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Monetazione romana

Monetazione repubblicana

Nella prima parte della storia di Roma, dalla sua fondazione (25 aprile 753 a.C.) a tutto il periodo monarchico (753-509 a.C.) e parte del periodo repubblicano (509-31 a.C.), il commercio si basava sull'uso della moneta, ma su una forma di baratto che sfruttava barre di bronzo (aes rude) come mezzo di scambio: si consideri, per contro, che già alla metà del IV secolo a.C. nel mondo greco la moneta aveva raggiunto una diffusione e livelli artistici elevatissimi. L'utilizzo dell'aes rude si scontrava con la necessità di dover pesare il quantitativo di bronzo ad ogni scambio; su iniziativa di singoli mercanti, quindi, iniziarono ad essere utilizzati getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare che riportavano il loro valore, detti aes signatum. La prima moneta standardizzata da parte dello stato fu l'aes grave o aes librale (asse librale), introdotta con l'avvio dei commerci su mare intorno al 335 a.C.. Il peso della moneta era inizialmente pari ad una libra latina (273 g), passando poi ad una libra romana (373 g). Multipli dell'asse furono il dupondio (2 assi), il tripondio (3 assi) ed il decusse (10 assi). Frazioni dell'asse furono il semisse (1/2 asse), il triente (1/3 di asse), il quadrante (1/4 di asse), il sestante (1/6 di asse) e l'oncia (1/12 di asse). Il valore dell'asse conobbe un progressivo calo, acquisendo via via il valore delle sue frazioni, con 1/2 libra romana nel 286 a.C., 1/6 di libra nel 268 a.C., 1 oncia (cioè 1/72 di libra) nel 217 a.C. e 1/2 oncia nell'89 a.C.. L'uso del bronzo ha termine nel 79 a.C..

La prima moneta d'argento battuta a Roma fu il didramma. Questa moneta, realizzate sullo stile di quelle greche, fu coniata in Campania per facilitare il commercio con le colonie greche del sud Italia nel 315 a.C. con un peso di 6,82 g. La moneta d'argento che costituì l'ossatura dell'economia romana fu, però, il denario, battuto per la prima volta a Roma nel 268 a.C.. Il valore iniziale del denario era di 10 assi, pari a 1/72 di libra (4,55 g), ed aveva come frazioni il quinario (1/2 denario) ed il sesterzio (1/4 di denario). Nel 217 a.C. il denario fu rivalutato a 16 assi, a seguito della riduzione del valore di quest'ultimo. Venne anche coniata un'altra moneta d'argento, il Vittoriato con un valore pari a 3 sesterzi, che ebbe, però, scarsa diffusione.

La produzione di monete in oro (aureo) fu estremamente sporadica prima della conquista della Gallia (e delle sue miniere) da parte di Giulio Cesare. Le prime emissioni, ricalcando il sistema monetario greco per facilitare gli scambi con il sud dell'Italia e con l'oriente, si ebbero nel 286 (con un peso per l'aureo di 6,81g) e nel 209 a.C. (con un peso di 3,41 g). I primi aurei realmente romani si ebbero nell'87 a.C. da parte di Silla (con un valore di 1/30 di libbra, 9,11 g), seguiti da emissioni nel 61 a.C. da parte di Pompeo (con un valore di 1/36 di libbra, 9,06 g), nel 48 a.C. da parte di Cesare (con un valore di 1/38 di libbra, 8,55 g) ed ancora nel 48 a.C., sempre da parte di Cesare (con un valore di 1/40 di libbra, 8,02 g).

Coniazione e ruolo della moneta

Una caratteristica importante delle monete romane, al contrario delle attuali, è nel loro valore intrinseco derivato dal metallo con il quale erano realizzate. In realtà, il valore delle monete era maggiore di quello del solo metallo in esse contenute: stime del valore di un denario, ad esempio, vanno da 1.6 a 2.85 volte il suo contenuto in argento. Ovviamente, non tutte le monete in circolazione erano in metallo prezioso, per avere anche valori utilizzabili per un uso quotidiano. Nel primo secolo dopo Cristo, ad esempio, con un asse si poteva acquistare metà libra di pane.

Questo, però, portava ad una dicotomia tra monete con elevato valore intrinseco (sulla circolazione delle quali lo stato era particolarmente attento) e quelle che non ne avevano. Questo si può constatare, ad esempio, nella scarsa produzione di monete in bronzo dalla fine del periodo repubblicano, quando dal tempo di Silla a quello di Augusto non venne coniata nessuna moneta in bronzo; anche quando queste monete venivano poi prodotte, esse erano molto grossolane e di bassa qualità. La coniazione di monete in bronzo, infatti, venne permessa a molte autorità locali, mentre questo non avvenne per le monete in metallo prezioso. Uno dei motivi per i quali l'emissione locale di monete in bronzo era considerata di scarsa importanza per Roma, risiedeva nel fatto che le spese per lo stato erano sempre di entità considerevole e quindi venivano pagate con monete in metallo prezioso.

Oltre al riflesso economico, le monete ebbero anche un ruolo fondamentale nei diffondere nella società romana idee e messaggi tramite le iscrizioni e le immagini in esse utilizzate. La scelta delle immagini veniva delegata a dei monetari ("tresviri monetales"), giovani in attesa di diventare senatori. Questa carica, creata nel 289 a.C. e che durò fino alla metà del terzo secolo d.C., prevedeva inizialmente solo tre magistrati furono, ma il loro numero fu portato a quattro da Giulio Cesare verso la fine delle Repubblica.

Le immagini dei primi denari consistevano di solito nel busto di Roma sul dritto e di una divinità alla guida di una biga o di una quadriga al rovescio. Il nome del monetario non appariva, anche se a volte le monete presentavano dei segni di controllo, come lettere o simboli che potevano essere utilizzati per identificare chi era responsabile di una particolare moneta. Questi simboli, poi, iniziarono ad essere sostituiti da forme abbreviate del nome del magistrato ed in seguito si iniziarono ad utilizzare le monete per rappresentare scene della storia della famiglia dei monetari: ad esempio, Sextus Pompeius Fostulus rappresentò il suo avo Fostulus che assisteva Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il numero di questi casi si fece sempre più ampio e con riferimenti sempre più recenti, diventando strumento di promozione delle classi in lotta per il governo delle Repubblica.

Un salto di livello nella immagini utilizzate si ebbe con l'emissione da parte di Giulio Cesare di monete con il proprio ritratto, invece di quello di propri antenati. Questa impostazione venne adottata anche nel periodo imperiale, con l'immagine del capo del governo utilizzata per rafforzare l'impersonificazione nell'imperatore dello stato e delle sue regole. Successivamente, l'immagine dell'imperatore venne progressivamente associata a quello delle divinità. Ulteriore salto di livello si ebbe durante la campagna contro Pompei, nella quale Cesare emise monete con anche immagini di Venere ed Enea, con l'obiettivo di avallare in questo modo l'ipotesi di una sua discendenza divina. Questa tendenza venne portata all'estremo da Commodo, che proclamò il suo stato divino emettendo nel 192 d.C. una moneta che raffigurava sul dritto il suo busto vestito con una pelle di leone, mentre sul rovescio un'iscrizione lo proclamava come la reincarnazione di Ercole. Ulteriore sviluppo dell'utilizzo della moneta si ebbe come legittimazione della successione al trono. Dal tempo di Augusto fino alla fine dell'impero, infatti, la rappresentazione di antenati venne sostituita da quella dei familiari e degli eredi dell'imperatore, rafforzando l'immagine pubblica di quelli che si voleva venissero considerati all'altezza dell'imperatore stesso.

Mentre il dritto continuava a riportare l'immagine dell'imperatore, si assistette ad una progressiva diversificazione del rovescio delle monete per uso propagandistico. L'incisione di frasi propagandistiche, già avvenuta al termine della repubblica, durante l'impero venne spesso utilizzata in concomitanza di eventi bellici, per sottolineare l'occupazione, liberazione o pacificazione di un territorio. Alcune di queste iscrizioni erano a volte estremamente di parte, come avvenne nel 244 d.C. quando si annunciò la conquista della pace con la Persi, anche se in realtà Roma era stata costretta dai persiani a pagare forti somme di denaro per ottenere la fine delle ostilità.

Monete imperiali

Anche se il denario restò l'elemento portante dell'economia romana dalla sua introduzione nel 211 a.C. fino al termine della sua coniazione nella metà del terzo secolo d.C., la purezza ed il peso della moneta andò lentamente, ma inesorabilmente riducendosi. Il fenomeno della svalutazione nell'economia romana era pervasivo e causato da una serie di fattori, quali la carenza di metallo prezioso, lo scarso rigore delle finanze statali e la presenza di una forte inflazione. Come detto in precedenza, il denario alla sua introduzione conteneva argento quasi puro con un peso di circa 4.5 grammi. Questi valori rimasero abbastanza stabili durante tutta la repubblica, ad eccezione dei periodi bellici. Ad esempio, i denari coniati da Marco Antonio durante la sua guerra con Ottaviano erano di diametro leggermente più piccolo e con un titolo considerevolmente inferiore: il dritto raffigurava una galea ed il nome di Antonio, mentre il rovescio presentava il nome delle particolare legione per la quale la moneta era stata emessa; c'è da notare che queste monete rimasero in circolazione per più di 200 anni a causa della carenza di metallo prezioso.

La prima riforma monetaria importante del periodo imperiale fu quella di Augusto, che prevedeva dal 15 a.C. la coniazione delle monete in oro ed argento controllata direttamente dall'imperatore, mentre il senato poteva decidere su delibera la coniazione dei valori minori. Per quanto riguarda le monete d'oro, ci si basava sull'aureo (1/42 di libbra romana, 7,78 g), con il quaternione come multiplo (4 aurei) ed quinario come sottomultiplo (1/2 aureo). Per le monete d'argento, rimaneva il denario (1/84 di libbra, 3,90 g) ed il suo sottomultiplo quinario (1/2 denario). Per i valori minori, si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco (ottone) detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse).

 

   

 Sesterzio del 116 in occasione
di conquiste nell’oriente:
Traiano sottomette i re di Armenia,
Mesopotamia e Partia.

   

 Sesterzio del 116 con Traiano
che incorona Partamaspate re di Partia.
La Partia è simboleggiata da una figura che
si inginocchia davanti al palco di Traiano

Durante la dinastia dei Giulio-Claudi (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone) il valore del denario rimase relativamente stabile. Nerone, invece, introdusse nel 65 d.C una nuova riforma monetaria: l'aureo venne portato ad 1/42 di libbra (7,28 g), mentre il denario a 1/96 di libbra (3.41 g). Alla fine della dinastia del Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano), Domiziano annullò la riforma di Nerone, riportando le monete ai valori della riforma di Augusto, mentre nel periodo degli imperatori adottivi (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio), Traiano reintrodusse i valori della riforma di Nerone.

Un'altra riforma si ebbe nel 215 d.C. per opera dell'imperatore Caracalla. Il denario, infatti, continuò il suo declino durante tutto l'impero di Commodo e di Settimio Severo. Con Caracalla l'aureo venne svalutato di nuovo, portandolo ad 1/50 di libbra (6,54 g). Inoltre, sia per l'aureo che per il denario (ridotto ad avere meno del 50% di argento) vennero introdotte monete con valore raddoppiato: il doppio aureo (o binione) ed il doppio denario (o antoniniano), anche se per quest'ultimo non contenne mai più di 1,6 volte il contenuto d'argento del denario. Comunque, mentre l'aureo riuscì ad avere una valutazione abbastanza stabile, anche l'antoniniano conobbe la stessa progressiva svalutazione vista col denario, fino a ridursi ad un contenuto d'argento del 2%.

Tra il 272 d.C. ed 275 d.C. Aureliano riformò nuovamente il sistema monetario romano, eliminando la possibilità di coniazione locale delle monete minori per riportarle ad un livello qualitativo paragonabile a quello delle altre monete. L'aureo fu portato inizialmente a 1/60 di libbra (5,54 g), ma poi il suo valore fu fissato ad 1/50 di libbra (6,50 g). Per l'antoniniano si fissò un peso di 3,90 g ed un titolo di 20 parti di rame ed uno d'argento, rapporto indicato sulla moneta tramite il simbolo XXI in Latino o KA in Greco.

A seguito della riforma di Diocleziano, la monetazione romana cambiò radicalmente. Dato che il governo introdotto da Diocleziano si basava su di una tetrarchia, con la suddivisione dell'impero in due territori assegnati a due diversi imperatori e con due Cesari a supporto ai due reggenti, le monete iniziarono a non impersonificare più un singolo reggente, ma a dare un'immagine idealizzata dell'imperatore sul dritto, con il rovescio che celebrava tipicamente la gloria di Roma e la sua potenza militare. Anche dopo l'adozione del cristianesimo come religione di stato, quest'impostazione rimase abbastanza invariata: solo in poche eccezioni vennero utilizzate immagini cristiane come il chi-rho, monogramma greco per il nome Gesù Cristo. Nel 300 venne emanato un editto che fissava i prezzi massimi delle merci, con l'intento di calmierarli: i prezzi venivano espressi in denarii, anche se questa non era ormai più una moneta in circolazione. L'aureo torna ad un peso di 1/60 di libra. Si introduce una moneta in argento, detta argenteus, con un peso pari a 1/96 di libra. Oltre ad un antoniniano con un peso di 3,90 g, fu introdotta anche una moneta in bronzo, il follis, con un peso di circa 10 g.

Ultima riforma dell'impero romano fu nel 310 quella di Costantino, che si rifaceva al sistema bimetallico di Augusto. Venne introdotto il solidus d'oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, e la siliqua d'argento, di 2,27 g pari a 1/144 di libbra: il miliarensis, con un valore doppio della siliqua, aveva quindi lo stesso peso del solidus. Per quanto riguarda i bronzi, il follis, ormai fortemente svalutato, venne sostituito da una moneta di 3 g, detto nummus centonionalis, cioè 1/100 di siliqua.

Questo sistema monetario durò fino alla fine dell'impero d'occidente.


Vedi anche: Storia di Roma


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