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Cecilio Stazio

Cecilio Stazio (230 AC – 168 AC).

Come Livio Andronico e Terenzio, Cecilio Stazio era un libero d'origine straniera, era, forse, originario di Milano, era perciò un Gallo Insubre, è probabilmente giunse a Roma dopo la battaglia di Clastidium del 222 AC. La data di nascita potrebbe essere tra il 230 AC e il 220 AC, l'attività letteraria colloca Stazio come contemporaneo, prima di Plauto e poi di Ennio, del quale fu amico intimo; morì un anno dopo di lui, nel 168 AC.

Come Terenzio, Stazio fu strettamente legato all'influente attore ed impresario teatrale, Ambivio Turpione. Di Stazio restano una quarantina di titoli, tutti di commedie palliate (commedia di ambiente greco), e frammenti per quasi trecento versi. La commedia meglio conosciuta è il Plocium (La collana). I titoli hanno sia forme greche (Gamos, le nozze), sia latine (Epistola, La lettera) e anche forme doppie (Obolostàtes/Faenerator, Lo strozzino).

Informazioni biografiche ci vengono dal Chronicon di San Girolamo e risalgono al De poetis di Varrone. Stazio è stato letto e apprezzato in età repubblicana e imperiale almeno fino al II secolo. Cecilio Stazio negli attuali manuali di storia letteraria, compare come un minore, a causa della perdita dei suoi testi, ma intellettuali quali Varrone, Cicerone e Orazio valutarono Stazio un autore di primo piano, non inferiore a Plauto o a Terenzio.

Orazio lo elogia per la serietà dei sentimenti e Varrone approva i suoi intrecci. Solo sulla purezza del suo uso latino permane, in Cicerone, qualche riserva. Gran parte dei frammenti rimasti si iscrive perfettamente nell'ambito del teatro plautino: grande ricchezza di metri, vivace fantasia comica, gusto per il farsesco. Rispetto a Plauto, però, Stazio sembra più vincolato al modello della Commedia Nuova ateniese. I titoli che restano sono riproduzioni molto fedeli, a volte letterali dei titoli degli originali greci (Plocium dal Plòkion di Menandro), inoltre, è assente dai titoli la figura dello schiavo, mentre in Plauto la passione per questo personaggio dominava anche i titoli (Pseudolus). Stazio sembra avere una predilezione per Menandro, infatti, per quasi metà dei titoli attestati, si può proporre una derivazione menandrea.

L'interesse per Menandro e la maggiore adesione al modello greco testimoniano la fase più dotta ed ellenizzante della cultura romana ed accostano Stazio a Terenzio staccandolo da Plauto. Non sembra, però, che Stazio anticipasse aspetti fondamentali tipici della nuova maniera terenziana, quali la rinuncia a certe varietà metriche, la riduzione degli effetti farseschi e sboccati, l'approfondimento psicologico. Del resto, Terenzio rimase un isolato nella tradizione della palliata.

Gellio, nelle Noctes Atticae istituisce un puntuale confronto tra un passo del Plocium e uno corrispondente del modello seguito da Stazio, il Plòkion menandreo. Prima della recente scoperta di un papiro del Dis exapatòn di Menandro confrontabile con passi delle Bacchides di Plauto, il Plocium costituiva l’unica occasione di confrontare un brano abbastanza esteso di palliata con il relativo modello greco. Risulta evidente quanto libero sia il rifacimento che i Romani chiamavano "vertere". Le innovazioni portate da Stazio rispetto alla sua fonte, rivelano una poetica comica autonoma. In Menandro abbiamo un marito che si lamenta: la moglie bisbetica ha cacciato di casa la giovane ancella che le dava ombra. Nello sviluppo di Stazio questo è solo un canovaccio, egli inserisce, secondo il suo gusto caratteristico, una massima di carattere generale in apertura, poi approfondisce il motivo della "schiavitù" dell’uomo sposato e mostra la frustrazione del marito, facendo sì che questi immagini una scena di donne pettegole, in cui la vecchia e brutta moglie si vanta del suo trionfo. Il tranquillo monologo menandreo è stato convertito in un'aria farsesca, in un canticum. Stazio non esitava ad inserire nei misurati copioni menandrei anche lazzi e battutacce e, come Plauto, Stazio tende a reinventare le storie dei modelli.


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