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De bello gallico

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I Commentarii De bello gallico, articolati in otto libri, uno per ogni anno della guerra condotta da Cesare contro i Galli, sono stati redatti (tranne l'ultimo, scritto pare da Irzio) dallo stesso Cesare come diario di guerra e con intento apologetico della propria condotta, osteggiata a Roma da molta parte del Senato.
L'ambizione e le capacità politiche di Cesare erano infatti eccezionali, e assai temute da una corporazione politica indebolita dal volgere degli eventi e da mali di sempre: corruzione, interesse personale nell'attività pubblica e vendette di clan.

L'azione si svolge a partire dall'anno in cui Cesare, governatore delle Gallie e dell'Illirico, si trova a dover fronteggiare la decisione presa dalle quattro principali tribù Elvetiche, dimoranti in regioni nell'odierna Svizzera, di divenire nomadi a causa di difficoltà contingenti. Cesare contrasta tale iniziativa per proteggere dai saccheggi la Provenza, già dominata da Roma, e le popolazioni vicine, indipendenti ma alleate di Roma. Tuttavia il problema posto dagli Elvezi è solo la punta di un iceberg : dal Nord-Est, alle due rive del Reno, le incursioni dei popoli Germani rendono inquieta la vita delle popolazioni stanziali nella Gallia Transalpina.
Dalla lontana Britannia (l'odierna Inghilterra, sulle cui coste i Romani fino a quel tempo non erano mai sbarcati se non forse per sporadici contatti commerciali) giungono rinforzi alle tribù ostili a Roma. Ben presto la guerra dilaga in focolai che costringono il governatore a spostare di continuo il campo di battaglia e a farsi prorogare il mandato. Cosa questa che in verità non gli dispiace affatto, dato che la guerra era, allora come oggi, un'opportunità per il vincitore finale, e Cesare non manca certo né di fiducia in se stesso né di coraggio, e tanto meno di curiosità sufficiente a fargli sperimentare nuovi sistemi di battaglia, a parlamentare con il capo dei temuti e sconosciuti Germani, a raccogliere informazioni geografiche ed etnografiche sui territori che deve affrontare, fino a sbarcare con un esercito nella sconosciuta Inghilterra.

Il fantasma della guerra alle porte di Roma, con il quale l'aristocrazia romana aveva giocato fin dai tempi della prima Repubblica (si vedano gli scritti di Livio a proposito delle chiamate alle armi nelle guerre contro gli Equi) viene ora usato da Cesare contro l'aristocrazia stessa. In molte pagine dei Commentarii si riesce ad intuire un certo tono di divertimento, nel condurre il gioco intellettuale del ricatto contro gli uomini del Senato che da Roma potrebbero stroncarlo ma non riescono neppure a contrastarne le decisioni con una semplice revoca del mandato, contro i falsi amici che lo hanno seguito per metitarne la benevolenza senza avere il coraggio di seguirlo fino in fondo nelle sue decisioni. Si avverte la tensione vibrante dei momenti decisionali, resa tollerabile dall'atteggiamento razionale, di chi vuol conoscere il nemico, la sua personalità, i suoi mezzi tecnici, le sue abitudini e i punti di forza per evitare passi falsi. La fortuna e l'organizzazione ponderosa dell'esercito romano fanno il resto, e alla fine della lunga campagna la Gallia è completamente sottomessa a Roma.
Dopo la battaglia di Alesia la resistenza dei Galli Transalpini è ridotta a disperati focolai di rivolta che vengono soffocati con una durezza ignota alle precedenti fasi belliche. La battaglia di Alesia è per secoli rimasta una pagina di strategia militare esemplare per il modo con cui venne condotto l'assedio, per la sorprendente opera di fortificazione fatta eseguire attorno alla città sacra della Gallia indipendente da Roma.


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