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Sallustio

Gaio Sallustio Crispo (86 AC] - 34 AC).

Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiternum, nella Sabina (L'Aquila), nell'86 AC, da una famiglia facoltosa, ma senza tradizioni politiche (homo novus, come il suo conterraneo Catone il Censore, che fu per lui importante esempio ideologico e letterario), studiò a Roma e aderì al programma dei populares.

Come tribuno della plebe, nel 52 AC, condusse una campagna accanita contro Milone campione degli ottimati e uccisore di Clodio e contro Cicerone che lo appoggiava. Poco dopo subì la vendetta degli aristocratici e nel 50 AC fu espulso dal senato per indegnità morale. Dopo lo scoppio della guerra civile si schierò con Cesare e, dopo la sua vittoria, fu riammesso nel senato. Sconfitti i pompeiani in Africa, Cesare nominò Sallustio governatore della provincia di Africa nova (Numidia). Ma Sallustio fu un pessimo governatore e, al ritorno, fu accusato di malversazione. Cesare, per evitargli la condanna ed una nuova espulsione dal senato, probabilmente lo consigliò di ritirarsi dalla vita politica. Sallustio sposò poi Terenzia, che aveva divorziato nel 46 AC da Cicerone, e si dedicò alla storiografia, morì nel 34 AC, lasciando incompiuta la sua opera maggiore, le Historiae.

Table of contents
1 Opere
2 La monografia storica come genere letterario
3 Il Bellum Catilinae
4 Il Bellum Jugurthinum
5 Le Historiae e la crisi della res publica
6 Lo stile di Sallustio
7 Le Epistulae e l'lnvectiva

Opere

Due monografie storiche: Bellum Catilinae (o De Catilinae coniuratione) e Bellum Jugurthinum, composte e pubblicate negli anni fra il 43 AC e il 40 AC. Restano numerosi frammenti di un'opera di più vasto respiro, le Historiae, iniziata intorno al 39 AC e rimasta incompiuta. Opere spurie: due Epistulae ad Caesarem senem de re publica e l' invectiva in Ciceronem.

La monografia storica come genere letterario

Ad ambedue le sue monografie, il Bellum Catilinae ed il Bellum Jugurthinum, Sallustio antepose un proemio. I pochi cenni autobiografici contenuti nei proemi tentano di spiegare l'abbandono della vita politica con la crisi che ha corrotto le istituzioni e la società. Sallustio tenta di giustificare il fatto di aver abbandonato la vita politica dedicandosi alla composizione di opere storiche, di fronte ad un pubblico che considerava più importante fare la storia, piuttosto che scriverne.

Per Sallustio la storiografia è intrinsecamente connessa alla formazione dell'uomo politico. Sallustio, ed in ciò è evidente il contrasto fra lo scritto e la sua vita, denuncia l'avidità di ricchezza e di potere come i mali che avvelenano la vita politica romana. La storiografia sallustiana tende a configurarsi come indagine sulla crisi. L'impianto monografico delle sue due prime opere storiche costituì una novità quasi totale nella storiografia romana focalizzando un singolo problema storico nella visione organica della storia di Roma: il Bellum Catilinae presenta il delinearsi di un pericolo sovversivo, il Bellum Jugurthinum rileva l'incapacità della nobilitas corrotta di difendere lo Stato.

Il Bellum Catilinae

Catilina, la cui congiura Cicerone console aveva represso nel 63 AC, aveva tentato di coalizzare le forze avverse al regime senatorio: il proletariato urbano, i ceti poveri, i membri indebitati dell'aristocrazia. Dopo il proemio, Sallustio tratteggia la personalità di Catilina. Il carattere dell'aristocratico corrotto è inquadrato nella generale decadenza dei costumi romani, dovuta all'estendersi dell'impero e al dilagare del lusso e delle ricchezze. Valendosi della degradazione morale, Catilina raggruppa intorno a sé personaggi ambigui che, per motivi diversi, auspicano un cambiamento di regime.

Catilina estende le proprie trame eversive a tutta l’Italia e raduna a Fiesole un esercito composto in larga parte di disperati. È console Cicerone, Catilina, sconfitto nelle elezioni consolari, compie alcuni attentati alla vita del console, che però falliscono. Cicerone ottiene dal senato i pieni poteri per soffocare la ribellione, l'8 novembre del 63 AC, accusa Catilina in senato (1ª Catilinaria). Catilina fugge da Roma, e raggiunge il proprio esercito, il senato lo dichiara nemico pubblico. Sallustio introduce una digressione sui motivi della degenerazione della vita politica e sulle condizioni che hanno favorito l'attività di Catilina, poi riprende narrazione. Cicerone ha le prove tangibili del complotto e fa incarcerare i complici di Catilina rimasti in città, il senato si riunisce per deliberare sulla loro sorte. Dopo che è stata proposta la condanna a morte, si contrappongono i discorsi di Cesare e di Catone il Giovane (Uticense). Il primo chiede una pena più mite, il secondo ribadisce la necessità della condanna a morte. Dopo averne riportato i discorsi, Sallustio introduce un parallelo tra Cesare e Catone, personaggi dalle doti opposte e complementari, i soli grandi uomini del tempo. I Complici di Catilina sono messi a morte. Catilina, a capo della sua armata, tenta di rifugiarsi nella Gallia Transalpina, ma è intercettato dall'esercito regolare e costretto al combattimento nei pressi di Pistoia (gennaio 62 AC). L'armata ribelle è annientata e lo stesso Catilina, dopo avere combattuto valorosamente, muore in battaglia.

Sallustio vede nel pericolo catilinario uno dei sintomi della grave crisi della società romana, ad essa lo storico, quasi all'inizio del Bellum Catilinae, interrompendo la narrazione, dedica un ampio excursus, detto "archeologia", che traccia una rapida storia dell'ascesa e della decadenza di Roma. Il punto cruciale è individuato nella distruzione di Cartagine, evento dal quale Sallustio fa iniziare il deterioramento della moralità romana, con la cessazione del timore verso i nemici esterni. In tale processo di degenerazione, Sallustio attribuisce un ruolo di rilievo alla figura del dittatore aristocratico Cornelio Silla, al cui esempio si ispirano gli individui della risma di Catilina. Lo storico insiste sull’orrore delle proscrizioni sillane, in cui Catilina si era tristemente distinto.

Un secondo excursus, collocato al centro dell'opera, denuncia la degenerazione della vita politica romana negli anni tra la dominazione di Silla e la guerra civile fra Cesare e Pompeo. La condanna colpisce ambedue le due parti in lotta, i populares e i fautori del senato, i demagoghi che, con elargizioni e promesse aizzano la plebe per farne il supporto delle proprie ambizioni, e gli aristocratici che si fanno scudo della dignità del senato, ma combattono in realtà solo per consolidare e ampliare i propri privilegi.

Sallustio collega la faziosità dei partiti contrapposti al pericolo di sovversione sociale. La condanna del "regime dei partiti" è coerente con le aspettative che Sallustio riponeva in Cesare. Lo storico auspica che il generale instauri un regime autoritario che ponga fine alla crisi dello Stato restituendo prestigio a un senato ampliato con uomini nuovi provenienti dall’élite di tutta l’Italia. Tale atteggiamento spiega la parziale deformazione che, nel Bellum Catilinae, Sallustio ha compiuto del personaggio di Cesare, purificandolo da ogni contatto con i catilinari. Sallustio stacca la congiura dalla corretta politica antiaristocratica e indica nella corruzione della gioventù la causa prima della cospirazione. Nel riferire la seduta del senato in cui è decisa la condanna a morte dei complici di Catilina, Sallustio fa pronunciare a Cesare un discorso che, per sconsigliare la condanna a morte, adotta considerazioni legalitarie. Il discorso "riscritto" da Sallustio non è una sostanziale falsificazione, ma l'insistenza sulle tematiche legalitarie, se anche trova qualche appiglio nel discorso effettivamente tenuto da Cesare in quell'occasione, è soprattutto coerente con la propaganda cesariana dei Commentarii e con l'ideale politico di Sallustio.

Sallustio delinea i ritratti di Catone e di Cesare, l'idea del confronto fra i due personaggi è connessa alla polemica su Catone, che si era sviluppata dopo il suo suicidio in Utica e alla quale aveva preso parte lo stesso Cesare. Sallustio tenta un'ideale "conciliazione" fra i due personaggi. Il ritratto di Cesare si sofferma sulla sua liberalità e sull'infaticabile energia. Le virtù tipiche dì Catone sono invece quelle tradizionali integrità, severità, irreprensibilità. Differenziando i mores dei due personaggi, Sallustio individua qualità complementari, positive per lo Stato. Soprattutto, nei principi etico-politici affermati da Catone, Sallustio riconosce un fondamento irrinunciabile dello Stato. Dalla narrazione del Bellum Catilinae, la figura di Cicerone, il console che aveva represso la congiura, appare alquanto ridimensionata. Il Cicerone di Sallustio è un magistrato che fa il suo dovere pur non essendo un eroe, superando inquietudini e debolezze. Di Catilina, Sallustio evidenzia l'energia indomabile e l’abitudine ad ogni forma di depravazione. Mentre tratteggia il personaggio, Sallustio lo giudica, ma dai discorsi che Catilina pronuncia nella monografia sallustiana affiorano, probabilmente al di là delle stesse intenzioni dello storico, i motivi profondi della crisi dello stato romano: pochi potenti che monopolizzano cariche politiche e ricchezze, sfruttando i popoli dominati ed una massa senza potere, coperta di debiti e priva di vere prospettive future

Il Bellum Jugurthinum

All'inizio della seconda monografia, Sallustio spiega che la guerra contro Giugurta (111 AC - 105 AC) fu la prima occasione in cui "si osò andare contro l'insolenza della nobiltà". Il Bellum Jugurthinum rileva le responsabilità della classe dirigente aristocratica nella crisi dello stato romano.

Giugurta, dopo essersi impadronito col crimine del regno di Numidia, aveva corrotto con il denaro gli esponenti dell'aristocrazia romana inviati a combatterlo in Africa, concludendo una pace vantaggiosa. Metello, inviato in Africa, ottiene successi notevoli, ma non decisivi. Mario, luogotenente di Metello, eletto console per il 107 AC, è incaricato di concludere la guerra. Mario modifica la composizione dell'esercito arruolando i capite censi (proletari nullatenenti). La guerra in Africa riprende e si conclude quando il re di Mauritania, Bocco, tradisce Giugurta, suo alleato, e lo consegna ai Romani.

Nella narrazione sallustiana, l'opposizione antinobiliare, rivendica, contro la nobiltà corrotta, il merito della politica di espansione e la difesa del prestigio di Roma. Come nel Bellum Catilinae, Sallustio introduce al centro dell'opera un excursus che indica nel "regime dei partiti" la causa prima della rovina dello Stato e il bersaglio principale è la nobiltà. Il quadro che emerge dal Bellum Jugurthinum è falsato, infatti, per rappresentare la nobiltà come un blocco guidato da un gruppo corrotto, Sallustio non parla dell'ala dell'aristocrazia favorevole ad un impegno attivo nella guerra. Le linee direttive della politica dei populares sono esemplificate nei discorsi che Sallustio fa tenere dal tribuno Memmio per protestare contro la politica inconcludente del senato, e successivamente da Mario, quando quest'ultimo convince la plebe ad arruolarsi in massa. Per Sallustio, ambedue i discorsi sono rappresentativi dei migliori valori etico-politici espressi dalla democrazia romana nella lotta contro la nobiltà. Nel discorso di Mario, il motivo centrale è l'affermazione di una "aristocrazia della virtus", che si fonda non sulla nascita, ma sui talenti naturali di ciascuno.

Il discorso di Mario esprime soprattutto le aspirazioni dell’élite italica ad una maggiore partecipazione al potere, tuttavia, l'ammirazione per l'uomo che seppe opporsi all'arroganza nobiliare è limitata dalla consapevolezza delle responsabilità che in seguito Mario si assunse nelle guerre civili e l'arruolamento dei capite censi getta ombre inquietanti sulla sua figura. Sallustio, infatti, non approva il provvedimento che diede origine agli eserciti personali e professionali che distrussero la repubblica. Nel ritratto di Giugurta, come nei confronti di Catilina, Sallustio non nasconde la propria perplessa ammirazione per l'energia indomabile indizio di valore, anche se corrotto. Una differenza importante, rispetto al ritratto di Catilina, è che la personalità del re barbaro è rappresentata in evoluzione. La sua natura non è corrotta fin dall'inizio, ma lo diviene progressivamente. Il seme della corruzione è gettato in Giugurta durante l'assedio di Numanzia, da nobili e homines novi romani.

Le Historiae e la crisi della res publica

La maggiore opera storica di Sallustio rimase incompiuta per la morte dell'autore. Le Historiae iniziavano col è78 AC (morte di Silla). Dopo gli esperimenti monografici, Sallustio tornò alla forma annalistica. L'opera (perduta, ma nota fino al V secolo) influenzò molto la cultura d'età augustea, restano quattro discorsi e due lettere, una di Pompeo e una di Mitridate. Di tali lettere ha particolare importanza quella che Sallustio immagina scritta da Mitridate, poiché dalle parole del sovrano orientale, che combatté lungamente contro i Romani, affiorano i motivi delle lagnanze dei popoli dominati da Roma. Restano anche parecchi frammenti di carattere geografico ed etnografico. Nelle Historiae la corruzione dei costumi dilaga, poche sono le nobili eccezioni, sulla scena politica si affacciano avventurieri, demagoghi e nobili corrotti. Dopo l'uccisione di Cesare, lo storico non ha più una parte dalla quale schierarsi, né spera in un salvatore dello Stato.

Lo stile di Sallustio

Cicerone pensava ad uno stile storiografico modellato sull'oratoria. A condizionare l’evoluzione stilistica della storiografia latina fu Sallustio, che elaborò uno stile fondato sull' inconcinnitas (rifiuto di un discorso ampio, regolare, proporzionato), sulle asimmetrie e variazioni di costrutto. Lo storico realizzò un effetto di gravitas austera e maestosa, un'immagine di meditata essenzialità di pensiero. Alla solennità dello stile contribuiscono la patina arcaizzante, la concatenazione delle frasi di tipo paratattico (coordinazione) e l’estrema economia dell'espressione. L'allitterazione frequente dà colore arcaico, ma potenzia anche il senso delle parole. Uno stile arcaizzante, quindi, ma innovatore, perché il suo andamento spezzato è del tutto anticonvenzionale e perché lessico e sintassi contrastano il processo di standardizzazione che stava verificandosi nel linguaggio letterario. Lo stile elaborato nelle due monografie acquisì piena maturità artistica nelle Hìstoriae, e costituì uno dei modelli canonici della successiva storiografia latina.

Le Epistulae e l'lnvectiva

Le opere di Sallustio ottennero un successo immediato e rilevante. I manoscritti tramandano una Invectiva in Ciceronem, considerata autentica da Quintiliano, ma è probabile che sia opera di un retore d’età augustea. Sua evidente replica è l' Invectiva in Sallustium attribuita a Cicerone (un falso preparato in una scuola di retorica). Ugualmente spurie sono le Epistulae ad Caesarem senem de republica. Lo stile è quasi più sallustiano di quello di Sallustio, eccessivamente arcaizzante e la scrittura pare impropria alle forme letterarie del discorso oratorio e dell'epistola. Il contenuto è, ovvio.

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