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Alessandro Manzoni (Opere)

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(Nota: il seguente articolo intende dare conto dell'attività letteraria di Alessandro Manzoni. Il copioso materiale necessita di una adeguata wikificazione)
L'inizio dell'attività letteraria di Alessandro Manzoni viene fatta risalire alla prima decade del XIX secolo, epoca cui risalgono le sue prime opere.

Del corpus letterario di Manzoni si dà qui di seguito conto singolarmente, opera per opera.

Table of contents
1 Opere di Manzoni (1800-1810)
2 Le opere della maturità
2.6 L'ira di Apollo (1818)
2.7 Tragedie (1816-1820)

Opere di Manzoni (1800-1810)

Il trionfo della libertà (1801)

Risente dell'influenza del Monti e del Parini. Di ispirazione giacobina (repubblicana). Rassegna di antichi eroi della libertà e tirannicidi; invettiva contro la superstizione religiosa; trionfo sulla religione e sulla tirannide. Compaiono la libertà, la pace, la guerra, l'uguaglianza, l'amor patrio, in atto di prostrare tirannia e superstizione; l'Austria e raffigurata come un'aquila che si ripara su alti dirupi. L'opera fa mostra di cultura, ma non di poesia e di originalità ed un violento attacco alla Repubblica Cisalpina, corrotta e demagogica, ed un inno alla libertà. Intorno al 1801 scrive un sonetto in cui descrive se stesso; segue un sonetto su Dante. Intorno al 1801, il Manzoni scrive un sonetto in cui descrive se stesso ed un sonetto su Dante.

I sermoni (1802-1804)

= Sono soverchiamente descrittivi e vi abbondano le divagazioni. Sono interessanti per il gusto già evidente del giudizio etico, per il tono austero e per il controllo esercitato sul sentimento, assai diverso dalle passioni sregolate e scomposte di moda tra i romantici del tempo.

Adda (idillio) (1803)

Inneggiante al Monti. Versi eccellenti, ma pedissequamente classici. Parla l'Adda che invita il Monti ad avvicinarsi alle sue sponde. Nell’idillio il Manzoni ricorda il Parini come un'anima indomita ed eternamente giovane.

In morte di Carlo Imbonati (1806)

In tale carme si colgono i primi accenti personali. Fu scritto in occasione della morte del letterato (1753-1805, amico del Beccaria e dal 1792 amante di Giulia Beccaria), con l'intento di far tacere le malelingue che lanciavano velenose allusioni sulla relazione tra l’lmbonati e la Beccaria e sul fatto che questa ne fosse l'erede, non contestata da quelli naturali. Il carme volto ad esaltare i meriti dell'uomo e si svolge in forma di visione, nella seconda parte (la migliore) si parla austeramente della poesia e dei costumi corrotti e si dettano i canoni di un perfetto ideale dì vita. In questi versi si avverte un classicismo non pi di maniera, bensì spontaneo e vivo. Vi sono inoltre una inconsueta veemenza del sentimento, del tutto insolita nel Manzoni, ed un'esaltazione dell’ideale di verità e giustizia che costituì poi una costante caratteristica dello scrittore.

(Nota: L’Imbonati, ammiratore dell’Alfieri, discepolo ed amico del Parini, tracciò per il Manzoni un programma di vita e d’arte: una vita che abbia come scopo la virt e la lotta contro perversi ed un’arte sincera e schietta, espressione di tale condotta di vita)

Urania (1809)

Nonostante la consuetudine con il Fauriel, Manzoni scrisse ancora Urania, imitando il Monti. I versi sono ancora intrisi di riferimenti mitologici e classici. Il poemetto fu elogiato dal Foscolo e dal Monti, ma fu aspramente criticato dal Fauriel e pi tardi dallo stesso Manzoni che poco dopo sconfessò l’opera, dichiarando che non avrebbe mai pi scritto versi simili.

Le opere della maturità

L'ira di Apollo (1818)

Manzoni si staccò definitivamente con questa canzone satirica dal classicismo. L’ode-parodia, si distingue per l’arguzia del Manzoni.

Nel 1818, il Manzoni aveva già scritto tre Inni Sacri e progettato il Carmagnola e la Pentecoste, attuando il suo programma di ripudio del convenzionalismo mitologico e, parimenti, si staccò dal romanticismo, come da un “convenzionalismo alla rovescia”. Nel 1816, Berchet aveva scritto la “Lettera semiseria” scatenando la polemica tra romantici e classicisti.


(da wikificare ulteriormente)

Inni sacri (1812–1822)

I dodici inni , concepiti nel fervore della fede ritrovata, dovevano celebrare le maggiori festività della Chiesa Cattolica, alcuni però non furono realizzati e quello dedicato ad Ognissanti restò incompiuto. Il Manzoni non si limitava alla mera osservanza religiosa, ma era fermamente convinto che i principi della morale cattolica fossero universali e quindi avessero applicazione sociale oltre che religiosa, trapassando quindi dal dogma alla morale sociale, cercò di ricondurre alla religione i sentimenti umani, perché potessero essere compresi anche dalle anime pi semplici rendendo così comprensibili i pi astrusi misteri teologici ( romanticismo didascalico).

In realtà gli Inni a causa dell'altezza dei concetti e della raffinata bellezza delle immagini non poterono mai divenire poesia popolare.

Osservazioni sulla morale cattolica (1819)

È la confutazione dell'opera del Sismondi, il quale nella sua Storia delle repubbliche italiane sosteneva che gli italiani, pur praticanti, non osservavano i doveri imposti dal Cristianesimo a causa della falsa istruzione che ricevevano dal clero. Le risposte del Manzoni tendono a sottolineare l'importanza della fede e della morale evangelica, considerate in assoluto piuttosto che ad esaminare la posizione della Chiesa come istituzione storica, come invece la considerava il Sismondi, il quale rilevava i limiti dottrinali del Cattolicesimo e criticava l'atteggiamento conservatore del Papato. La filosofia morale deve coincidere con la morale teologica, che l’insegnamento stesso del Cristo. Le istituzioni religiose non sono responsabili della corruzione e dei mali presenti nei secoli di decadenza.

Liriche politiche (1821)

Sono Cinque: Marzo 1821, Proclama di Rimini, 5 Maggio ed i due cori delle tragedie, ai quali si può aggiungere il coro sentimentale-religioso di Ermengarda.

Proclama di Rimini

(30/03/1815 - Murat, cognato di Napoleone e re di Napoli dal 1808, incitò gli italiani a lottare contro l'Austria per l'indipendenza. Sconfitto perse Napoli, fu arrestato e fucilato. Sul trono dì Napoli salì Ferdinando I con il titolo di Re delle due Sicilie). Tale lirica, ispirata dal tentativo di Murat di unificare l'Italia, restò incompiuta a causa dell'evolversi degli avvenimenti. Fu pubblicata nel 1848, unitamente a Marzo 1821, in occasione delle cinque giornate di Milano.

Marzo 1821
L’ode dedicata a Teodoro Koerner, poeta/soldato morto combattendo, in difesa dell'indipendenza tedesca, contro le armate napoleoniche. Con tale dedica il Manzoni Intese rendere omaggio al sentimento nazionale di quel popolo e parimenti riaffermare il diritto ed il dovere di ogni popolo all’autodeterminazione. Il principio di nazionalità affermato con equanimità e abbraccia ogni popolo e ogni epoca divenendo principio religioso: Dio, che condannò gli oppressori, ascolta con benevolenza i lamenti degli oppressi; opportuno ricordare che, nel Manzoni, la pietà per gli oppressi non tanto amore romantico per le vittime, quanto amore cristiano verso gli umili ed i deboli ed aspirazione ad una verità ed una giustizia superiori. Manzoni vuole lasciare nettamente separata la realtà storica dalla fantasia e dal giudizio dell’autore (Foscolo giustamente osserva che, per quanto lo scrittore si sforzi di essere obiettivo, raramente vi riesce del tutto).

L'ode fu composta nei giorni dell'insurrezione piemontese; fallito il moto fu pubblicato, insieme al Proclama di Rimini, nel 1848 in occasione delle 5 giornate di Milano (nel marzo 1621, in Piemonte, scoppiò un moto insurrezionale carbonaro guidato da Santorre dì Santarosa; Vittorio Emanuele I abdicò in favore dì Carlo Felice in assenza del quale nominò reggente il nipote Carlo Alberto dei Savoia-Carignano, che concesse la Costituzione ben presto revocata da Carlo Felice. Un corpo di spedizione austriaco passò il Ticino il 22/03 reprimendo i moti e sconfiggendo il Santarosa a Novara. Carlo Felice restaurò l'assolutismo, Santarosa andò in esilio. Nel Lombardo-Veneto vennero arrestati molti patrioti tra i quali il Confalonieri). Manzoni proclamò l'ineluttabilità della giustizia umana che si realizza quando ogni popolo libero nei suoi confini naturali in quelli cio che gli sono stati assegnati da Dio stesso, pertanto la causa italiana benedetta da Dio. Sulla sponda del Ticino che segna l'iniquo confine tra genti della stessa patria, gli italiani attendono fiduciosi. La figura di un mendico esprime la condizione servile dell’Italia che freme nell'attesa.

Cinque Maggio
I primi inni passarono inosservati e la fama arrise finalmente al Manzoni con questo che venne subito tradotto da Goethe. Il Manzoni non ebbe simpatia per Napoleone, ma ne riconobbe la grandezza di conquistatore e le doti politiche e senti il bisogno di commemorarlo alla sua morte. Nell'ode la vita del condottiero rapidamente sintetizzata in magistrali scorci i quali però, pur essendo incisivi, non costituiscono il nucleo della lirica che di ispirazione essenzialmente religiosa: il protagonista non il grande Corso, ma Dio, che ha voluto imprimere in Napoleone un pi vasto segno del suo spirito creatore. La storia strumento della Provvidenza e l'uomo non può, né deve, giudicare. Napoleone fu grande come generale vittorioso, ma la gloria e la vittoria non lo salvarono dal dolore ed egli da oppressore divenne oppresso e solo umiliandosi davanti a Dio ha trovato la consolazione. Il volgere delle vicende terrene ha fatto dì Napoleone un vinto che perciò sarà degno della pace celeste (vedi Adelchi ed Ermengarda). La rapidità dell’ascesa dell'astro napoleonico ed il suo altrettanto repentino declino, sono espressi con un crescendo/decrescendo dì tono incalzante e l'opera di Napoleone vista come rigeneratrice dei valori umani (“Ei si nomò: due secoli, l'un contro l’altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; Ei fé silenzio, ed arbitro s'assise in mezzo a lor) al vuoto e alla desolazione calati dopo il trionfo ed il potere assoluto, subentrano la preghiera e la fede. L’ultima parte, abbastanza forzata, anche se sincera un inno alla fede cristiana trionfante. Dallo splendore della gloria, dallo sgomento della catastrofe, l'uomo giunge dinanzi alla verità essenziale: la legge divina e la fede.

Cori delle tragedie
1819 – coro del Conte di Carmagnola (atto II: S’ode a destra uno squillo di tromba…)
Il coro condanna le guerre intestine e la secolare frammentazione dell'Italia, in un’epoca nella quale agli italiani era possibile dolersi della propria condizione solo mediante finzioni poetiche e riferimenti a fatti remoti.

Il coro ha inizio nel momento in cui veneziani e milanesi si fronteggiano prima di attaccare battaglia. Sono tutti italiani che combattono senza ideali al comando di capitani di ventura; così la rappresentazione di una battaglia e la meditazione sulle discordie nazionali si mutano in inno religioso poiché Dio punisce chi opprime i deboli e tutti gli uomini sono fratelli in Dio. Pur non essendo questa una delle migliori realizzazioni del Manzoni sono sinceramente sentiti i motivi del disaccordo e della divisione degli italiani e quello delle lotte fratricide.

1822 - 1° coro dell’Adelchi (atto III: Dagli atrii muscosi...)
L'ispirazione fondamentale espressa palesemente negli ultimi versi ed l’amara contemplazione della vanità delle illusioni e la sconsolata considerazione delle inderogabili leggi della storia. Gli italiani, che vedono combattere sui loro campi insanguinati i Longobardi e i Franchi, saranno schiavi finché non sapranno riscattare la loro terra versando uniti e consapevoli il loro sangue; chiara allusione questa ai contemporanei del Manzoni, che avevano sopportato le invasioni dei rivoluzionari francesi e dei reazionari austriaci. Si tratta dunque di meditazioni sui fatti nazionali contemporanei, ma il coro non solamente ciò: la poesia si espande fino a divenire da nazionale a universale e religiosa (Marzo 1821) Nel coro appare un’epoca travagliata dalle guerre, ma il poeta non parteggia né per l'una né per l'altra delle parti in causa poiché vincitori e vinti sono accomunanti nella pietà cristiana. Accanto alla pacata riflessione, al sentimento cristiano, emerge la forza rappresentativa in una vigorosa serie di quadri che fanno del primo coro dell'Adelchi una tra le migliori e pi conosciute pagine del Manzoni.

Il poeta esordisce rappresentando gli italiani oppressi, poi l’angoscia dei Longobardi sconfitti ed infine i Franchi vincitori e tutti, oppressi, vinti e vincitori sono accomunanti dalla stessa tristezza e rimpianto per ciò che hanno perduto. I versi dolenti ,nei quali il furore della battaglia si placa in una pace ingiusta, tra spoliazioni ed oppressioni, si chiudono con un accento desolato nel quale il cristiano Manzoni non vede l'orizzonte rischiarato dalla luce i Dio.

1822 – 2° Coro dell’Adelchi (atto IV - Coro di Ermengarda: sparse le trecce morbide…)
In questo coro l'arte del Manzoni assurge ai massimi livelli. Ermengarda tra le figure pi vere e palpitanti della lirica di ogni tempo e una delle pi belle del romanticismo europeo Amore e verecondia, sofferenza e preghiera permeano la su complessa figura di Ermengarda. ma non la riassumono completamente poiché altri elementi vi si accompagnano: la "Provvida Sventura", che la accomuna al fratello Adelchi ed al Napoleone del cinque maggio, il ricordo della vita di corte, il canto delle suore, l'ombra delle rimembranze. intorno ad Ermengarda morente, Manzoni ricrea un mondo storicamente determinato, ma reso quasi fiabesco dallo specchio dei ricordi. Sulle immagini che evocano alla mente della sventurata un tempo ormai irrimediabilmente perduto domina la "Provvida Sventura" che ha collocato fra gli oppressi la figlia di un oppressore. Nell’umiliazione e nella sventura Ermengarda riscatta il passato della propria stirpe e scende nella tomba serena ( la calma conferita dalla presenza dì Dio), pacificata e compianta. La mente divina contempla la vita travagliata della dolente regina ripudiata da Carlo, la giudica innocente e ne conforta l’angoscia. L'indimenticabile figura dell'infelice regina resta, insieme alla sventurata Didone, il simbolo delle tante donne per le quali l'amore fu morte. Ben diverso , però, il loro trapasso: cristianamente placido quello di Ermengarda, tragicamente furente quello della pagana Didone. Nonostante ciò le due regine sono accomunate dalla lacerante pena dell'amore tradito, dal rimpianto della perduta felicità, dalla sventura che si abbatte su dì loro, improvvide, proprio per mano dì coloro nei quali avevano riposto ogni speranza e che, senza remore, le tradiscono, non esitando a sacrificarle alla politica, nella crudele ottica del loro futuro di dominatori.

Il coro di Ermengarda racchiude e fonde la passione della patria, l'amore, la fede. La regina, discendente di una stirpe di oppressori, ha subito la sorte degli oppressi. Ripudiata da Carlo inutilmente lo rimpiange e, nell'ora suprema, le memorie di un tempo felice si affollano nella desolata mente della regina e colmano penosamente la sua anima esulcerata, mentre le pie suore vegliano il suo martirio. Eppure la morte,che, per chi e stato felice, travaglio ed orrore, porta pace e dolcezza alla misera regina per la quale rappresenta la fine della sofferenza e la pace dell'anima accolta dal Signore.

Tragedie (1816-1820)

Nel teatro il Manzoni rinnovò le forme letterarie. Fino ad allora la forma del teatro era rimasta alfieriana (ossia di stampo classico ossequiente alle regole aristoteliche e strumento educativo, con un appiattimento dei caratteri in tipi) anche se la sostanza drammatica risultava sempre pi spesso influenzata dallo spirito romantico (strumento didascalico). Shakespeare e Goldoni, poi Schiller e Goethe, avevano dimostrato che tutta la vita poteva divenire teatro.

Manzoni, conformemente al principio fondamentale della sua poetica che ricerca l'adesione alla realtà della vita, al “vero”, manifestò l'esigenza di un'arte realistica affermando che il vero storico deve limitare la creazione fantastica. Nel Carmagnola tale stacco tra storia e fantasia particolarmente netto, tanto che egli distingue, presentando i personaggi tra quelli storici e quelli ideali.

Lettre à monsieur Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragedie (1820)
Nel marzo del 1820 apparve sulla rivista Lycée Français una recensione sfavorevole alla tragedia Il conte di Carmagnola, firmata da Victor Chauvet, scrittore e critico assai noto nel mondo letterario francese della restaurazione. Costui aveva vissuto molto tempo in Italia e ne conosceva assai bene la lingua (era stato profugo in Italia nel periodo della rivoluzione francese). Sostenitore della tradizione classica, Chauvet non condivideva le idee sul teatro tragico (già Goldoni,anche se soltanto nell’ambito della commedia, aveva infranto tali regole ne La trilogia della villeggiatura del 1761, ma il teatro tragico era ancora immune da tale tendenza). Manzoni lesse la recensione e ne discusse con l'amico Fauriel che lo incoraggiò a scrivere un articolo di risposta, nacque così la “Lettre” di confutazione che può essere considerata un vero e proprio manifesto di poetica letteraria. Il Manzoni affronta l'annosa questione relativa alle tre unità aristoteliche del cui mancato rispetto lo accusava lo Chauvet e discute il rapporto tra storia e poesia. Manzoni nega la validità delle tre unità difendendo il sistema tragico del romanticismo e, alle regole della retorica tradizionale, oppone la regola del "vero" che in sé comprende la realtà dei fatti e dei sentimenti, vale a dire il principio storico e quello etico. Unità di azione non la rappresentazione di un fatto isolato, ma di un susseguirsi di avvenimenti collegati fra loro che lo storico interpreta secondo i rapporti di causa - effetto mentre il poeta tende ad un'unità pi profonda, isolando un avvenimento predominante “la catastrofe" che si presenta come il compimento dei disegni degli uomini o della Provvidenza. Di conseguenza spazio e tempo sono definibili solo in base alle vicende. L'esigenza dì chiarire tali questioni spinge il Manzoni a raffrontare il teatro antico greco (Sofocle), quello francese (Racine, Corneille> e quello inglese (Shakespeare). Per il Manzoni far poesia non significa inventare, bensì usare l’immaginazione per scoprire ciò che la storia non ha tramandato, cio le verità nascoste nell’animo umano, che sfuggono agli storici. Compito del poeta , quindi, arricchire e completare la storia, chiarendo ciò che gli uomini hanno sentito, voluto, sofferto partendo dalle loro azioni, ma senza travisarla adattando i fatti ed i sentimenti alle esigenze letterarie (confutazione del teatro alfieriano che piega la storia ai propri fini dimostrativi).

Lettera sul romanticismo a Cesare D’Azeglio (padre di Massimo, genero di Manzoni) (1820)
Fece seguito alla lettera a Monsieur Chauvet nel 1820, ma fu pubblicata pi tardi a Parigi. In essa Manzoni esamina criticamente le nuove teorie e le difende con una formula sintetica che pone per scopo l'utile, per soggetto il "vero” e per mezzo l'interessante. Tale formulazione fu eliminata nella edizione del 1870 delle Opere Varie, dal Manzoni stesso, che la riteneva troppo riduttiva. Lo scrittore intese dare un quadro completo del romanticismo, specie lombardo, e premise che nel nuovo sistema letterario bisogna distinguere due parti: la negativa (nel senso di escludere dai principi) e la positiva. La prima tende ad escludere l'uso della mitologia, l'imitazione servile dei classici, le unità drammatiche aristoteliche, il falso, l’inutile, il dannoso; la seconda, meno determinata, considera il "vero” come solo oggetto delle opere letterarie, origine di diletto nobile e duraturo ed esteso al maggior numero di lettori che quindi non sono alieni dal mondo contemporaneo (prima la letteratura era riservata ad una piccola élite colta con interessi e gusto classico; l'uomo comune ha una cultura meno vasta e quindi apprezza maggiormente fatti noti e perciò contemporanei). Manzoni per primo riconosce quel che di vago presente nel concetto di "vero" poetico che assai diverso dal "vero” del filosofo e dello scienziato. Il “vero" manzoniano , con il reale (vero = possibile o verosimile anche morale; reale = veramente accaduto. es. reale discorso scritto rintracciabile in un documento; vero = possibili commenti a tale discorso), la sorgente non solo del bello, m anche del vero morale, cio del buono; questo il romanticismo del Manzoni: una visione storico-cristiana della vita che, proponendo anche in termini generali il vero, l'utile, il buono, concorre ai fini del cristianesimo (Manzoni quando scrive fa dell’apostolato cristiano non solo teorico, ma anche pratico, perciò, esemplificando il vero comportamento morale compie dell'apostolato cristiano).

Nelle lettere a M. Chauvet e al D’Azeglio

  1. Nega le unità di tempo e di luogo
  2. Difende il sistema tragico romantico come “storico”
  3. Alle regole retoriche oppone quelle del vero (realtà dei fatti = principio storico \\ realtà dei sentimenti = principio etico, nella tragedia alfieriana l’imparzialità storica sacrificata alla tesi).
  4. Principio storico e principio etico producono un principio estetico (verosimiglianza)
  5. Vero e reale sono la base sia estetica, sia etica (verosimiglianza)
  6. La verità non sempre coincide pienamente con quella storica, infatti una pi vasta comprensione del reale implica la focalizzazione dell’esistenza quotidiana in un tempo e luogo determinati (es. I Promessi Sposi nella Lombardia della prima metà del ‘600), invece fatti notevoli e personaggi illustri attraggono l’attenzione dello storico di professione.
  7. Manzoni riconosce l’indeterminatezza del concetto di “vero”, che diverso dal vero filosofico o scientifico. Nella visione storico-cristiana del Manzoni, il vero soprattutto morale, atto ad arricchire ed elevare la mente. Lo scrittore rifiuta, quindi, il concetto dell’arte “per diletto”, che identifica nel “falso” (lettera al D’Azeglio)
  8. Il poeta si distingue dallo storico, che si limita ai fatti, per l’approfondimento e lo sviluppo dei caratteri
  9. Quando il poeta comprende l’unità di azione, individua le unità di tempo e di luogo opportune.
  10. Manzoni confuta la passionalità esasperata delle tragedie romantiche. Al poeta si chiede di essere vero, non eccessivo, favorendo nello spettatore lo svilupparsi della forza morale che sa giudicare e dominare le passioni (nel Manzoni, accanto al sentimento, sempre presente la ragione moderatrice)
  11. Tema della poesia devono essere argomenti che, pur interessando le persone colte, destino interesse anche in un pi vasto pubblico (arte popolare romantica), in quanto pertinenti alla realtà quotidiana (l’autorità dei classici ed i riferimenti mitologici sono facilmente comprensibili solo ad una élite)
  12. Manzoni sente l’arte come “res agenda” e non come “res acta”, secondo il principio romantico della perenne ricerca, evoluzione, svolgimento (lettera al D’Azeglio)
  13. L’arte romantica, proponendo il vero, l’utile, il buono, ilragionevole, concorre al fine del cristianesimo (la sensibilità romantica un vago sentimento del divino, mentre nel Manzoni la Fede l’essenza stesa dell’arte e del romanticismo).
  14. Il romanticismo (specie lombardo) ha
    • una parte negativa, che nega la mitologia, l’imitazione pedissequa dei classici, le unità drammatiche di tempo e luogo, il falso, l’inutile, il dannoso.
    • Una parte positiva la quale afferma che la poesia deve avere per oggetto il vero, l’utile e l’educativo.

Il romanzo per il Manzoni dev'essere:
  1. Interessante quindi non necessariamente storico (anche contemporaneo)
  2. Poter essere letto da chiunque anche dai non eruditi (esclude la mitologia e le pedanterie classiche)
  3. È bello se si attiene al vero (= possibile e verosimile o moralmente vero) e al reale (= fatto storico verificabile)
  4. Si deve inserire nel fatto storico senza alterarlo
  5. Il "vero" ed il reale essendo in armonia producono uno scritto armonioso
  6. Al "bello” dell’opera concorre anche la lingua parlata attuale, ma rispondente a determinati canoni
  7. Il romanzo bello dì interesse generale, non contiene anacronismi, scritto in una lingua accurata (bello estetico)
  8. Il bello estetico deve essere affiancato al bello etico per produrre un’opera valida, deve cio essere opera didascalica che educa al bello morale, cio al bene. Il senso innato della verecondia ha fatto sì che l’amore fosse soltanto adombrato nelle pagine del Manzoni, il quale riteneva che una trattazione pi vasta avrebbe potuto essere dannosa (es. vicenda di Gertrude) ciò, però, non implica da parte dello scrittore alcuna bacchettoneria
  9. Il giudizio morale inscindibile da quello estetico.

Opere teoriche

Dopo la stesura dei Promessi Sposi, il Manzoni sì dedicò ad opere di carattere meditativo e storico. Già precedentemente egli aveva composto le Osservazioni sulla morale cattolica tendenti a dimostrare che quella cattolica la sola morale santa e ragionata in ogni sua parte e che ogni male viene dal trasgredirla, dal non conoscerla o dall’interpretarla erroneamente tanto che non si possono trovare contro di essa argomenti validi. Tra le opere teoriche rientrano: la Lettre à Monsieur Chauvet, manifesto della poetica manzoniana, la Lettera al marchese D’Azeglio che mira a riordinare il pensiero dei romantici milanesi, il Discorso sulla storia longobardica in Italia premessa all'Adelchi, modello di indagine in cui il Manzoni ricerca lo stato generale delle condizioni di quell’umanità che non ebbe parte attiva negli avvenimenti storici, ma che ne subì gli effetti (studio sociologico).

Come si detto, dopo la stesura del romanzo, Manzoni si dedicò agli studi storici e speculativi e pubblicò la Storia della colonna infame. L’opera, originariamente, era una disgressione inserita nel Fermo e Lucia, non compare però nell’edizione del 1827 dei Promessi Sposi, anche se era previsto che ne fosse l’appendice. Completata, dopo varie stesure, comparve nel 1842, come appendice dell’edizione definitiva del romanzo, come integrazione della parte dedicata alla peste e comprende una introduzione che ne spiega il titolo e sette capitoli.

Nel 1845, dopo una lunga gestazione, Manzoni pubblicò il saggio Del romanzo storico e, in genere, de' componimenti misti di storia e dì invenzione. Lo scritto reca un'epigrafe tratta dal De legibus di Cicerone: “capisco, o fratello, che tu pensi che determinate leggi vadano osservate nelle opere storiche, e certe altre nelle opere poetiche”. Il saggio diviso in due parti: nella prima preso in esame il [[romanzo storico], nella seconda l’epopea e la tragedia. I tre "generi" sono condannati perché congiungono la storia e l’invenzione, tanto che il saggio potrebbe essere considerato il manifesto del realismo (= trattare in arte il mondo della realtà, delle cose, degli esseri, come sono in sé senza le alterazioni apportatevi dall'astrazione e dalla fantasia). Stranamente questo discorso, che, di fatto, nega la possibilità del romanzo storico, fu concepito contemporaneamente alla stesura dei Promessi Sposi.

Il Manzoni in pratica risolse la questione, poiché, mentre razionalmente voleva coincidenti l'opera storica e quella politica, in realtà realizzò un’opera poetica.

Saggio sulla rivoluzione francese del 1789 e La rivoluzione italiana del 1859
Nei saggi tentò di individuare i motivi del degenerare della rivoluzione francese e di illustrare la moderazione di quella italiana. In realtà le ragioni morali nuocciono alla serenità storica, l'indagine trascura i rapporti tra Stato e cittadino, mentre si volge a considerare la sorte degli individui e la legittimità morale e giuridica delle loro azioni.

Dialogo dell’Invenzione
L’amicizia tra Manzoni e Rosmini (1797-1855) cominciata nel '26 e continuata fino alla morte del filosofo, ebbe come conseguenza il Dialogo dell'invenzione nel quale lo scrittore si chiede se l'artista crea o se semplicemente ritrova e riconosce idee preesistenti. Dopo il 1827 Manzoni procedette ad una revisione soprattutto linguistica del suo romanzo e volse il suo interesse alle questioni linguistiche. Nell'introduzione al Fermo e Lucia, aveva discusso di tale questione che però fu trattata, in modo pi approfondito, negli scritti posteriori al 1840.

Lettera al Carena sulla lingua italiana (1845); relazione al ministero della pubblica istruzione : Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla (1868); Lettera intorno al libro “de vulgari eloquentia” di Dante Alighieri (1868); Lettera intorno al vocabolario (1869); Appendice alla relazione (1869); Lettera al marchese Della valle Di Casanova (1871) A proposito d un saggio. Restò incompiuta l’opera Della lingua italiana scritto da questi, intorno alla lingua del romanzo nella quale Manzoni intendeva analizzare analiticamente il problema dell'unità linguistica.

Manzoni parte dalla constatazione dell’esistenza, in Italia, una lingua letteraria, ma non di una lingua parlata idonea alle relazioni quotidiane. Fino alla stesura del Fermo e Lucia egli mira ad una lingua eclettica, che scelga il meglio delle differenti parlate italiane, ma già nel 1825, la sua attenzione si ferma su quella toscana, come elemento fondamentale sia della lingua scritta che di quella parlata. Il viaggio del '27 in Toscana lo confermò in tale convinzione e, nel 1829, scrisse che il vocabolario deve conformarsi alla lingua toscana; dopo qualche anno restrinse il canone di scelta, scegliendo il dialetto fiorentino, tesi non sempre valida e che il Manzoni stesso contraddisse nella pratica nel suo romanzo.


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