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Georgiche (Virgilio)

Georgiche

Nel 38 AC le Bucoliche erano completate e Virgilio aveva un nuovo influente protettore: Mecenate. In quell'anno, Orazio entrò a far parte della cerchia di Mecenate e vi trovò già insediato Virgilio. Mecenate non chiedeva ai giovani letterati di talento nessuna partecipazione diretta al programma di Ottaviano, ma la sua influenza è evidente nelle nuove opere poetiche: gli Epodi di
Orazio, le Georgiche di Virgilio.

La composizione delle Georgiche si protrasse per quasi dieci anni. Nel 29 AC, il poema fu recitato al principe che tornava dalle campagne contro Antonio e Cleopatra. Le Georgiche presuppongono una revisione accurata ed una straordinaria ricchezza di letture: poesia greca (Omero, i grandi tragici, gli Alessandrini) e romana (Lucrezio, Catullo), ma anche fonti tecniche in prosa e trattati filosofici. Il lungo processo compositivo è svelato anche dalle allusioni storiche disseminate nell'opera. Il finale del primo libro evoca un'Italia in preda alle guerre civili, in cui l'ascesa di Ottaviano è solo una speranza insidiata da molti pericoli, tale scenario è relativo agli anni intorno al 36 AC, quando il potere di Ottaviano non era ancora consolidato ed erano recenti le devastazioni della guerra civile. In altri punti il poema mostra il principe trionfatore ed il mondo pacificato.

La data di pubblicazione del poema coincise con il trionfo di Ottaviano, secondo la tradizione, Virgilio avrebbe alterato il testo del poema, sostituendo la parte attinente a Gallo, con l'epillio (breve poemetto di argomento mitologico o epico) di Aristeo o con la sola vicenda di Orfeo ed Euridice, a causa del suicidio dell'amico Cornelio Gallo, caduto in disgrazia presso Augusto nel 26 AC, però se l'opera cominciò a circolare nel 29 AC, è strano che i versi siano scomparsi senza lasciare traccia. Comunque, la "digressione" narrativa su Aristeo, in qualsiasi momento sia stata scritta, non ha nulla di posticcio o di improvvisato e robusti fili la collegano alla trama dell'opera ed alla strutturazione didascalica del contesto.

Le Georgiche sono un poema didascalico. Col titolo Georgica, come già per le Bucoliche, Virgilio si ricollega alla poesia didascalica greca ellenistica. Si tratta di opere del III – II secolo AC, che contengono un messaggio di insegnamento o di informazione, ma tale insegnamento è estremamente specializzato. Spesso i poeti ellenistici usavano come falsariga i trattati scientifici in prosa (veicolo ufficiale dell'informazione e della manualistica) e non pretendevano di insegnare ad un destinatario, più o meno ideale, infatti, allo sforzo di argomentare e convincere erano subentrate ormai la passione di descrivere e la raffinatezza della ricerca formale.

Le Georgiche sono ben altro che la "messa in poesia epica" di trattazioni tecniche. La tradizione della poesia didascalica era stata rinnovata, in ambito romano, da Lucrezio. Che aveva ritrovato il filone della grande poesia didascalica, veicolo di un messaggio individuale rivolto ad una larga comunità, volto alla trasformazione della vita ed alla rifondazione della saggezza. Più alessandrino e neoterico di Lucrezio, Virgilio si sentiva, però, più vicino a Lucrezio che agli alessandrini. Certamente non gli è estraneo il gusto delle cose tenui, lo sforzo per trasformare in poesia dettagli fisici e realtà minute, in apparenza refrattarie alla poesia. Virgilio acuisce la percezione e rielabora in poesia realtà in apparenza trascurabili. La saggezza del contadino, che media la fatica del lavoro e la spontanea generosità della terra, conduce ad una forma d'autosufficienza, materiale e spirituale che risponde all'incombere della crisi sociale e culturale della Repubblica Romana, proprio come il saggio lucreziano si libera insieme dalle paure superstiziose e dalla pressione della storia, ma vi sono anche delle nette differenze.

Lo spazio georgico di Virgilio accoglie largamente la religiosità tradizionale, ancorata al ritmo della vita quotidiana. Lucrezio guarda alle cause naturali come retroscena della cultura umana; Virgilio invece sembra appigliarsi a tutto ciò che incivilisce e umanizza la natura. Ottaviano si profila come l'unico che può salvare il mondo incivilito dalla decadenza e dalla guerra civile (crisi prima di Azio). Altrove, egli appare come trionfatore e portatore di pace (trionfo di Ottaviano nel 29 AC). Cesare Augusto respinge i popoli orientali, il principe assicura le condizioni di sicurezza e prosperità entro cui il mondo dei contadini può ritrovare la sua continuità di vita. Per questo tipo di cornice ideologica, le Georgiche si possono considerare il primo vero documento della letteratura latina nell'età del principato.

Il primo proemio ne è un chiaro esempio: vi compare, con netta frattura verso la tradizione politica romana, la figura del principe quale sovrano divinizzato, secondo la tradizione ellenistica. Augusto, ed il suo consigliere Mecenate, sono accolti nell'opera, non solo come illustri dedicatari, ma anche come veri e propri ispiratori. Il ruolo di destinatario della comunicazione didattica è assegnato invece alla figura collettiva dell'agricola. Dietro a questo destinatario si profila invece il destinatario reale dell'opera: un pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi. Rivolto formalmente alla vita dei campi, il poema finisce per affrontare di scorcio anche i problemi della vita urbana e i più generali problemi del vivere. Le Georgiche non aderiscono ad un "programma augusteo" di risanamento del mondo agricolo: se mai un tale programma fu concepito in quegli anni, non ha lasciato impronta di sé nella storia economica; per di più, l'immagine dell'economia rurale che traspare dal poema è idealizzata ed inadeguata alla realtà dell'epoca.

L'eroe del poema è il piccolo proprietario agricolo, il coltivatore diretto: Virgilio fa solo brevi cenni alla realtà: l'estensione del latifondo, lo spopolamento delle campagne, le assegnazioni di terre ai veterani, il trasferimento di certe produzioni agricole dall'Italia alle province e non accenna mai al lavoro degli schiavi, vero cardine dell'economia agricola. L'idealizzazione del colonus ha, evidentemente, un puro significato morale. Più facile è cogliere precise convergenze tra Virgilio e la propaganda ideologica augustea: l'esaltazione delle tradizioni dell'Italia contadina e guerriera ha come sfondo il clima della guerra contro Antonio che Ottaviano presentava come uno scontro fra Occidente e Oriente, sostenuto dalla spontanea concordia dell'Italia che riconosceva in Ottaviano la propria guida. Tuttavia, non va trascurata l'autonomia con cui Virgilio rielabora questo patrimonio di idee.

I temi dei quattro libri sono, il lavoro dei campi, l’arboricoltura, l'allevamento del bestiame, l’apicoltura, attività fondamentali del contadino. L'ordine in cui questi lavori sono collocati nel testo fa sì che l'apporto della fatica umana divenga sempre meno accentuato, e la natura, vista in funzione dell'uomo sia sempre più in primo piano. È evidente la lezione di Lucrezio anche nell'articolazione dell'opera, che è impostata su una serie di libri dotati di autonomia tematica, ciascuno introdotto da un proemio e dotato di sezioni digressive. I libri sono collegati da un piano complessivo. Rispetto a Lucrezio però, Virgilio tende a indebolire i vincoli logici del pensiero, i forti nessi argomentativi, i collegamenti fra un tema e l'altro, mentre l'architettura formale del poema è più regolata e simmetrica. Nasce una nuova struttura poetica, nella quale il discorso fluisce naturale, nascondendo i passaggi logici, muovendo per associazioni di idee o contrapposizioni. L'architettura dell'opera è evidente nelle simmetrie. Ogni libro delle Georgiche è dotato di una "digressione" conclusiva, di estensione piuttosto regolare: le guerre civili, la lode della vita agreste, la peste degli animali nel Norico, la leggenda di Aristeo e delle sue api.

I proemi hanno valore cerniera: due sono lunghi, ed esorbitanti rispetto al tema dei singoli libri e due sono brevi e strettamente introduttivi. Il I libro ed il III sono accoppiati, anche nelle grandi digressioni finali: le guerre civili e la pestilenza degli animali (ha per modello la peste di Atene descritta da Tucidide): agli orrori della storia corrispondono i disastri della natura. Rispetto a questi finali tragici è rasserenante l'effetto delle altre digressioni: la vita campestre si oppone alla minaccia della guerra e la rinascita delle api replica allo sterminio della pestilenza. La fatica dell'uomo è una necessità, ma l'ideale del contadino si richiama al mito dell'età dell'oro quando il lavoro non era necessario perché la Natura rispondeva da sola ai bisogni. La vita semplice e laboriosa del contadino italico ha portato alla grandezza di Roma, ma la Città à anche vista come luogo di degenerazioni e di conflitti, polo opposto all'ideale georgico. La digressione finale del IV libro ha, a differenza delle altre, carattere narrativo. È introdotta come "origine", e spiegazione di un fatto stupefacente, la bugonia. (Le fonti naturalistiche antiche parlano spesso delle api, che possono nascere dalla corruzione di una carcassa bovina).

Virgilio ne racconta la storia: il mitico civilizzatore Aristeo ha perso le sue api per un'epidemia. Con l'aiuto della madre, la ninfa Cirene, scopre l'origine del morbo: senza volerlo egli aveva causato la morte di Euridice e l’infelicità del suo sposo Orfeo (Aristeo, invaghitosi di Euridice l'ha inseguita e la donna è stata morsa da un serpente). Un veggente racconta ad Aristeo la triste storia del poeta: sceso all'Ade, con la forza del suo canto aveva ottenuto di riportare in vita la moglie, ma, per un fatale errore, l'aveva di nuovo, e per sempre, perduta. Segue la sconsolata morte del poeta Orfeo. Dal racconto Aristeo trae un insegnamento prezioso, con un sacrificio di buoi placa la maledizione e dalle vittime del sacrificio si sviluppano nuove api. L'eroe contadino Aristeo riesce, seguendo i consigli divini, a rigenerare il suo sciame, ma da un suo gesto sprovveduto è derivata la morte di Euridice.

Virgilio ha collegato due miti abbastanza diversi fra loro disponendoli in una struttura a cornice secondo la tradizione della poesia alessandrina e neoterica dei racconti a incastro. L'esempio più vistoso, è il carme 64 di Catullo (un epillio sulle nozze di Peleo e Teti, nel quale è incastonata la vicenda di Arianna abbandonata da Teseo). I due racconti non sono semplicemente collegati, ma si richiamano a vicenda, grazie ad abili parallelismi narrativi. Il contadino Aristeo e il poeta Orfeo affrontano entrambi una serie di peripezie: il primo è calato entro un fiume, il secondo scende nell'Oltretomba e lottano entrambi contro la morte. I due racconti sono paralleli nello svolgimento ma opposti nelle conclusioni: fallisce l'impresa di Orfeo, che non rispetta una imposizione divina, ha successo la missione di Aristeo, che obbedisce scrupolosamente. Tutta la costruzione narrativa è, a sua volta, chiusa nell'impianto del poema didascalico. Alcuni temi fondamentali del poema non hanno veste didattica, bensì narrativa. Orfeo simboleggia le grandi possibilità dell'uomo, che domina la natura, e l'impossibilità di vincere la legge naturale della morte. L'eroe civilizzatore Aristeo indica una diversa strada: la paziente lotta contro la natura sostenuta dall’obbedienza ai precetti divini.


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