neutro
casi (declinazioni) Perdita della declinazione, sostituita dalle preposizioni
Forma passiva del verbo Perdita della forma passiva sostituita da quella perifrastica (parte nominale + verbo)
Manca l'articolo Compare l'articolo
Metrica quantitativa (sillabe lunghe e brevi) mancano rime e strofe Metrica accentuativa (accento delle sillabe) rima e strofa

Umanesimo e Rinascimento

Libera costruttività dell’uomo, la scienza ha come fondamento solo l’esperienza, libertà morale come regolatrice del mondo (la verità ha valore se discende da una libera scelta morale).

Per i letterati del ‘400 e ‘500:

  1. Il culmine della civiltà stato raggiunto in epoca classica
  2. Il latino stato la lingua della civiltà
  3. La decadenza del latino e della cultura ad esso collegata hanno caratterizzato il medioevo
  4. Il volgare espressione di barbarie (il latino della Chiesa impoverito e scorretto)
  5. La conoscenza dei classici indispensabile all’uomo colto (esclusione dalle cariche di prestigio di chi scrive in volgare o in latino scolastico)
  6. Disprezzo per coloro che senza una precedente cultura umanistica si dedicano a studi d’altro genere

Già Dante aveva auspicato il ritorno al latino classico. Il primo umanista fu Petrarca ben presto imitato dal Boccaccio (ricerca e studio dei classici come approfondimento culturale ed arricchimento spirituale). Il movimento fu poi chiamato “Rinascimento” perché parve agli uomini del ‘400 e ‘500 di essere finalmente usciti dalla barbarie. L’umanesimo, nato in Italia, diffuse in tutta Europa lo studio dei classici latini e poi di quelli greci (1453, caduta di Costantinopoli: molti dotti greci giungono in Europa) Concezione del mondo: religiosa nell’uomo medievale, laica nell’uomo del ‘400 –‘500. Nasce la scienza sperimentale moderna (matematica, fisica, astronomia) Coscienza della libertà spirituale ed intellettuale dell’uomo

Gli umanisti propongono l’uso del latino classico come lingua letteraria Durante ‘200 ed il ‘300 aumentò la produzione letteraria in volgare (durante il medioevo si era usato il latino anche se corrotto o scolastico) Fra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400, rinasce l’interesse per i classici (che ben pochi erano ancora in grado di comprendere agevolmente). Anche i laici si dedicano alla ricerca ed allo studio dei grandi autori latini A poco a poco emergono dalle biblioteche, testi da tempo dimenticati Dopo il 1450 la diffusione della stampa facilita la circolazione delle idee, dei testi, della cultura. La concezione di classico = bello, spinta all’eccesso, porta alla convinzione che non si possa scrivere bene senza usare il latino degli autori classici. Gli umanisti non si resero conto che il latino non poteva essere usato come lingua letteraria, poiché era ignorato dalla maggior parte della popolazione (gli umanisti stessi non lo possedevano intimamente, poiché non “pensavano” in latino Ostinandosi ad usare il latino classico, compreso solo da una minoranza, gli umanisti condannarono all’oblio le loro opere Tutta la storia della letteratura dimostra che, fin dall’antichità (es. Eneide, Odissea), le opere maggiori furono create nella lingua parlata e compresa da tutti, nella sua forma pi bella e corretta, ciò permise una vasta diffusione che ne assicurò la sopravvivenza. Dante comprese tale verità ed usò un volgare vivo, comprensibile non solo ai fiorentini, ma anche a tutti gli abitanti della penisola. Petrarca, il primo umanista, pur definendo “nugae” (bagattelle) le sue rime in volgare, affidò ad esse la propria fama, Anche Boccaccio scrisse in volgare. Per un centinaio d’anni gli umanisti tentarono di imporre la propria tesi, ma già nel 400 Angelo Poliziano, Lorenzo il Magnifico e Niccolò Machiavelli e nel ’500 autori come Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso usarono il volgare facendone con una lingua letteraria.

Rinascimento

Il periodo storico designato col nome di “Rinascimento” tradizionalmente fissato fra la metà del XV e la metà del XVI secolo, anche se non gli si possono attribuire precisi limiti cronologici. Il Rinascimento fu il logico sviluppo di quel movimento letterario della fine del XIV e della prima metà del XV, conosciuto come Umanesimo. In Europa l’Italia divenne maestra di arte e di lettere. In campo artistico Leonardo, [[Raffaello Sanzio|Raffaello], Michelangelo furono gli insuperati maestri di tale periodo. Fatto artistico e fatto letterario furono, però, manifestazioni di una ben pi vasta concezione della vita e del mondo, nella quale ideali morali e religiosi si intrecciarono ad ideali umani e letterari, conferendo al Rinascimento complessità di motivi, forza creatrice e vitalità.

Il rifiorire dell’amore per i classici e per l’antichità non causa, bensì effetto dell’ansia dell’uomo di crearsi un mondo spirituale rispondente alle esigenze del tempo meglio delle ormai superate ideologie religioso–feudali. Propositi ed azioni, da puro atto pratico e consuetudine, diventarono un programma di vita: la teoria della politica come “ragion di Stato” fu enunciata per la prima volta da Machiavelli (14691527) in pieno Rinascimento (Il Principe del 1513). L’originalità del Rinascimento si rifà ai concetti di realismo e di individualismo. Nelle opere d’arte medievali notiamo che il particolare ad essere realistico, ma non la concezione dell’insieme, poiché per l’uomo medievale i destini degli uomini furono sempre determinati dalla volontà di Dio e, conseguentemente, l’artista operava per la gloria di Dio e mirava ad infondere nella propria opera un contenuto morale, mentre, l’artista del ‘400, convinto che, nei limiti dell’umanamente possibile, sia l’uomo stesso a forgiare il proprio destino, mirava a creare, per la propria gloria personale, un’opera bella ed immortale, basandosi su precise conoscenze. Il realismo del Rinascimento nell’arte, nelle lettere, nella scienza, nella teoria politica e nella storiografia, affermò il valore autonomo, indipendente da premesse e fini trascendenti dell’opera d’arte, dell’azione politica, della scienza e della storia. Tale nuova visione del mondo affermò il senso dell’individualità, della libertà di giudizio, della creatività, del laicismo della cultura e, conseguentemente, portò al disgregarsi della concezione medievale, nella quale, almeno in teoria, nessuna attività umana poteva essere considerata avulsa dalla dimensione metafisica e dalla volontà di riforma universale. La potenza della ragione prevalse sulla fede ed alla tradizione dogmatica fu sostituita la ricerca sperimentale, dando così origine alla scienza moderna. All’uomo del Rinascimento la natura apparve come equilibrio ed armonia, la vita campestre come fonte di serenità, nell’arte non mancarono i richiami realistici, a volte un po’ crudi, ma conciliati dall’arte e dalla poesia con un’atmosfera magica che rievoca la mitica "età dell’oro", ma si avverte in quella natura priva di motivi tragici, la consapevolezza della fugacità della vita e della bellezza.

Col Petrarca era iniziato un processo di autoelevazione morale e spirituale, di continuo arricchimento interiore, al quale lo studio degli antichi doveva fornire un modello di vita e d’arte. Nel Rinascimento tale atteggiamento mentale culminò nel culto del bello e nella ricerca del nitore della forma. L’uomo del Rinascimento sentiva di poter forgiare la propria storia, forzando il corso degli eventi, sotto l’impulso delle passioni e degli interessi umani, dopo aver relegato sullo sfondo la potenza divina e trovando un limite nel concetto di “fortuna” (latinamente: sorte) che in parte era il concatenarsi fatale degli eventi, ed in parte manifestazione dell’imperscrutabile volontà divina. L’uomo, infatti, non si era creato un sistema morale avulso da presupposti religiosi e quindi dovette affrontare il dissidio tra la riscoperta della propria individualità e libertà, le imprescindibili leggi della natura e la volontà divina. Pertanto emerse quel bisogno di rinnovamento cristiano e morale che aprì la via della Riforma. Anche i riformatori, infatti, credettero in un rinnovamento imperniato su un modello lontano, per trarne impulso verso l’avvenire.

Il tramonto del Rinascimento iniziò con la decadenza politica ed economica in Italia, quando si spensero quelle forze creative che gli avevano dato vigore. Le sventurate vicende politiche della penisola si riverberarono sulla storiografia, scemò la fede nelle capacità dell’uomo, riaffiorarono il miracoloso, il senso della precarietà, le assillanti domande sul lecito e l’illecito, mentre il pensiero politico rifuggiva dalla chiarezza lineare del Machiavelli. Sullo scorcio del XVI secolo, prevaleva ormai lo stato d’animo della Controriforma ed il Tasso esprimeva il tormento dell’uomo nuovamente attanagliato dall’angoscia del peccato.

Il Cinquecento

Nel ‘500 culmina quel movimento spirituale che suol definirsi “Rinascimento” e che dall’Italia si diffuse in tutta Europa. Annunciato dall’Umanesimo, il Rinascimento creò un nuovo ideale di uomo, di gusti raffinati, di modi e gesti misurati e dignitoso, sicuro di sé, ottimista, fiducioso nelle proprie risorse ed energie, desideroso di godere serenamente ed intelligentemente ciò che di meglio offre la vita. Accanto alla sostanza delle cose assunse somma importanza la forma con la quale esse si presentano. La civiltà del Rinascimento sviluppò l’atteggiamento individualistico già presente nell’umanesimo. L’uomo, cosciente del valore individuale della persona, esaltò le proprie forze spirituali, considerò la propria volontà come capace di condizionare la storia (Machiavelli) ed all’intelligenza umana il compito di studiare le leggi della natura. I pi vasti interessi spirituali e culturali permisero un nuovo approccio ai testi classici, cercando di cogliere degli antichi autori gli ideali pi veri, non falsati da idee preconcette, ciò favorì lo sviluppo della filologia, nell’intento di restituire ai testi la forma originale. Anche nello studio della storia si acquisì un nuovo metodo critico, in contrasto con l’ingenuità degli storici medievali. L’opera del celebre umanista Lorenzo Valla (1407-1457), era divenuta il simbolo del rinnovamento del metodo critico. Il ragionamento politico applicato all’indagine storica, fu perfezionato dal Machiavelli che mira alla separazione della politica dalla morale personale.

Il Rinascimento portò ricchezza di vita spirituale e materiale, anche se furono in realtà pochi coloro che potevano goderne. I fortunati ai quali tali agi erano concessi dalla sorte avevano esigenze materiali e spirituali sempre pi complesse, le corti ed i palazzi divennero sempre pi fastosi ed accolsero poeti, letterati e artisti che si muovevano di città in città ovunque benevolmente accolti. Anche gli uomini della chiesa, tra i quali molti pontefici, parteciparono al mecenatismo incoraggiando le lettere e le arti. Centri di cultura furono Roma, Firenze, Ferrara, Mantova, Bologna, Rimini, Urbino e Napoli.

Un nuovo senso del bello, un bisogno di armonia, un’esigenza di gentilezza costituirono l’ideale aspirazione del tempo. I rapporti sociali si modificarono non solo formalmente, Monsignor Giovanni della Casa scrisse il famoso Galateo ed il Cortegiano di Baldesar Castiglioni costituisce uno dei pi interessanti documenti sulla vita nelle corti rinascimentali. La poesia del tempo annoverò molte donne. Gaspara Stampa e Vittoria Colonna furono le maggiori poetesse del ‘500. Gli uomini del Rinascimento vollero per i propri figli un’educazione raffinata, che non fosse solo erudizione, ma anche gusto raffinato, amore per il teatro, la musica, l’arte ed una cultura vasta ed intesa ad ingentilire l’animo, ad arricchire lo spirito, senza trascurare l’educazione del corpo. I trattati pedagogici cinquecenteschi propugnano la completa formazione dell’individuo, sano di spirito e di corpo ed in grado di sostenere una intensa vita attiva.

La prosa italiana del ‘500 influenzò notevolmente le letterature straniere, i letterati italiani del Rinascimento elaborarono nuove forme e motivi teatrali dei quali si avvantaggiarono il teatro francese, inglese e tedesco. Fra il Cinquecento e la seconda metà del Seicento la Francia ebbe Corneille, Racine, Molire, la Spagna Calderòn de la Barca e Lope de Vega, l’Inghilterra Shakespeare.

Paragone Guicciardini - Machiavelli

Sommo interesse presenta l'esame del carteggio fra Guicciardini e Machiavelli, fonte indispensabile di consultazione per lo studio della politica italiana del primo Cinquecento. Esso rivela che l’affinità tra quei due grandi pensatori apparente e si riduce all’essere stati contemporanei e all’essere stati l’uno e I’altro studiosi di problemi politici. Sostanziali sono infatti le differenze spirituali fra i due. Guicciardini con il suo ingegno pi concreto nella valutazione dei singoli fatti, ammira il Machiavelli, ma lo stima imprudente e fantastico. Il Machiavelli mira a cogliere, di là dai singoli fatti, i principi generali che li hanno causati, mentre il Guicciardini si ferma al fatto contingente. L'uno e l’altro riconoscono che l’uomo politico può, se necessario al bene dello Stato, compiere atti contrari alla morale. Comune ad entrambi la tendenza a giudicare dannosa non soltanto alla vita dello Stato e ad un equilibrio tra gli Stati italiani, ma anche alla Chiesa stessa, l'ingerenza del clero nella vita politica. Il Machiavelli, però, considera la religione uno strumento di governo. Il Guicciardini, a differenza del Machiavelli, disprezza il popolo. Il Machiavelli, per meglio capire il presente, cerca la lezione degli antichi, invece il Guicciardini considera inutile tale insegnamento. Per il Guicciardini la storia resta uno sfondo sul quale agiscono i personaggi e la storiografia solo “opera d’arte, perché gli uomini e le passioni non mutano nel tempo, ma gli avvenimenti non si ripetono e, quindi, impossibile da pochi casi particolari trarre principi di ordine generale. Invece, per il Machiavelli la storia insegnamento. Il Guicciardini trae, come il Machiavelli, la sua esperienza psicologica dalla pratica della politica, ma diffida delle teorie e si lascia guidare dalla “discrezione”, dalla capacità di giudicare caso per caso, poiché convinto che nella storia nulla si ripete e perciò l'uomo politico deve fare affidamento unicamente sul proprio senso pratico. Al contrario, il Machiavelli cerca di trarre un insegnamento dall’esperienza ed elabora teorie politiche.

Rinascimento e Controriforma

La grande fioritura letteraria rinascimentale si svolse soprattutto nei primi decenni del Cinquecento e si può considerare sostanzialmente conclusa all’inizio del pontificato di Paolo IV (1555). Le forme rinascimentali andarono esaurendosi negli ultimi decenni del secolo, quando una lenta trasformazione condusse alle soglie della nuova civiltà barocca del XVII secolo. Questi decenni furono dominati dalla Controriforma cattolica, che influenzò tutte le attività pratiche e anche la cultura. La Riforma protestante rese necessario un rinnovamento della chiesa, nello spirito e nella struttura.

Dopo il concilio di Trento (1545-1563), che portò a una sistemazione del contenuto dogmatico e della disciplina della sua gerarchia, la Chiesa si volse sia alla conquista missionaria dei territori extraeuropei, sia al tentativo di ridestare nell’Europa cattolica il rigore morale e religioso. L'opera di difesa e restaurazione fu essenzialmente conservatrice. La Chiesa, timorosa del pericolo incombente della Riforma, cercò di imporre una nuova severità di costumi e di frenare ogni manifestazione di libero pensiero, imponendo un'ortodossia rigorosa, ricorrendo al tribunale dell'Inquisizione e all’appoggio del potere politico. Un doppio autoritarismo, religioso e politico, gravò per molti decenni sull'Europa, segnando il temporaneo declino dello spirito di tolleranza, di libera e spregiudicata ricerca che era stata la manifestazione pi significativa della civiltà rinascimentale.

In Italia gli uomini di cultura si piegarono, generalmente, alle esigenze della Controriforma, molto spesso per convenienza. La Chiesa cercò di conciliarsi con la cultura umanistica, inquadrandola in una solida visione religiosa, come aveva cercato di fare anche nel passato. In realtà, la civiltà rinascimentale italiana aveva ormai perso la sua creatività e si stava adagiando in uno stanco ideale di decoro formale. Ogni autentico interesse ed entusiasmo erano ormai tramontati ed anche l'arte da sorgente viva della coscienza, cristallizzava in un classicismo formale, fondato su una minuta, e pedante precettistica. La letteratura era ormai legata all’accademia, cio a una ristretta minoranza intellettuale, che non era riuscita diffondere gli ideali rinascimentali. Si veniva così a sancire il trionfo della forma sul contenuto, dell'eleganza raffinata sulla realtà.

Il risveglio religioso voluto dalla Chiesa si attuò solo parzialmente e, d'altra parte, le limitazioni imposte alla libertà di pensiero impedivano che si realizzasse un intimo rinnovamento. Peraltro, la rinnovata religiosità riportava nelle coscienze il senso del peccato, del limite umano. Un senso di insicurezza e di fragilità dominava ormai la nuova visione dell'uomo, che si sentiva soggetto al flusso alterno e cieco della sorte. Tale concezione, già presente nel Guicciardini, si approfondì drammaticamente nel Tasso, per poi trapassare nella civiltà barocca del Seicento.

La letteratura e la Controriforma

La letteratura di questo periodo caratterizzata in primo luogo da un'estrema e raffinata elaborazione formale, spesso fine a se stessa e dalla la tendenza a giustificare la propria opera mediante trattati di arte poetica, nei quali, mentre l’autore cerca di dimostrare la piena regolarità dell'opera stessa, secondo i precetti arbitrariamente desunti dalla "Poetica" di Aristotele, esprime anche un senso di fastidio verso le regole ed un bisogno, solo esteriore, di originalità. Altro elemento essenziale ed anch'esso contraddittorio, il proposito moraleggiante, in ossequio alla Controriforma, unito alla preoccupazione del parlare ortodosso. Si tratta però, quasi sempre di un ossequio esteriore: prevale, in realtà, un'ispirazione sensuale sotto il conformismo di spiriti inclini all'ipocrisia e al compromesso.

In Torquato Tasso (15441595), il dissidio culturale e letterario di quest'età assunse un pi profondo e drammatico carattere interiore. Nel filosofo e poeta Giordano Bruno (1548- 1600), la crisi del pensiero rinascimentale si risolse nella ricerca di una nuova sistemazione filosofica antiaristotelica, nell’affermazione della libertà di pensiero ed in una rivolta al conformismo che gli costarono la vita.

Il ‘600

Nel tardo ‘500, nel periodo della Controriforma, si avvertivano quei cambiamenti di gusto e mentalità che furono caratteristici del ‘600. La Riforma protestante e la Controriforma, le lotte politiche e religiose riportarono sul mondo l’ombra inquietante di Dio. Il nuovo assolutismo statale pretese dagli intellettuali una motivazione ideologica e giuridica, ma favorì gli sviluppi scientifici, che fornivano i presupposti tecnologici indispensabili allo sviluppo economico. Stato e Chiesa, quasi sempre coalizzati per limitare la libertà d’opinione, sottomisero perentoriamente ogni manifestazione di pensiero. Il Tasso, con la propria irrequietezza formale ed esistenziale, anticipò il nuovo secolo, nel quale l’inquietudine spirituale fu, anche, ricerca di nuovi modi di espressione e conflitto fra aspirazione al libero pensiero e forzata ottemperanza all’ortodossia. Nell’ultimo trentennio del ‘600, si affermò una mentalità che preparava il razionalismo settecentesco. In tale ottica, il tardo Rinascimento si allaccia al ‘600, che, a sua volta, ha in sé i germi dell’Illuminismo (1581 pubblicazione della Liberata, 1582, fondazione dell’Accademia della Crusca, 1690 fondazione dell’Arcadia). Un primo periodo, che va dal 1580, circa al 1630 circa, fu caratterizzato da un’intensa sperimentazione sia letteraria (Barocco, Marino) sia scientifica (Galilei) e dal confronto fra l’oscurantismo e l’assolutismo politico–religioso e la scienza nuova, il desiderio di trasformazione e progresso. Il Discorso sul metodo (1637) di Cartesio accolse le istanze pi valide della nuova cultura scientifica. Nel ‘600, ci fu una notevole dicotomia tra le opere che segnarono un reale progresso (Galilei, Sarpi, Campanella) ed altri testi contemporanei che si limitavano alla poetica della meraviglia e dell’arguzia, trovando il loro impegno formale nell’esteriorità e nella concezione della poesia come intrattenimento. L’arte del seicento ed in parte quella del settecento detta “barocca” ed dotata di caratteri unitari e contraddistinta dall’anticlassicismo e da uno stile fastoso, esuberante, spesso enfatico, a volte superficiale. Il Barocco fu un atteggiamento dello spirito, antitetico a quello classico e derivato dalla profonda crisi religiosa e filosofica conseguente alla Controriforma. Accanto ad atteggiamenti anticlassicistici, vi furono anche adesioni e ritorni al gusto classico con tentativi di imitazione e restaurazione della poesia classica, anche il melodramma, inizialmente, fu legato ad un tentativo di ridare vita alla struttura musicale della tragedia greca, si formarono nuove correnti di pensiero, nuove concezioni politiche e giuridiche, nuovi metodi scientifici. La monarchia assoluta, pur difendendo gli interessi economici dell’emergente borghesia, avversava ogni libera iniziativa individuale. L’assolutismo statale, il rigido accentramento del potere economico, politico, religioso, influenzò mentalità e cultura, diffondendo un generalizzato senso di insicurezza. Mentre la Spagna era ormai in declino, si affermavano come potenze marittime l’Olanda e l’Inghilterra, che spostarono definitivamente l’asse economico e politico dal Mediterraneo all’Atlantico. La colonizzazione extraeuropea portò l’Europa a contatto di nuovi popoli e la confermò nella convinzione di appartenere ad una civiltà tecnologicamente pi progredita. L’Italia, quasi del tutto asservita alla Spagna, “braccio secolare” della Curia romana e, quindi, dell’inquisizione, rimase lontana dal progresso che caratterizzò il resto d’Europa, mentre l’assolutismo e la rinnovata potenza della nobiltà, indussero ad un atteggiamento di chiusura verso le classi sociali inferiori e l’esclusione dai grandi mercati europei fece prevalere lo sfruttamento agricolo. L’individualismo che connotò la vita sociale determinò alcuni aspetti del costume, come il “ben comparire”, l’eleganza fastosa, il senso dell’onore che, esasperando la tematica cavalleresca, moltiplicò i duelli. La discordanza tra elevato tenore di vita, difficoltà economiche e reale peso politico della nobiltà, l’intransigenza del potere politico e di quello religioso, l’insicurezza sociale e indigenza generalizzate crearono un forte senso di insicurezza ed una coscienza quasi ossessiva della morte. Prevalsero in Italia acquiescenza e conformismo, scomuniche e roghi (Bruno). Nella situazione di asservimento ideologico e politico, gli intellettuali italiani dovettero scegliere tra ottenere la protezione di un principe capace di imporsi alla Spagna o al Sant’Uffizio oppure fuggire all’estero, od affrontare le conseguenze delle proprie affermazioni (Bruno, Campanella, Galileo). I letterati di corte dovettero assoggettarsi alla ragion di Stato ed al potere politico e dar prova di quel virtuosismo così apprezzato dai loro committenti, mentre i gesuiti avocavano a sé l’istruzione delle classi dirigenti. La condanna di Galileo sancì, in Italia, il conformismo ideologico. Tra gli storici le tematiche pi diffuse furono la meditazione sulla “ragion di stato” e sul “tacitismo”, ambedue le teorie si fondavano sul post-machiavellismo, ossia sul riconoscimento della politica come autonoma dalla morale, legata alla realtà contingente ed oggetto di scienza, anche se storici e moralisti non rinunciarono a tentare una conciliazione fra politica ed etica. L’ostracismo al Machiavelli, decretato ipocritamente dalla propaganda assolutistica e religiosa portò allo sviluppo del tacitismo, ossia al tentativo di recuperare il machiavellismo mediante la descrizione che Tacito aveva fatto dell’assolutismo di Tiberio. La storiografia del ‘600 fu dominata, come quella rinascimentale, dalla concezione della politica come scienza e tecnica, ma accantonò il carattere letterario ed umanistico, ossia lo stile elevato della narrazione e lo scopo celebrativo, per privilegiare l’aspetto didascalico. Il carattere pi originale della storiografia del ‘600 fu l’interesse per tutte le nazioni europee e la conseguente complessità della meditazione sulle vicende italiane. L’arte del ‘600 fu caratterizzata da un esasperato gusto per la novità, per l’eccessiva ricerca decorativa, per l’enfasi, la vacuità ridondante, l’artificiosità pretenziosa, il tentativo di stupire, pi che di convincere, la mancanza di equilibrio, la superficialità di contenuto. Il Barocco pittorico italiano si sviluppò dal Manierismo (imitazione artificiosa dei maestri del Rinascimento) del tardo ‘500. Il Barocco, comunque, rappresentò una parte della produzione secentesca, accanto alla nascente mentalità scientifica ed al perdurante classicismo. Il termine “barocco” deriva, forse, dal nome portoghese di una perla marezzata o irregolare (barrueco o barrucco) ed indica qualcosa di inatteso ed irregolare. Il Barocco fu anche una rivoluzione letteraria, infatti l’esigenza di realizzare qualche cosa di insolito, di originale, che fosse affermazione della fantasia e che esaltasse il meraviglioso, fu anche esigenza di libertà mentale. I critici del ‘600 esaltarono l’autonomia dell’arte e chiarirono i concetti di imitazione ideale e di verosimiglianza poetica, ben lontana dall’aderenza alla realtà storica. Il pensiero scientifico moderno si formò nel ‘600, le scienze matematiche e fisiche progredirono rapidamente, grazie al nuovo metodo sperimentale, sorsero numerose Accademie ed anche la letteratura dialettale assunse una dignità letteraria. L’intellettualismo poetico, le metafore imprevedibili furono anche un tentativo di aderire alla mutata immagine del mondo, facendo proprie, sulla scia delle scoperte scientifiche, le rivelazioni della scienza, ma privandole del loro rivoluzionario contenuto culturale. Il sistema eliocentrico copernicano fondò l’idea di un universo aperto ed infinito (al contrario di quello geocentrico o tolemaico–aristotelico), la cui conoscenza era affidata alla scienza, mediante il metodo induttivo e sperimentale, che procede di ipotesi in ipotesi al contrario di quello deduttivo, basato su certezze precostituite. All’Italia barocca mancò un grande capolavoro letterario, mentre per le letterature francese e spagnola il ‘600 fu il secolo d’oro (non solo Pascal e Cartesio, ma Racine, Cervantes, Gòngora, Caldron de la Barca).

Poetica barocca

Nel 600, i modelli del classicismo rinascimentale e la mescolanza di insegnamento morale e “diletto”, furono soppiantati dal soggettivismo e dalla libera invenzione. All’imitazione rinascimentale della natura si sostituì la ricerca del diverso, del bizzarro, del nuovo, del meraviglioso. La poesia del Marino (1569 – 1625), caratterizzò i primi trent’anni del secolo. Marino può essere considerato il caposcuola del Barocco italiano, egli accolse la scienza galileiana, reinterpretando la meraviglia delle scoperte astronomiche. L’ideale l’acutezza descrittiva affidata ai sensi ed espressa dall’ingegno. La ricerca e la sperimentazione, che ispirò la scienza del tempo, connotò anche l’arte del Marino e dei Marinisti. La bizzarria e l’anticonformismo, purché non toccasse i presupposti dell’etica e della politica, divennero fonte di successo d indice di genialità. La poesia Marinistica si affidò alla percezione dei sensi, fino ad essere dispersiva. Verso la metà del 600, la poesia barocca fu teorizzata e codificata (Tesauro, Pallavicino, Peregrini). Furono definiti le metafore ed i concetti (argutezze, acutezze). La metafora unisce, con un sottinteso paragone, oggetti apparentemente lontani, ricorrendo ad analogie impensate (l’uomo un viandante sulla terra e ottiene biada d’eternità e stalla di stelle). Il concetto ha origine da un procedimento analogo, che però fa prevalere l’intelligenza sulla fantasia. I due procedimenti a volte coincidono, infatti, entrambi codificano in poche parole una realtà che il lettore deve decodificare, fornendo diletto su basi intellettuali, concettuali, logiche. L’intelligenza esamina le cose e scopre che parole e forme sono “maschere” dell’essere e che lo scorrere ineluttabile del tempo porta con s l’idea della morte.

Nell’ultimo trentennio del secolo e nei primi anni del secolo seguente, si svolse la controversia degli antichi e dei moderni (querelle des anciens et des modernes). La disputa, iniziata tra i letterati francesi si estese da questi agli italiani, che polemizzarono con i francesi, riprendendo le tendenze anticlassicistiche e la valutazione positiva della modernità già presenti all’inizio del secolo.

Tassoni, giudicò alcuni classici italiani e, in particolare, Ariosto e Tasso, superiori ad Omero e riconobbe l’importanza delle scoperte di Galileo, pur riconoscendo che gli antichi sono superiori ai moderni nella filosofia naturale (scienza), poiché hanno dato ai moderni le basi del pensiero scientifico. La disputa focalizzò la differenza fra antichi e moderni, come differenza di civiltà, lontana dal mito umanistico di una rinascita del mondo classico. la coscienza di tale differenza portò dal tentativo di imitazione al desiderio di emulazione e la ricerca del concetto “acuto”, della metafora “arguta” indice di una volontà di superamento di modelli classici. Classicismo ed anticlassicismo si scontrarono per tutto il secolo, finché, a fine secolo, la fondazione dell’Arcadia segnò il trionfo del razionalismo cartesiano, e della sua alleanza con il classicismo, in nome della razionalità, dell’equilibrio e della misura.

Gli Antimarinisti

Alla poesia del Marino e dei Marinisti si oppose la corrente antibarocca degli Antimarinisti che facevano riferimento al Chiabrera ed al Testi e che volevano continuare la tradizione classicistica del ‘500. Tali poeti cercarono di riprodurre le odi classiche (Orazio, Pindaro) o di imitare i poeti neoclassicisti della Pléiade francese o il greco Anacreonte che cantò vino e amore. Gli Antimarinisti, però, furono inconsciamente influenzati dal gusto del secolo e realizzarono un Barocco pi lieve, che invece di ricorrere a ridondanti e rutilanti metafore, si affidava all’armonia del cantabile, ad una semplicità artificiosa, ad un’enfatica ampollosità. Lo stile classicheggiante ed abbastanza sobrio preannuncia l’Arcadia, ossia il pi deciso movimento antimarinistico della fine del secolo.

Il poema eroicomico

Al gusto classicistico si ricollega la poesia satirica del ‘600, che si ispira ad Orazio e Giovenale e flagella i costumi e la vacua ampollosità di molta letteratura contemporanea. Nel ‘600, il poema eroico fu ripreso, con modesti risultati, pi vitale fu invece il poema eroicomico nato come bizzarra parodia letteraria del poema eroico e come burlesca rappresentazione della vita provinciale del tempo. Il migliore dei poeti che si dedicarono a tale genere fu il Tassoni.

Prosa barocca

La prosa , nel ‘600, seguì, in genere, i canoni della poesia, con la ricerca della meraviglia, dell’estrema raffinatezza formale, della metafora acuta e stupefacente. L’oratoria sacra fu particolarmente tesa all’effetto, alla sonorità all’esteriorità, anche se non mancano esempi di prosa pi elegante e misurata. Nel corso del secolo cresce il numero dei letterati appartenenti al clero, soprattutto gesuiti, che organizzarono l’insegnamento per le classi dirigenti.

Il teatro nel ‘600

Il gusto per la forma teatrale insito in tutto il secolo, nella scenografia dell’architettura barocca e nello stesso stile di vita fastoso e coreografico nel “comparire”, nell’atteggiarsi, nel vestire, nella teatralità dell’etichetta, dei duelli e delle cerimonie religiose. Nel ‘500, in Italia, l’imitazione degli antichi aveva condotto alla riscoperta del teatro con un’abbondante produzione di commedie e tragedie che hanno per modello i classici. Il teatro europeo riprese i generi rinnovati, ossia la commedia e la tragedia di impronta classica e li coniugò con le forme teatrali tradizionali, vicine al gusto popolare, con tematiche religiose o farsesche. In Italia, però, mancarono, nel 600, autori e capolavori. La tragedia italiana del ‘600 deriva strutturalmente da quella del tardo ‘500, con scene cupe e violente ed spesso imperniata sul dissidio fra ragion di stato e coscienza individuale in cui, generalmente, il motivo politico prevale e gli affetti sono sacrificati. Il dramma, pur con riferimenti all’attualità, ha spesso forme classicheggianti, anche se non mancano tragedie ispirate all’attualità. La tragedia esprime l’instabilità, l’insicurezza, la crisi della società barocca. La commedia conobbe un minor sviluppo, a causa della mancanza di libertà d’espressione, indispensabile alla satira ed anche alla semplice comicità, si diffusero abbastanza i drammi sacri. Il dramma pastorale ed il melodramma ripresero la tradizione cinquecentesca. Il dramma pastorale ricalcò l’Aminta del Tasso, il melodramma acquisì una vasta popolarità che mantenne per oltre due secoli. Esso aveva avuto origine nella seconda metà del ‘500 dall’idea di “recitar cantando”, ossia di realizzare musica e canto che non soverchiassero il testo scritto con l’Arianna di Monteverdi (1567 –1643) si affermò invece il predominio della musica sul testo, secondo i canoni dell’opera moderna.

La commedia dell’arte

La commedia dell’arte si sviluppò verso la metà del ‘500 e maturò nel ‘600, anche se, fin dall’antichità erano esistite forme di recitazione “a soggetto”, come l’atellana. Il nome deriva dal fatto che le rappresentazioni erano realizzate da compagnie di attori professionisti (arte = professionalità e specializzazione nei ruoli). Le compagnie comprendevano dicitori, mimi, giocolieri, attori specializzati in vari ruoli ed un poeta di teatro che scriveva i canovacci ed adattava i testi, inoltre, cosa inusitata nel teatro regolare, portava sulla scena le attrici. La commedia dell’arte era basata sul rapporto diretto tra pubblico ed attore e trascurava la letterarietà del testo, ridotto ad un mero schema dell’azione. Gli attori recitavano “a soggetto”, ossia improvvisavano, seguendo un “canovaccio”, ossia lo schema della trama ed attingendo dai repertori per le battute e gli atteggiamenti delle maschere e dei tipi fissi. Una caratteristica della commedia dell’arte proprio la presenza di tipi fissi e di maschere, facilmente individuabili da parte del pubblico. La commedia dell’arte riscosse un notevole successo anche all’estero, dove gli attori recitavano in italiano.

Il ‘700

Prima metà del ‘700

Dopo il 1670, si rafforzò in Italia l’avversione all’assolutismo politico e religioso ed al fanatismo ideologico. Tali idee, agli inizi del ‘700, furono veicolo di un’evoluzione sociale e politica generalizzata. Lo scienziato inglese Newton (1642-1727), scopritore delle leggi della gravitazione universale, diffuse una metodologia scientifica, basata sull’elaborazione matematica dei dati sperimentali, che fu estesa dalle scienze ad ogni altra forma di cultura. In Francia, si sviluppò una forte borghesia commerciale ed imprenditoriale, mentre la svolta assolutistica impressa da Luigi XIV e la chiusura a qualsiasi innovazione, produssero i presupposti per la Rivoluzione Francese. In Inghilterra, il tentativo assolutistico di Carlo I condusse alla repubblica di Cromwell ed alla seguente monarchia costituzionale (1688-1689), riaffermando il concetto di sovranità popolare, mentre lo sviluppo tecnologico pose le basi per la successiva rivoluzione industriale. In Italia, nonostante il frazionamento politico, nel nord gli austriaci attuarono un governo rigido, ma assai pi efficiente di quello spagnolo, che approdò alle riforme di Maria Teresa e di Giuseppe II, nel frattempo cresceva l’importanza dei Savoia ed il regno di Napoli conosceva una discreta prosperità.

In tale contesto gli intellettuali si riallacciarono alla cultura europea, pur prendendo le distanze dal pi esasperato razionalismo francese, ma abbandonando il marinismo e gli eccessi del Barocco, per volgersi al classicismo e ad un vasto eclettismo culturale (si ebbero poeti – scienziati come l’Algarotti, divulgatore del pensiero di Newton). Nel 1690, fu fondata l’Arcadia, con lo scopo di restaurare il buon gusto contro gli eccessi del Barocco. Tuttavia, nella prima metà del secolo il rinnovamento coinvolse solo pochi intellettuali, senza trasformare a fondo la produzione letteraria. La volontà di rinnovamento coincise con la svalutazione del Barocco, la poesia del Marino fu giudicata ridonante e povera di contenuti, fu rivalutato il classicismo e ritrovata la funzione didascalica della poesia, pur nell’ambito di un moralismo di stampo controriformista, nondimeno connesso al concetto di pubblica utilità. Alla restaurazione classicistica si affiancò la rivendicazione del “primato italiano nelle lettere, nelle scienze e nelle arti”, incentrato sulla tradizione classica e rinascimentale, un mito, ma che mantenne vivo il concetto di un’unità intellettuale italiana. Il nuovo elemento culturale fu il razionalismo che coinvolse ogni manifestazione del pensiero. Il rinnovamento culturale, agli esordi del ‘700, fu ispirato alla moderazione, alla compostezza, all’equilibrio razionale e sentimentale, al buon senso, al buon gusto ed al nitore formale (programma etico–estetico). La presenza fra gli intellettuali di numerosi religiosi tesi a contenere le istanze laiche, portò a compromessi miranti ad evitare esiti clamorosi. Nel complesso la letteratura italiana fu scarsamente reattiva e ancora racchiusa in un ambito aristocratico.

La Querelle des anciens et des modernes coinvolse a fondo l’Italia a causa dell’accentuato classicismo della sua cultura. I Francesi subordinavano totalmente la poesia alla ragione e consideravano la cultura italiana, dal Tasso al Marino, priva di buon gusto, pronunciandosi contro il barocco italiano. I teorici italiani accettarono l’esigenza di sottoporre la creazione poetica a norme razionali ed universali ma, pur rifiutando le intemperanze del Barocco, rivendicarono i diritti della fantasia e della poesia come forma di conoscenza, dichiarando che la poesia non può essere solo razionalità o presunta riproduzione del vero con fini etico–didascalici, poiché essa ha imprescindibili valenze psicologiche.

Seconda metà del ‘700

L’illuminismo

Verso la metà del ‘700 si diffuse l’illuminismo, movimento filosofico e culturale che nacque in Inghilterra e si diffuse in tutta Europa, coinvolgendo ampi strati della popolazione, raggiungendo il massimo sviluppo in Francia ed ispirando gli ideali della rivoluzione americana. Posizioni tipiche dell’illuminismo furono l’antitradizionalismo, la convinzione che il passato, soprattutto medievale, fosse pervaso dall'ingiustizia, dal sopruso, dalla superstizione e dall'ignoranza, l'avversione alla metafisica, l’adozione del metodo sperimentale, il rifiuto dei principi a priori, la convinzione che solo fenomeni e i sensi siano fonte di conoscenza, la fiducia nel progresso, l’uguaglianza naturale degli uomini, la parità di diritti e doveri dei cittadini, il merito come mezzo di promozione sociale, il pacifismo, la religione intesa come causa della superstizione e del fanatismo. La fede nella ragione come mezzo per vincere l’ignoranza e attuare il progresso sociale,spinse l’illuminismo ad accantonare la metafisica e la teologia (ciò che di là dell’esperienza sensibile precluso alla conoscenza), pertanto gli illuministi si limitarono a cercare le leggi del mondo fisico e di quello morale, diffondendo un nuovo umanitarismo e ripudiando i fanatismi e l’assolutismo politico ed ideologico, anche se poi si allearono al potere per attuare una politica di riforme ed il filosofo cercò di ispirare l’opera dei sovrani (dispotismo illuminato). L’illuminismo fu un movimento borghese, proprio perché rispondeva alle esigenze della borghesia. L’auspicata partecipazione responsabile dei cittadini alla vita politica, implicava una larga diffusione della nuova cultura, pertanto una caratteristica dell’illuminismo fu lo spirito didascalico. Gli illuministi mirarono ad estendere il metodo matematico e scientifico a tutti i campi dello scibile, con un atteggiamento assolutamente laico che poneva la ragione, la filosofia ed i sensi come unici criteri di verità, rifiutando ogni rivelazione trascendente, ogni concetto “a priori”, ogni principio di autorità (Aristotele, Bibbia), ponendosi apertamente contro l’ortodossia religiosa, fino a conclusioni apertamente materialiste ed atee. Alcuni illuministi ipotizzarono una religione naturale, il Deismo, priva di dogmi e che identificava Dio con l’ordine supremo della natura. Parimenti gli illuministi ipotizzarono un diritto naturale ed una morale naturale, ossia conformi alla natura dell’uomo e capaci di stabilire le basi della convivenza umana. Tali presupposti conferirono all’illuminismo un carattere riformistico e rivoluzionario: le istituzioni e le leggi tradizionali garantivano gli ingiusti privilegi di pochi (sovrani, nobili clero), da ciò avevano avuto origine gli errori,le violenze,le tirannidi, le ingiustizie della storia.compito della ragione era diffondere le nuove idee per fare di ogni uomo un cittadino del mondo. La costituzione inglese divenne un modello, la vasta discussione delle idee ed il conseguente dibattito diedero impulso alla nascita ed alla diffusione dei giornali, mentre l’ideale illuministico fu diffuso dai romanzi [Robinson Crusoe (serenità primitiva) di Defoe, i viaggi di Gulliver (satira di pregiudizi) di Swift] assai letti dalla borghesia, che apprezzava l’attualità degli argomenti (tale funzione del romanzo continuò nell’800). Il giurista e filosofo della politica Charles de Montesquieu, uno dei primi esponenti del movimento, esordì pubblicando scritti satirici contro le istituzioni contemporaneamente ad uno studio sulle istituzioni politiche, Lo spirito delle leggi (1748). A Parigi Denis Diderot, autore di numerosi trattati filosofici, incominciò la pubblicazione dell'Encyclopédie nel 1750, avvalendosi della collaborazione del matematico D'Alembert, di Voltaire, di Rousseau, di Montesquieu. Tale opera fu, non solo un compendio di conoscenze, ma anche un mezzo di diffusione dell’illuminismo e di critica degli oppositori. Il pi rappresentativo tra gli scrittori illuministi francesi fu Voltaire, che iniziò la sua carriera come drammaturgo e poeta e fu autore di pamphlets (opuscoli satirici e polemici), saggi, satire e racconti brevi nei quali divulgò la scienza e la filosofia della sua epoca. Il filosofo intrattenne inoltre una voluminosa corrispondenza con scrittori e sovrani europei Gli anni fra il 1750 ed il 1780, videro l’alleanza fra filosofi e potere politico che portò alle riforme del dispotismo illuminato, La rivoluzione francese fece propri molti concetti dell’illuminismo, ma i suoi momenti pi sanguinari gettarono il discredito sul movimento e dopo il 1789, l’illuminismo entrò in crisi, anche se l’avventura napoleonica diffuse in Europa le idee di libertà e di democrazia.

Neoclassicismo e preromanticismo

Il secondo Settecento vide anche svilupparsi il neoclassicismo e il preromanticismo, due esperienze culturali ancora vive nei primi decenni dell'Ottocento. Il neoclassicismo, col supporto di una teoria moderna (Storia dell'arte nell'antichità, 1764, di Winckelmann), propose i concetti della tradizione classicistica, valorizzando in particolare, specie in area tedesca, la tradizione greca come originale rispetto a quella latina. Il preromanticismo, invece, rivalutò risorse conoscitive diverse dalla ragione, esaltando il sentimento, la natura intesa non come equilibrio e ragionevolezza, bensì come energia spirituale, il gusto per i paesaggi malinconici, lugubri che costituivano lo sfondo allusivo di patetiche riflessioni sull’esistenza e sul destino. Tali motivi avevano trovato espressione nell'opera di Jean-Jacques Rousseau, nei canti ossianici, e, in Germania, nello Sturm und Drang.

Alla penetrazione in Italia delle opere di tali autori, contribuì il padovano Melchiorre Cesarotti, che tradusse le Poesie di Ossian (1763 e poi 1772 e 1801), che ebbero grande influenza anche su Foscolo e Leopardi e che contribuirono a diffondere il gusto preromantico in Italia, in particolare nell'area settentrionale in età napoleonica.

Il Romanticismo europeo

(Punto di vista puramente letterario) Il Neoclassicismo, nato a Roma intorno al 1750, ispirato dagli scavi di Ercolano e dal rinnovato interesse per l'arte classica, fu gusto dell'antico pi che esperienza di vita, fu la moda raffinata e fredda che si cristallizzò nello “Stile Impero". A Roma due tedeschi, Mengs e Wincklemann, ne fissarono i canoni sottomettendo l'arte ad un ideale eclettico (= che sceglie ed accorda principi dì diversa origine. Nella fattispecie Raffaello, Michelangelo e i greci). L'Illuminismo si adeguò a tale poetica accogliendo un Neoclassicismo arcadico privo di legami con l'alta classicità (Omero, tragici, classici pi antichi) e riferentesi al periodo ellenistico - alessandrino (dopo Alessandro Magno arte derivata da quella ellenica classica). Lo sterile Neoclassicismo arcadico e archeologico fu travolto dallo scientismo illuminista (dottrina che rifiuta ogni conoscenza non scientifica) e dal giacobinismo [dottrina dei repubblicani e di certi demagoghi (coloro che con istanze falsamente popolari adescano le masse con promesse gradite, ma irrealizzabili)] e la letteratura accolse la celebrazione dell’ardimento umano e della moderna filosofia. Il Neoclassicismo divenne fatto di costume, moda generalizzata e non fu pi patrimonio esclusivo della cultura aristocratica, mentre si tentava dì adattare alle forme dì una classicità extratemporale i fatti e le passioni del tempo presente (Chénier).

Il periodo che va dall'ultimo squarcio del '700 alla fine dell’800, vide la realizzazione di molte unità nazionali e l'insorgere del liberalismo politico ed economico. In letteratura il Romanticismo portò alla nascita della letteratura moderna. Alla base di tali cambiamenti ci fu la Rivoluzione Francese la quale vide l’affermarsi della borghesia. [La Costituzione del 1793 concesse il suffragio universale e consentì il diritto dì lavoro, all'istruzione ed all'assistenza; dopo il Terrore, nel 1794, si ebbe una reazione borghese che portò all'impero liberal - borghese dì Napoleone. Bonaparte riuscì a realizzare uno Stato rispondente agli interessi della borghesia ormai al potere, supportato da un’efficientissima struttura statale, i cui quadri dirigenti si formavano nelle grandi scuole superiori. Con il Codice Napoleonico l’imperatore riaffermò i principi rivoluzionari di libertà personale e civile, di laicità dello Stato, di diritto al lavoro ed alla proprietà. Nel frattempo le conquiste francesi diffondevano tali principi in Europa. Con il Congresso di Vienna si tentò un ritorno al passato, che in realtà si risolse in un compromesso tra vecchio e nuovo. La Restaurazione, rendendo pi stretti i rapporti tra Stato e Chiesa, diede nuova attualità ai valori religiosi, allo scopo di tutelare i troni da nuovi tentativi rivoluzionari. In questo panorama si inseriscono il malcontento della borghesia mercantile, penalizzata dal ripristino delle barriere doganali, e le istanze sociali sollevate dalla Rivoluzione Industriale. D'altra parte il bisogno di certezza, creato dagli eccessivamente rapidi cambiamenti, fece sì che molti cercassero rifugio e certezza nella religione, rinnegando il razionalismo laico. Fu tale bisogno il movente del “genio del Cristianesimo” di Chateaubriand. Per gli stessi motivi fu rivalutato il Medioevo che, con il suo universalismo religioso, ben si accordava al binomio Trono - Altare, propugnato dalla Restaurazione, che vedeva in tale connubio una garanzia all'ordine, in opposizione all'ideale illuministico di libertà civile. In Italia la Restaurazione assunse spesso una connotazione fortemente repressiva e retriva, pertanto gli ideali rivoluzionari francesi, diffusi dall'espansione napoleonica e le motivazioni della cultura romantica assunsero in Italia l’aspetto della reazione alla politica repressiva e sfociarono nel Risorgimento. Dopo i moti del 1821 e le rivolte operaie del 1830 iniziò, col Mazzini propugnatore dell'unità territoriale e dall'assetto repubblicano, quel processo che, attraverso le posizioni moderate del Gioberti (confederazione sotto il Papa) e del D'Azeglio (confederazione sotto Carlo Alberto) portò, attraverso l'esperienza del 1848 e grazie all'opera del Cavour, all'unificazione italiana nel 1861. L'ambito liberale moderato in cui si svolse il processo risorgimentale, che spesso non coinvolse né il proletariato, ne' le masse contadine, favorì nel meridione il fenomeno del brigantaggio, che il nuovo Stato tentò di reprimere ricorrendo all'esercito ed a una forte struttura burocratica ed amministrativa. L'opposizione a tale realtà portò alla nascita, verso fine secolo, del partito operaio italiano.] Non solo la Rivoluzione francese, ma anche la Rivoluzione Industriale, contribuì a cambiare il panorama politico e sociale dell'Europa, sconvolgendo i metodi tradizionali dì produzione, il mercato della manodopera e creando la necessità di ampliare i mercati e gli scambi. La necessità di libertà di scambio favorì la libera concorrenza e, contemporaneamente, la Rivoluzione Industriale, modificando le condizioni di lavoro, gli orari, le prestazioni e creando nuovi problemi sia sanitari, sia salariali ed abitativi e fece sì che si instaurasse nel proletariato la coscienza di classe, che portò alla teorizzazione del socialismo utopistico di Fourier e Saìnt-Simon e di quello scientifico di Marx ed Engels, ponendo la politica liberale di fronte alle nuove teorie socialiste.

Il processo di industrializzazione creò una nuova realtà ambientale che spinse molti a rimpiangere il passato. Con tali premesse e con l'idea di Nazione che permeò tutto l'800, si sviluppò il Romanticismo. Vari romanticismi si realizzarono nei differenti Paesi europei ed ispirarono non solo la letteratura, ma anche l’arte figurativa e musicale, ma tutti ebbero come motivi fondamentali il rifiuto della mitologia classica e della codificazione dell’arte e l ricercarono la spontaneità delle componenti sentimentali ed una poesia moderna, capace di rispondere alle esigenze ed ai problemi contemporanei. La nuova arte fu teorizzata in Germania ed in Inghilterra dal 1798 al 1804 e si sviluppò dapprima dove meno era radicata la tradizione classica, mentre fu pi moderata in quei Paesi nei quali l'evoluzione della letteratura nazionale era strettamente legata al classicismo (Italia e Francia). In Italia la polemica anticlassica fu moderata, rifiutando la mitologia e ritrovando le motivazioni religiose, storiche e sociali, ma senza rifiutare l'equilibrio formale e l’eleganza lessicale dei classici. D'altra parte, nello stesso periodo, il Neoclassicismo fu permeato dalla sensibilità romantica. L'ideale di arte nazionale e contemporanea fece sì che il Romanticismo fosse voce del Risorgimento, dando origine ad una produzione letteraria legata agli interessi politici e che prese la forma del romanzo storico a tesi risorgimentale. Nievo in questo ambito orientò la propria opera verso il romanzo psicologico. Il primo vero romanzo della letteratura italiana fu “le ultime lettere di Jacopo Ortis" del Foscolo. In tale romanzo il poeta delineò la figura dell'eroe romantico, lacerato dai conflitti interiori e destinato alla sconfitta. La voce pi importante del Romanticismo italiano fu quella del Manzoni, il cui interesse storico diviene interesse cristiano per l'uomo e per i suoi conflitti interiori. Il Manzoni portò Nel Romanticismo la lucidità del razionalismo illuministico e le caratteristiche di equilibrio e di cultura classicamente italiane, proprie del Nostro Romanticismo. Accanto al Foscolo ed al Manzoni emerge la figura di Leopardi, razionalmente pessimista per ciò che concerne la condizione dell'uomo e dell'universo. Tale irrequietezza spirituale fa sì che il leopardi sia spiritualmente e, quasi a suo dispetto, un romantico. Attraverso le esperienze dialettali del Porta e del Belli e la deteriore produzione sentimentale del Prati e dell'Aleardi, nella seconda metà dell'800, Milano coagulò il gruppo di intellettuali della Scapigliatura che, portando agli eccessi le istanze del Romanticismo cercarono di realizzare un’arte provocatoriamente trasgressiva, ispirata alla Bohme ed ai poeti maledetti. Contatti con gli Scapigliati ebbero molti veristi, tra i quali Verga, infatti il Verismo fu continuità ed approfondimento del Romanticismo avendo come precursore il Manzoni. Anche dal punto di vista filosofico e scientifico il Romanticismo fu motivato dall'interesse per la natura e la storia e diede origine a due correnti: Idealismo e Positivismo. Nel '700 la storia fu esaminata da un punto di vista materiale ed illuministico, mentre l'800 romantico ne mise in risalto le motivazioni individuali, interessandosi alla cultura popolare, alle tradizioni ed alla religione. In tale contesto si svilupparono l’archeologia e la filologia. Analogamente la natura fu considerata un organismo dinamico, il cui vertice l'uomo. In tale contesto ogni fenomeno naturale ed ogni evento storico sono manifestazioni divine. La comprensione di tale carattere della realtà oggetto dell'Idealismo (Hegel). Il Positivismo, invece, cercò nel progresso scientifico la comprensione delle vicende umane e storico - sociali (Compte). La sociologia di Compte mira a scoprire non il perché delle cose, ma come esse sono. L'ideale di Compte un'umanità pacificata che sostituisce l'antica nazione di Dio. Dal pensiero di Compte derivarono il Positivismo evoluzionistico di Spencer e quello biologico e scientifico di Darwin (origine della specie 1859). Il darwinismo introducendo il concetto dell'evoluzione della specie e della lotta per la sopravvivenza entrava in contraddizione con la Bibbia, scalzando le tradizionali credenze religiose. Contemporaneamente in Italia gli indirizzi filosofici restarono legati alla tradizione cristiana (Gioberti) caratterizzando il periodo della Restaurazione. Tale indirizzo fu soppiantato dal Positivismo scientifico e dalla filosofia di Hegel, la quale, dopo la scomparsa del maestro diede origine a due correnti: una moderata ortodossa che accordava la filosofia con la teologia cristiana, l'altra che subordinava la religione alla filosofia, da tale corrente derivò la teoria di Marx ed Hegel.

Differenze tra Manzoni e Leopardi

L’adolescenza di Manzoni si svolse nel clima libero, spregiudicato, colto e dinamico della Lombardia, moderna e progredita, che le riforme di Maria Teresa, Giuseppe ll e Leopoldo ll avevano proiettato nell’atmosfera culturale mitteleuropea. Il giovane Manzoni si formò, dopo i primi anni presso i padri Somaschi e i Barnabiti, in un ambiente culturalmente attivo, sotto l’intelligente guida del nonno materno l’illuminista Cesare Beccarla, ed in una situazione familiare tutt’altro che oppressiva, che gli consentì indipendenza di idee e di scelte. Leopardi, al contrario, crebbe in un’atmosfera retriva, bigotta e soffocante, in un ambiente provinciale e sonnolento, con scarse aperture verso la moderna cultura ed in una famiglia dove vigevano norme severe, rigidità morale, un fortissimo conservatorismo ed aridità di affetti. Il giovane Leopardi, provato e frustrato da gravi problemi fisici, soffocato dall’angusto ambiente famigliare e recanatese ed anelante all’agognata libertà morale ed intellettuale, reagì con un’aperta ribellione

Per Leopardi, la poesia lirica (= ogni forma in versi nella quale si esprimono i sentimenti e gli affetti, per Leopardi, anche la Divina commedia lirica perché Dante vi compare sempre con i propri sentimenti.). La poesia di Leopardi nasce dal sentimento ed anche i canti che hanno implicazioni filosofiche sono espressione dei sentimenti e voce del dolore esistenziale del poeta. I canti coprono tutto l’arco della vita del poeta, che morì a soli trentanove anni, mentre il suo pensiero era ancora in pieno svolgimento e la sua poesia era ancora feconda e pronta ad aprirsi a nuove soluzioni. Leopardi guarda al passato in un’atemporalità che esclude il futuro, in uno spazio – tempo legato all’esperienza (hic et nunc). Leopardi scrive nel presente, precisando sempre dove si trova, dando al tempo non una dimensione psicologica bensì autobiografica, al confine tra poesia e prosa anticipando la poesia moderna per genere e temi. La formazione classica ed illuministica consente al poeta di considerare criticamente il passato e di costruire su una tradizione ormai usurata una poesia innovativa, precocemente analogica e che, grazie alla memoria, il cui strumento l’immaginazione (la vita anteriore perduta per sempre, l’immaginazione la ricostruisce e reinterpreta), indaga sul vago, l’indefinito alla ricerca dell’anteriorità e dell’altrove che appartengono all’immaginario moderno. Leopardi ha con il passato un rapporto di “lontananza psicologica”, che trascende dalla fisicità ( può essere fisicamente a Recanati, ma ne psicologicamente lontanissimo ed emergono sprazzi di ricordo reinterpretati alla luce della successiva esperienza esistenziale. Il suo occasionale ritorno non un traguardo, bensì incredulità di essere tornato)

L’arte di Leopardi, massima nei canti, un po’ appannata nelle “operette morali” dalla speculazione filosofica. Caratteristico del poeta lo scarno linguaggio che, con rapidissime immagini e sapienza ritmica e sintattica, crea brani di straordinaria suggestione.”L’infinito” paradigmatico per potenza espressiva. L’idea dell’immensità e dell’eternità sono rese con un limitatissimo impiego di mezzi lessicali, che consente alle idee di giganteggiare nel deserto delle parole. Anche per questo leopardi classico, però la sua ansia, il tedio della vita, e la personalità esasperata ne fanno un romantico. In Leopardi, accanto alla poetica dell’idillio che si esprime, romanticamente, nel dualismo paesaggio – stato d’animo, v’, parallelamente, una poetica una poetica non idilliaca, dalle immagini incisive e dalla sintassi perentoria. In Leopardi l’originario slancio sentimentale si evolve in una complessa vicenda spirituale. Leopardi parte dal razionalismo illuministico , ma giunge a negarlo ed a condannare la stessa ragione.

Leopardi romantico

La partecipazione di Leopardi allo spirito romantico deriva, come per Foscolo, dal bisogno di focalizzare il problema del significato e del fine della vita. La differenza fondamentale, tra Foscolo e Leopardi, che, mentre nel primo l’angosciosa presa di coscienza della realtà innesca uno sforzo titanico di ricostruzione dei valori della vita, nel Leopardi, di indole introversa e scarsamente combattiva, dagli stessi presupposti si sviluppa una desolata e chiusa meditazione che lo rende incapace di aderire alla vita, che gli appare remota ed aliena. Il primo risultato psicologico di tale condizione di spirito la noia della vita, l’assenza di speranze, di illusioni, di desideri ed il dolore puro che lo rende poeta assolutamente romantico. La sua poesia di memoria, lirica concepita come attività a-razionale (non irrazionale), come originalità assoluta, entusiasmo, immaginazione, totale illusione. Leopardi occupa un posto particolare nel quadro letterario dell’800, infatti, il Cristianesimo romantico fu un riflesso imprescindibile del Congresso di Vienna, ma Leopardi respinse sempre, tenacemente, tale cattolicesimo di stampo progressista che contrabbandava i miti del secolo precedente, rifiutandone però le intuizioni e le conquiste pi vere, pertanto Leopardi fu non solo fuori, ma anche contro il proprio secolo.

Crepuscolari

Corazzini forse colui che, nella sua brevissima stagione poetica ha tentato la pi intensa e precoce sperimentazione formale, dando un’impronta fortemente simbolica ed oggettiva ai temi prettamente crepuscolari (il Moretti ne fu l’esempio tipico). Gozzano (1883 –1916), invece, pur facendo propri tutti i motivi del crepuscolarismo (oggetti, temi, moduli,simboli, malinconia, decadenza, malattia, poesia antieloquente e prosastica) caratterizzato da una forte componente ironica che mette in discussione sia l’alto registro dannunziano (agli esordi egli stesso stato dannunziano), sia l’ambiguità della reazione antidannunziana. Un rapporto di amore- odio, fascino – rifiuto investe i miti dannunziani ed i semplici, genuini luoghi e personaggi che egli ammira per la loro genuinità, ma che anche avverte come insoddisfacenti per la loro mediocrità piccolo borghese. Alter Ego di Gozzano sono l’avvocato che corteggia la signorina Felicita e Totò Merumeni (esteta in tono minore ed ironico rovesciamento del superuomo dannunziano). Gozzano riduce l’altisonante estetismo di D’annunzio ad una misura ironicamente borghese e ad uno scetticismo riassunto nella sua incapacità di aderire alla vita. Tipica della reazione gozzaniana al dannunzianesimo la contaminazione perseguita dal poeta di lessico, tono, stile dannunziano con lessico, tono, stile quotidiano e prosaico in funzione spesso dichiaratamente ironica.

Decadentismo

(sezione da sviluppare) Decadentismo equivale a crisi dei modelli culturali e sociali. Novità del linguaggio e dei generi letterari.

Ermetismo

(sezione da scrivere)

Il Simbolismo

(sezione da scrivere)

Il futurismo: movimento di rottura.

Agli esordi del ‘900, sul piano culturale, il fenomeno pi originale la globalizzazione del modello culturale occidentale, proposto dai mass-media e resa possibile dalle trasformazioni economiche e tecnologiche che investono ogni settore della società, pervadendo anche ambienti tradizionalmente chiusi alle novità e comportando cambiamenti della morale e della famiglia e della società, in genere. In effetti, il secolo appena concluso ha prodotto in ogni campo cambiamenti rapidissimi e rilevanti, pertanto, il ‘900 può essere veramente definito un’epoca di rottura con il passato. L’uomo non sempre ha saputo adeguarsi con altrettanta prontezza ed spesso entrato in quella crisi esistenziale che emerge dalle opere e dagli interessi del periodo. Ha quindi largo spazio la psicoanalisi, in letteratura si incontrano personaggi alla disperata ricerca della propria identità spirituale ed in contrasto con la realtà, l’arte sente la necessità di un rinnovamento e tenta nuove vie espressive, la scienza si sviluppa in direzioni mai prima immaginate o sperimentate. La necessità di trovare punti fermi, pur nel cambiamento spiega, in parte, anche l’ascesa del fascismo in Italia e l’appoggio che gli diedero intellettuali come il D’Annunzio o il Marinetti, fondatore del Futurismo, che fu un movimento artistico e letterario, sviluppatosi in Italia all’inizio del XX secolo e che, con netto rifiuto della tradizione, esaltò la vita moderna ed i suoi aspetti pi caratteristici: la velocità, le macchine, le nuove metropoli e i complessi industriali. I principi del futurismo furono elaborati dal poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti, che ne pubblicò il manifesto teorico nel 1909, l'anno seguente un gruppo di pittori, stese il Manifesto tecnico della pittura futurista. Caratteristico dell'arte futurista fu il tentativo di rappresentare contemporaneamente le diverse azioni e le successive posizioni di un soggetto in movimento, con risultati simili a una serie di fotografie scattate in rapida sequenza e stampate su una singola lastra. In ambito letterario, al movimento si accostarono Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Ardengo Soffici. Il Futurismo rinnovò l'arte italiana anche nei settori della grafica e dell'architettura. Il movimento si concluse verso il 1914, anche se un secondo Futurismo si manifestò negli anni Trenta. Il movimento esercitò una profonda influenza su molti artisti in Francia e in Russia. L'esperienza del Futurismo fu parallela a quella dei Crepuscolari, anche se opposta sul piano ideologico e formale. Partì anch'essa da premesse antidecadentistiche e parzialmente antidannunziane, dall’adesione al diffuso pensiero irrazionalistico, dall'esaltazione del contenuto psicologico come unica sorgente di poesia e dalla ricerca di un nuovo rapporto col pubblico e di nuovi modi espressivi, in contrasto con la tradizione. I due movimenti furono contemporanei, e diversi autori, Govoni e Palazzeschi, poterono, in un breve giro d'anni, collaborare ad entrambi. Il Futurismo, però, a differenza del Crepuscolarismo, si organizzò in una scuola ben definita, con un capo storico ed un manifesto, pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti, sul giornale francese «Le Figaro», nel 1909, mentre su riviste come «Lacerba», erano dibattute le idee futuriste. Pi tardi, appoggiandosi ai movimenti nazionalistici e al Fascismo, il Futurismo continuò oltre il 1914. Al movimento futurista continuarono ad aderire artisti e scrittori fino agli anni Quaranta, ma in realtà il gruppo aveva già subito una scissione nel 1915, quando Marinetti, accolta la prima guerra mondiale come la migliore poesia futurista mai scritta, aveva pubblicato una raccolta di testi propagandistici intitolata “Guerra sola igiene del mondo” e si era arruolato nell'esercito italiano come ufficiale. Nel 1919 s’iscrisse al Partito fascista, che egli elogiò come continuazione naturale dell'esperienza futurista nel libro intitolato “Futurismo e Fascismo” (1924). Le posizioni del futurismo giunsero fino alla seconda guerra mondiale, quando ormai il movimento sopravviveva a se stesso. Il Futurismo fu aggressivo, dotato di un'organizzazione culturale, politica, editoriale, e tentò di diventare moda e costume di vita. Pur rifiutando certi aspetti del D'Annunzio, ne riprese ed esasperò l'esaltazione dell'energia irrazionale e della vitalità immediata e aggressiva, volle esprimere il dinamismo del mondo moderno, cantare la civiltà della macchina, attingere sensazioni nuove dal mondo della scienza e della tecnica, rigettando l'analisi dell'interiorità. La letteratura italiana, agli inizi del ‘900, era ancora legata ad una realtà contadina che non comprendeva i cambiamenti apportati dalla tardiva rivoluzione industriale e, soprattutto, la mutata organizzazione della vita sociale. L’esigenza di un adeguamento alla nuova realtà fu avvertita da Carducci e, pi ancora da D’Annunzio che esaltò l’attivismo, il dinamismo, la velocità, facendo della macchina il simbolo della modernità, del rinnovamento, della trasformazione in ogni campo. Quando tali concetti si diffusero tra le masse, furono fatti propri dalle ideologie del tempo che le riversarono nella teorie superomistiche, nazionalistiche, imperialistiche. Il saggista ed ideologo Mario Morasso anticipò molti atteggiamenti del futurismo ed anche dannunziani, confidando nell’affermarsi di una morale superomistica, aristocratica, individualista, capace di affermare un dispotismo di classe e di Stato e di superare la mediocrità borghese grazie ad intellettuali che, esaltando la guerra, avrebbero affrettato il costituirsi di una civiltà superiore.La macchina avrebbe determinato l’affermarsi di nuovi valori, legati al rischio, alla velocità, alla potenza, al coraggio ed al desiderio di eccellere. L’eroismo moderno collegato alla macchina che spinge a disprezzare ogni atteggiamento di prudenza e moderazione borghesi. “Io ho la convinzione irremovibile che la macchina sarà il principale modellatore delle future coscienze, il pi profondo ed efficace educatore della società umana, che essa sarà l’emblema, il perno della forma di civiltà che sui sostituirà alla nostra” (Marasso, La nuova arma, 1905) ; “ E per questo io qui ti esalto e ti consacro milite della imperiale civiltà futura, o Wattman ( il moderno uomo della macchina, colui la cui presenza si misura in Watt, come quella di qualsiasi altra forza motrice) poiché da te mi venuta la rivelazione di una verità fulgida come il lampo che tu scocchi dai tuoi ordigni. Come la macchina l’ereditiera dell’arme, e dell’arme ha assunto la virt, lo spirito e l’ufficio, così l’officina lo del campo e della fortezza, così il Wattman del guerriero.” (Marasso, La nuova arma, 1905). Per i futuristi, la macchina divenne fine e tramite della creatività artistica ed una metafora dell’esistenza. Il Futurismo, infatti, infatti, cercava di fornire, con il simbolo della macchina, una giustificazione ad una visione del mondo assai irrazionale. Svevo invece, rovesciò le teorie del Futurismo, soprattutto il concetto di guerra come igiene del mondo, con l’auspicare un ordigno che purificasse la terra distruggendo completamente l’umanità. Anche Pirandello individuò nell’affermarsi di macchine sempre pi sofisticate la causa della crisi esistenziale dell’uomo moderno. Il progresso e la tecnologia, secondo Pirandello, forniscono una oggettività apparente, rivelando l’artificiosità delle convenzioni sociali, togliendo ogni certezza nella positività della scienza e del progresso.. Anche D’Annunzio fece dell’automobile (terrestre) una metafora del male e dell’aereo (celeste) il simbolo del bene e della speranza. imponevano un nuovo costume e nuove forme di sensibilità. Il Futurismo esaltò le forme materiali, istintive della vita, l'amore del pericolo e l'audacia, fino alla violenza e alla guerra, che Marinetti definì la “sola igiene del mondo” , rifiutò la tradizione e il conformismo, attaccò i musei e le università come simbolo di una cultura "passatista", disprezzò le donne come esseri inferiori Per esprimere adeguatamente tali contenuti, doveva essere abolita la tradizione nelle poetiche e nel linguaggio. Pertanto i futuristi respinsero la sintassi, le parti qualificative del discorso (avverbi, aggettivi), proposero di usare le parole in libertà (ossia senza alcun legame grammaticale -sintattico fra loro, senza organizzarle in frasi e periodi), sfruttando l’analogia per rendere l'immediatezza dell'impressione, rifiutarono la metrica tradizionale e spesso si servirono di calligrammi, ossia della disposizione rappresentativa delle parole sul foglio. Il Futurismo ebbe valore soprattutto come movimento di rottura, stimolando la ricerca di nuove forme di espressione e di nuovo rapporto fra arte e civiltà industriale. In letteratura il Futurismo si ridusse, però, a un uso esasperato dell'analogia di tipo simbolistico, mentre l'adesione al Fascismo lo confinò in forme di enfasi convenzionale, di novità soltanto apparente. Risultati assai migliori si ebbero nelle arti figurative, dove il movimento preparò la rivoluzione dell'arte moderna. I futuristi si rendevano conto che in Italia, anche se in ritardo , era ormai in atto una rapida industrializzazione e quindi focalizzavano attenzione e preferenze su tale realtà: macchine, complessi industriali, masse operaie, città moderne, metropoli, automobili, aerei, velocità, il movimento , la violenza e la combattività . Il rapporto dei futuristi con il mondo contemporaneo era, però, molto spesso, acritico, facendo coincidere il positivo ed i nuovi valori con l’industrializzazione e facendo derivare dalle leggi del capitalismo una nuova etica, basata sull’esasperata competitività e sull’aggressività ed offrendo al capitalismo industriale una veste ideologica. All’esordio del movimento ci furono anche componenti anarchiche ed il sindacalismo rivoluzionario, ma in seguito il futurismo esaltò la guerra, l’interventismo ed il nazionalismo pi esasperato, fino ad aderire al fascismo, quando “lo schiaffo ed il pugno”da metafora letteraria divennero consuetudine della lotta politica. Giovanni Papini (1881-1956), nel 1913 fondò con Ardengo Soffici "Lacerba", rivista futurista cui lavorò fino al momento della rottura con Martinetti (1915). Nella rivista la polemica antiborghese si mescola all’interventismo e allo sperimentalismo letterario. È famoso l’articolo di Papini sul “caldo bagno di sangue”, che contiene asserzioni in piena adesione alla linea futurista affermazioni poi ritrattate quando la realtà della guerra si manifesta in tutto il suo orrore ed in seguito all’avvicinamento al cattolicesimo(anche questo gridato), salvo poi aderire alla retorica nazionalistico guerresca del fascismo. Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d'Egitto 1876 - Bellagio, Como 1944) fondò il futurismo. Studiò nelle università di Alessandria d'Egitto e Parigi (dove si laureò in lettere nel 1891), di Padova e Genova (dove conseguì la laurea in giurisprudenza nel 1899). Scrisse in francese alcune raccolte poetiche in cui sono presenti l'uso del verso libero, anticipazione alle “parole in libertà”, e la mistica del superuomo di derivazione dannunziana. Marinetti, nel 1898, iniziò a pubblicare su varie riviste letterarie opere in versi di stampo simbolista. Nel 1905 fondò a Milano, in collaborazione con Sem Benelli, la rivista "Poesia". Una delle sue prime opere teatrali, “Elettricità sessuale” (1909), introdusse sulla scena i robot, dieci anni prima che il romanziere Ceco Karel Čapek inventasse la parola "robot". Marinetti fondò il Futurismo, con il “Manifesto del Futurismo”, pubblicato nel 1909 sul quotidiano francese "Le Figaro" (il secondo manifesto, anch'esso dovuto a Marinetti, dell'anno seguente). Per Marinetti, il manifesto fu un genere letterario originale, tanto che i suoi manifesti futuristi sono forse le sue prove migliori. Marinetti affrontò le tematiche del Futurismo in numerosi saggi e poesie, nel romanzo “Mafarka il futurista” (1910) e in opere teatrali "sintetiche" di carattere sperimentale, tra cui le composizioni "parolibere", come Zang Tumb Tumb, del 1914. Numerose sono le opere, le antologie, gli interventi, le prese di posizione, connesse alla sua qualità di riconosciuto capo del movimento: una qualifica, tuttavia, nella quale rimase imprigionato, dopo che, a partire all'incirca dal 1920, il Futurismo apparve come un fenomeno ormai archiviato, mentre nuovi movimenti d'avanguardia, cominciavano a delinearsi in Europa, né giovò allo scrittore la fervida adesione prima ai movimenti interventisti e quindi, dal 1919, al Fascismo. Diventò accademico d'Italia (l'Accademia d'Italia era stata fondata dal Fascismo e accoglieva i pi importanti intellettuali del Paese) e poeta di regime, fedele fino alla Repubblica di Salò; continuò le sue «serate», sempre pi anacronistiche, e la fedeltà a un movimento concluso. Di fatto, divenne egli stesso un «passatista», anche se, in opere come “Il fascino dell'Egitto” o il romanzo “Gli indomabili”, rivela la sua attenzione alle nuove poetiche italiane ed europee. Morì nel 1944.

Differenti conclusioni del pessimismo

Pirandello, Svevo, Joyce

Nessun altro contributo filosofico ha avuto la stessa straordinaria fortuna della psicoanalisi. Grazie all’opera di Sigmund Freud la cultura occidentale si pone per la prima volta nella condizione di spiegare, attraverso la ragione e solide argomentazioni scientifiche, le zone pi buie dell’animo umano. Freud scelse come terreno d’indagine le componenti irrazionali della personalità umana: il sogno e i ricordi dell’infanzia sprofondati nell’inconscio. La nuova scienza nacque come terapia per curare particolari disturbi nevrotici, che non avevano ancora alcun rimedio scientifico, e si sviluppò come sistematica di interpretazione dei contenuti inconsci. Si rivolse verso quelle manifestazioni come i sogni e le altre molteplici attività fuori della norma (lapsus, amnesie, comportamenti ossessivi, fobie, etc.) che erano state fino allora relegate tra le devianze trascurabili dalla medicina, considerate “distrazioni” o forme di affievolimento dell’attività della coscienza. Secondo Freud, partendo dallo studio di simili manifestazioni sarebbe stato possibile portare alla luce i meccanismi delle forze inconsce, dalla cui repressione o rimozione scaturiscono i vari comportamenti nevrotici. Si apre in questo modo un campo di indagine della “psicologia del profondo” il cui presupposto centrale risiede nella constatazione che le leggi che governano la vita interiore sarebbero diverse da quelle della vita cosciente.

Seguendo questa strada Freud indagò sul meccanismo psicologico per cui l’uomo si maschera a se stesso, mentendosi, oppure come alla base di tanti atteggiamenti che apparentemente obbediscono alla morale corrente ci sia invece un nodo irrisolto quale la repressione, il senso di colpa o la trasformazione delle pulsioni sessuali. Le sue teorie suscitarono scandalo negli ambienti pi conservatori della borghesia, soprattutto in rapporto alle formulazioni sulla sessualità, che considerata da Freud peculiarità non solo del mondo degli adulti, ma anche di quello dell’infanzia. La psicoanalisi divenne ben presto, oltre che una valida tecnica terapeutica, una concezione generale della realtà e dei rapporti che regolano corpo e psiche, assumendo vari indirizzi e diverse applicazioni. Tra queste un posto particolare spetta all’opera di Carl Gustav Jung, il cui interesse si incentrò sullo studio dei modelli impersonali e collettivi operanti nell’inconscio, che chiamerà “archetipi”, trovandovi la chiave per l’interpretazione di particolari fenomeni religiosi ed artistici. La psicnalisi influenzò molti scrittori del ‘900.

Joyce erede di scrittori come Flaubert, per il tema dell’inetto, che lo avvicina a Svevo, di James e Conrad per l’analisi psicologica , ma anche D’Annunzio esercita su di lui una certa influenza per il continuo mescolarsi di lingua poetica a narrazione, oltre ad essere debitore a Dorothy Richardson per l’uso di tecniche quali lo “stream of consciousness” (flusso di coscienza). Ne deriva una profonda sperimentazione e ricerca conoscitiva, cercando pi stretti nessi tra lingua, coscienza e inconscio. Nei Dubliners (Gente di Dublino) presente una struttura realistica, continuamente messa in crisi dall’uso di simboli ed archetipi ricorrenti e soprattutto dalla tecnica dell’epifania, cio dell’improvvisa folgorazione in cui l’essere per capta le zone del profondo sia dentro la coscienza, sia nella realtà oggettiva. L’Ulisse porta al culmine tale poetica, provocando una rivoluzione espressiva: ogni distinzione tra interno ed esterno abolita, la narrazione tende a fondere il dato percepito e la sua elaborazione mentale. Narratore e lettore si insediano nella coscienza dei personaggi, osservandone il fluire tra pensiero, sentimenti ed eventi. Ne consegue la dissoluzione dell’impianto narrativo tradizionale, in quanto impossibile costituire un ordine ed una trama, nonché una unità psicologica dei personaggi. La scrittura narrativa una registrazione del caos di voci, gesti, oggetti, sensazioni, eventi, che animano continuamente la dimensione quotidiana di chiunque e la sua stessa percezione, in cui si intrecciano momenti consapevoli ad altri inconsci. A tratti, la narrazione procede per nessi analogici, mimando lo svolgersi del pensiero inconscio. Con l’Ulisse Joyce ha scritto una sorta di antiromanzo, che rimane l’archetipo di ogni tipo di sperimentazione nella scrittura, e come tale ha avuto anche il suo influsso in Italia, soprattutto negli anni Sessanta, al tempo della neoavanguardia.

Per la dolente e spietata analisi della solitudine e della sconfitta dell’uomo e per la cancellazione del confine tra presente e passato, l’opera di Svevo paragonabile a quella di Joyce, di kafka, di Pirandello. Svevo stato accostato ai decadentisti e tale parallelo può essere calzante se per Decadentismo si intende l’analisi dell’uomo secondo parametri esistenziali, ma, al contrario del maggior decadentista italiano, il Pascoli, Svevo non cerca l’alibi del mistero cosmico che avvolge l’uomo,infatti egli ha il coraggio di considerare l’umana miseria senza remore,e di scavare nella psiche fino a mettere a nudo le radici del dolore e della solitudine che vi sono annidate. Nello Svevo v’ un’esigenza continua di chiarezza. Nell’indagine psicologica del personaggio affiora la mistificazione che esso esercita con se stesso, la volontà di svelarla ed una bonaria tolleranza per l’inestricabile groviglio in cui l’uomo vive. Come in Pirandello, l’indagine sulla realtà psicologica supera il mero estetismo e i sentimenti non portano mai al lirismo. L’indagine morale condotta rigorosamente e basata laicamente sulla psicologia, sulla logica, sulla coerenza intellettuale, accentuando la crisi analitica del personaggio, la sua frammentazione, il suo dramma esistenziale, il duello con l’altro se stesso, proiettato sullo sfondo della società, mentre il tempo interiore affonda le radici nell’io pi profondo. Svevo percorre con impressionante chiarezza i temi dell’alienazione e del rapporto fra individuo e società e, come in Pirandello, il suo realismo porta alla disintegrazione della società stessa. In Pirandello manifesto il dramma del pensiero che perde ogni capacità di discriminazione tra vero e falso, tra convenzioni e realtà. Ai vinti del Verga, i quali tuttavia credono ancora in un principio superiore (famiglia, fato, roba, ascesa sociale, rassegnazione) si contrappongono, nell’opera pirandelliana, figure di piccoli e medi borghesi, squallidi rappresentanti di una società priva di ideali, condannati alla solitudine ed all’incomunicabilità.

Questione della lingua

Il dibattito sulle caratteristiche della lingua letteraria italiana, si sviluppato in Italia dal Trecento ai giorni nostri. La varietà dialettale italiana la pi alta all'interno delle lingue romanze: ogni minima comunità, frazione di comune presenta una propria parlata, che differisce da quelle vicine anche per poche caratteristiche. Le ragioni di tale enorme differenziazione sono storiche e sociali. Una prima ragione sta nel fatto che con l'impero romano si impose l'uso del latino, che prese caratteri diversi a seconda dei luoghi e delle lingue con cui veniva a contatto. Il latino parlato dunque non era unitario e solo l'azione della scuola e dell'amministrazione fece sì che, accanto ai dialetti latini effettivamente parlati, esistesse una lingua comune per la comunicazione fuori della propria area e per gli usi letterari e burocratici. Il crollo dell'impero e le invasioni barbariche spezzarono questa unità, inoltre furono introdotte nuove lingue (gotico, longobardo, greco, arabo) che si mescolarono con quelle esistenti, in modi e proporzioni diverse secondo i luoghi. Il latino sopravvisse, come lingua usata solo negli ambienti colti e ogni varietà locale, liberata dal peso della tradizione, ebbe un'evoluzione autonoma e assai rapida, portando a una capillare differenziazione. Anche dopo l'emergere del fiorentino come varietà prestigiosa e dotata di potere unificante sul piano letterario, il persistere della mancanza di un'unità nazionale favorì la frammentazione locale delle parlate per l'uso quotidiano. Secoli dopo, Manzoni non sapeva "parlare" l'italiano: a casa e in città usava il milanese, fuori il francese mentre Cavour e tutta la corte sabauda parlavano francese o piemontese e così era per tutti. Solo l'unità d'Italia (1861) con la scuola e i giornali, e soprattutto il XX secolo con la radio e la televisione portarono elementi effettivi di unificazione linguistica. La questione della lingua quindi strettamente legata alla storia della lingua letteraria italiana, e in particolare alle sue origini dal dialetto fiorentino, nobilitato e impostosi come lingua comune della penisola soprattutto grazie all'opera di Dante, Petrarca e Boccaccio. Nel De vulgari eloquentia Dante fissò le regole dell'uso letterario del volgare: la questione si poneva per lui non tanto nell'esigenza di individuare un dialetto che fosse in sé migliore degli altri, ma nella creazione, mediante raffinamento, di una lingua "illustre", "cardinale" (in quanto cardine attorno al quale ruotano tutti gli altri dialetti), "aulica" e "curiale" (ossia degna di una corte e di un tribunale). Dante tuttavia vedeva nella frammentazione politica d'Italia un ostacolo insormontabile alla creazione di questa lingua. Dopo il ritorno al latino promosso dall'Umanesimo, il problema tornò di attualità tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento. Si fronteggiarono tre correnti.

La corrente detta "cortigiana", che trovò i maggiori sostenitori in Baldassarre Castiglione e Gian Giorgio Trissino (autore anche di un progetto di riforma dell'ortografia), si ispirava a un ideale di lingua eclettico, come l'idioma usato nelle corti italiane dell'epoca, nel quale, su una base genericamente toscana, si inserivano parole e costrutti mutuati da altre parlate italiane o di altri paesi (soprattutto il provenzale), purché raffinati e "aventi qualche grazia nella pronuncia" (Castiglione).

La corrente fiorentina, sostenuta fra gli altri da Niccolò Machiavelli, proponeva l'adozione del fiorentino come era parlato all'epoca. Ci fu una variante senese, per il quale la lingua viva da prendere a modello era la parlata di Siena.

La corrente arcaizzante, detta poi "bembismo", ebbe il suo maggior rappresentante in Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua (1525) si oppose all'ipotesi di fondare l'italiano sull'uso linguistico comune delle corti rinascimentali, la "lingua cortigiana", perché non si può considerare vera lingua letteraria una parlata che non sia nobilitata dall'opera di grandi scrittori. Per lo stesso motivo si dichiarò contrario all'adozione del fiorentino parlato, perché non era lingua abbastanza elaborata. Propose dunque l'adozione della lingua fiorentina del Trecento, in particolare quella di Petrarca per la poesia e quella di Boccaccio per la prosa, Dante non fu considerato sufficientemente esemplare, perché aveva accolto nella Divina Commedia voci provenienti da dialetti o lingue diverse.

L'opera di Bembo decretò il successo della corrente arcaizzante, che divenne preponderante dalla metà del secolo grazie anche alla fondazione dell'Accademia della Crusca (nel 1612 uscì il Vocabolario degli Accademici della Crusca, considerato sino all'Ottocento la massima autorità in fatto di lingua). La lingua letteraria italiana si avviò all'arcaismo e al preziosismo, staccandosi dalla lingua d'uso quotidiano, per il quale si continuarono a utilizzare i dialetti.

Durante l'Illuminismo si criticò l'eccessiva astrattezza e complicazione della lingua, proponendo come modello la chiarezza del francese. Nel '600/700 l'uso dell'italiano pur essendosi notevolmente esteso restava tuttavia limitato alla lingua scritta ed agli strati pi colti della popolazione. Accanto a tali fattori si aveva una forte presenza di francesismi essendo la lingua francese quella della diplomazia.

Nel ‘700 variò la struttura sintattica della lingua che, gradatamente, si distaccò dalla prosa latineggiante, ricca di subordinate. Fu la conquista napoleonica a riaccendere le polemiche sulla lingua, che continuarono per tutto il secolo XIX, quando dopo l'unificazione e la nascita del Regno d'Italia si rese necessaria una lingua per lo stato, per la scuola e l'amministrazione. Accanto a una corrente purista, rappresentata da Antonio Cesari, si affermò la posizione di Manzoni, sostenitore della lingua fiorentina dell'epoca d'uso colto, e quindi non pi del solo modello della letteratura del Trecento. Esempio pratico di tale proposta fu la seconda edizione dei Promessi sposi (1840), rivista secondo tali termini. Autorevole voce contraria fu Graziadio Ascoli il quale sosteneva che la soluzione del problema non consiste nell'adozione di una norma piuttosto che un'altra, ma nell'incrementare gli studi e l'attività intellettuale del popolo, per portarlo a comprendere la lingua della scienza e dell'amministrazione. nell'800 si ebbe quindi una rivoluzione linguistica. La frantumazione politica del Paese e la stratificazione culturale della società, l'analfabetismo imperante e la mancanza dì testi capillarmente diffusi, avevano permesso che i dialetti prosperassero, mentre quella che avrebbe dovuto costituire l'interlingua, era in realtà una lingua puramente letteraria. Una parziale omogeneità linguistica fu determinata dalla dominazione napoleonica che, però, introdusse nelle zone soggette alla Francia moltissimi gallicismi, anche se Napoleone stesso tentò di salvaguardare la lingua letteraria italiana, che identificava con quella toscana.

Dopo la caduta di Napoleone, il Romanticismo favorì la formazione della coscienza nazionale e dei fermenti risorgimentali richiamando alla tradizione linguistica e letteraria. (Il Romanticismo, sostenendo un'arte basata su tradizioni, cultura e lingua nazionali, fornì solidi argomenti al Risorgimento). Una vera lingua italiana, extraletteraria, però, non esisteva ancora. L'unificazione politica, seguita al 1861, lasciò in eredità al Nuovo Regno d’Italia una realtà sociale assai difficile: una scolarizzazione difficilmente realizzabile ed un'atavica diffidenza tra gli abitanti delle diverse parti della nazione avrebbero ritardato a lungo l'instaurarsi di una lingua comune. Se da un lato l'unificazione amministrativa, il servizio militare i giornali a diffusione nazionale, l’industrializzazione, soprattutto nel nord, i movimenti interni della popolazione, avrebbero col tempo portato all'instaurarsi di una lingua abbastanza omogenea, dall'altro solo la borghesia pareva rispondere, entro certi limiti, alle esigenze della nuova nazione. Perciò, l’800 fu la fucina della nuova lingua ,in quanto la questione linguistica trovò una soluzione sia teorica che pratica. All'inizio del secolo il Cesari ed il Puoti proposero di purgare la lingua dai francesismi e di adottare il fiorentino trecentesco. Contro costoro insorsero il Monti ed il Giordani, che sostennero la necessità dì integrare la lingua trecentesca con le espressioni dell'intera tradizione letteraria nazionale. Il Monti suggerì anche un prudente arricchimento e rinnovamento lessicale. Pur essendo equilibrata, tale soluzione, proponeva una lingua prettamente letteraria e quindi essenzialmente artificiale. Merito del Romanticismo fu l’aver propugnato una lingua che fosse non solo nazionale, ma anche popolare, una lingua cio che potesse essere usata da tutti come usuale mezzo dì comunicazione, ben lontano dalla lingua elitaria propugnata fino a quel momento. Tale lingua avrebbe favorito il diffondersi della cultura tra strati pi vasti della popolazione. Manzoni si rifece alla tesi romantica della lingua come funzione della nazione e della società, creando con la sua opera un modello linguistico capace di fondere la migliore tradizione con il lombardo ed il fiorentino, creando le premesse per un verismo letterario. Manzoni creò in effetti una lingua duttile, adatta ad opere letterarie a diffusione popolare, conservando una mirabile eleganza formale, però la proposta di Manzoni (lettera al Carena sulla lingua italiana, 1850) di imporre all’intero paese l’adozione del fiorentino vivo e codificato in un dizionario, mancava di opportunità, in quanto non si può imporre ad un intero paese una lingua. Manzoni tentò di superare la visione puramente accademica del problema linguistico facendo sì che la lingua scritta coincidesse con quella parlata, ma dimenticò che, perché una lingua sia veramente la lingua di un popolo, essa deve essere prima che parlata, pensata. In polemica con il Manzoni, l'Ascoli gli rimproverò di voler imporre una lingua senza curare i mali che avevano provocato il frazionamento linguistico. Un altro motivo di dissenso col Manzoni era per l’Ascoli il fatto che il fiorentino, essendo stato contemporaneamente la lingua dei banchieri e dei mercanti fiorentini e quella di Dante, Petrarca e Boccaccio, era ben presto assurta a dignità linguistica subendo poi varie alterazioni locali, alle quali contribuirono scrittori di tutta Italia: perciò questa lingua, rielaborata a livello nazionale, che, secondo l’Ascoli, doveva essere adottata come lingua comune.

Manzoni, ancora assai giovane, rilevò la frattura tra lingua parlata e lingua letteraria, di quest’ultima però, si servì non solo per i primi versi, ma anche per gli Inni Sacri e le tragedie. Manzoni partì, dunque, dall'idea di una lingua letteraria comune all'Italia costituita dall'incontro tra i diversi dialetti italiani, in particolare il milanese e il toscano, ma poi si convinse che la lingua comune doveva basarsi sull'uso del toscano e finì con il sostenere la necessità di adottare il fiorentino parlato dalle persone colte (Lettera al Carena" 1846). Già la stesura definitiva dei Promessi Sposi era stata corretta in tal senso, in seguito lo scrittore iniziò un trattato sulla lingua che però non condusse mai a termine. Nel '68 il ministro Broglio nominò una commissione, presieduta dal Manzoni, per studiare i provvedimenti atti ad instaurare l'uso di una lingua comune nel Regno ed il Manzoni scrisse la relazione "Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla" (1868) seguita nel '69 da una appendice. La desiderata unità linguistica doveva basarsi su un vocabolario pubblicato poi dal '70 al '97 [ Broglio / Giorgini (genero di Manzoni) “Novo Vocabolario, col quale polemizza Ascoli”]. La relazione ed il vocabolario suscitarono polemiche. Autorevolissimo oppositore del Manzoni fu l’Ascoli che aveva una concezione storica della lingua intesa come prodotto di una spontanea maturazione conseguente all'unità politica, ma, che riconosceva al Manzoni il merito, con la sobrietà, il nitore, la precisione linguistica della sua opera, di aver estirpato dalla letteratura italiana la retorica.

Il XX secolo ha visto l'affermarsi dell'italiano in tutti i settori della vita pratica e culturale. Attualmente il modello proposto da radio, cinema e televisione di tipo misto, con una tendenza all’unificazione della pronuncia e una decisa introduzione anche nella lingua letteraria di registri ed espressioni tipici del parlato, fenomeni che fanno dell'italiano, per la prima volta nella sua storia, una lingua completa e non solo letteraria.


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