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Occidente medievale dal 500 al 1500

Età buia. Così può essere definita la storia della prima parte del Medioevo, o Alto Medioevo (cioè fino all'anno 1000, almeno per quanto riguarda l’Europa occidentale.

Fu quando la metà occidentale dell’Impero Romano incominciò a sgretolarsi di fronte alle invasioni barbariche della fine del IV secolo che - anno 410 - accadde l’impensabile. Roma fu conquistata e nel 476 l’imperatore d’Occidente fu destituito dal capo di una eterogenea masnada di soldati barbari al soldo dell'Impero, Odoacre: l’Impero occidentale praticamente aveva cessato di esistere.

Tumulti e anarchia in Occidente

L’Occidente continuò a essere soggetto a ondate di invasioni — da parte dei musulmani attraverso la Spagna e degli scandinavi dal Nord. Fu un periodo di tumulti e di anarchia: il crollo della civilizzazione era imminente. Il retaggio del passato rischiava di andare perduto. La conoscenza della [[filosofia], ad esempio, era circoscritta principalmente alle opere di Boezio. Quel pò di insegnamento che esisteva, veniva dalla chiesa, soprattutto attraverso i monasteri, che spesso erano vere e proprie oasi di stabilità.

Un po’ di respiro si ebbe grazie alle imprese di Carlomagno, che fu incoronato imperatore nell’anno 800. Egli fondò un impero unito e stabile, in cui fu nuovamente possibile godere di civiltà e istruzione. Difatti, durante questo Rinascimento carolingio, vi fu un breve fiorire della cultura, e in questo contesto sbocciò l’unico pensatore veramente originale dell’ Età buia: il filosofo e teologo Giovanni Scoto Eriugena.

Il dopo Carlomagno

Ma non passò molto tempo che l’impero di Carlomagno si frammentò e le incursioni vichinghe produssero ulteriori battute d’arresto. La teologia di questo periodo, essendo in larga misura relegata ai monasteri, è conseguentemente chiamata teologia monastica. Essa si sviluppò in un’atmosfera d’impegno e di devozione nell’ambito di un modello di vita vissuta, ad esempio, secondo la Regola di Benedetto.

La mèta non era la ricerca di una conoscenza fine a sé stessa, ma piuttosto l’edificazione e l’adorazione. L’approccio era infatti caratterizzato da un sentimento di contemplazione e di venerazione. Il teologo non era un osservatore accademico distaccato, che studiava il suo materiale dall’esterno, ma piuttosto era un partecipante impegnato e coinvolto.

In attesa della fine del mondo

Alla vigilia di Capodanno dell’anno 1000, una folla si radunò a Roma in attesa della fine del mondo. La mezzanotte arrivò, ma non accadde nulla, e Papa Silvestro II, dopo aver benedetto la folla, la rimandò a casa. Lo stesso Silvestro, precedentemente noto come lo studioso Gerbert d’Aurillac, fu una delle primizie di una nuova èra.

Una maggior stabilità stava ora conducendo alla rinascita della civiltà occidentale. Gli invasori barbari erano stati convertiti durante l’ Età buia, e oramai l’intera Europa occidentale era cristiana, almeno nominalmente — a parte i giudei nei loro ghetti e i musulmani in Spagna.

L’XI secolo fu un tempo di nuovi movimenti. Vi fu un rifiorire del monachesimo; un nuovo papato riformatore mirava a purificare la chiesa dalla corruzione; vi fu un ritorno allo studio. La teologia si trovò ad affrontare la questione del rapporto tra fede e ragione (filosofia).

Tra fede e ragione

Uno scrittore moderno ha affermato: "Lo sforzo di armonizzare fede e ragione fu la forza motrice del pensiero cristiano medievale". L’impatto della filosofia portò a un nuovo approccio alla teologia: la teologia scolastica, o scolasticismo. Si arrivò a studiare la teologia al di fuori dei chiostri — all’università, ad esempio, o in altri ambienti secolari (epperciò non monastici).

L’obiettivo era la conoscenza oggettiva intellettuale. L’approccio era quello di mettere in discussione, di ragionare, di speculare, di disputare. Per il teologo, era più importante essere un filosofo erudito che un santo. La teologia era diventata una scienza oggettiva distaccata. Questo approccio non eliminò quello monastico più vecchio, ma lo spostò dalla prima linea della teologia.

L’impatto della filosofia sulla teologia cominciò a farsi sentire nel corso dell’XI secolo, mediante la comparsa della ragione (filosofia) come metodo da adoperare nell’ambito della teologia. Anselmo se ne servì per dimostrare la razionalità della dottrina cristiana. La ragione era entrata nella teologia, non (ancora) come strumento per definire la dottrina cristiana (la quale era basata sulla rivelazione), ma piuttosto come tecnica per difendere e capire ancor di più questa fede.

Nel secolo successivo il ruolo della ragione fu ulteriormente sviluppato. Gli avvocati avevano cominciato a usare metodi filosofici per decidere o arbitrare fra autorità in conflitto.

Pietro Abelardo andò avanti nell’applicare gli stessi metodi alla teologia. Ma poiché non usava sempre discrezione nel suo approccio, fu condannato per il suo insegnamento, grazie all’intervento di Bernardo di Chiaravalle, l’ultimo grande rappresentante della vecchia teologia monastica.

Ma i metodi di Abelardo furono seguiti (con più moderazione) dal suo discepolo Pietro Lombardo, che godeva dell’appoggio di Bernardo. Nel XIII secolo, la teologia entrò in una fase nuova e più pericolosa. La filosofia si presentava ora non soltanto come uno strumento da usare in teologia, ma anche come un sistema antagonistico di pensiero.

Ciò ebbe luogo attraverso la traduzione delle opere metafisiche di Aristotele in latino. Questi scritti presentavano un nuovo modo di guardare alla realtà, una nuova visione del mondo o una filosofia della vita come alternativa al cristianesimo.

Come affrontare la sfida? Per un certo periodo gli scritti metafisici di Aristotele furono messi al bando, ma si trattò soltanto di una misura temporanea, per poter tirare il fiato. Alcuni cercarono di continuare a sostenere la vecchia visione platonica del mondo, opponendosi alla nuova prospettiva aristotelica. Il teologo francescano Bonaventura fu un pioniere in questo campo.

Ma l’approccio che si dimostrò più influente a lungo termine fu quello di Tommaso d’Aquino, il quale cercò di fare una sintesi tra fede (teologia) e ragione (Aristotele). Egli si propose di dimostrare che la filosofia di Aristotele (interpretata nel modo giusto e corretta laddove era necessario) poteva essere coerentemente sostenuta accanto alla teologia cristiana.

Avignone, sede dei Papi

I secoli XIV e XV portarono a un declino della chiesa, benché alcuni li considerino come i secoli di fioritura del Medioevo. Il papato patì la sua cattività babilonese, nel periodo in cui i papi si trovarono ad Avignone, sotto il controllo francese dal 1305 al 1377.

Il ritorno del papa a Roma ebbe quasi subito come conseguenza il Grande Scisma (1378-1414); durante questo periodo, vi furono sempre come minimo due papi rivali. Si dovette constatare un certo declino anche nell’ambito degli ordini religiosi. Il fervore dei secoli precedenti era diventato sempre più raro.

Filosofia e teologia, nodo irrisolto

Mentre il numero decresceva, la corruzione aumentava. Nei secoli XIV e XV vi fu anche un crescente scetticismo riguardo alla possibilità di armonizzare la teologia con la filosofia. Questo processo ebbe inizio con Giovanni Duns Scoto e arrivò al suo culmine con l’insegnamento di Guglielmo di Occam e dei suoi seguaci.

La filosofia e la teologia presero vie diverse; la teologia si ritirò dal regno naturale per appoggiarsi sempre di più su una fede cieca nella rivelazione divina (la cui razionalità non poteva essere dimostrata). In aggiunta, la teologia scolastica si separò dalla spiritualità pratica, come nel caso di Tommaso da Kempis, ma a danno di entrambe.

Talvolta il Medioevo è ignorato, specialmente dai protestanti e questo è considerato da molti un errore. L’epoca medievale copre un periodo di un migliaio di anni circa — più della metà del periodo che va dalla nascita di Gesù Cristo fino a oggi. Non sarà magari il periodo più glorioso della storia della chiesa, ma deve essere preso in seria considerazione come una parte importante di essa.

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