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Plinio il Vecchio

Gaio Plinio Secondo, detto Plinio il Vecchio (23 – 79).

Gaio Plinio Secondo nacque a Como nel 23 DC, tra il 46 e il 58, prestò il servizio militare in Germania, partecipando a campagne militari di confine. L'interesse di Plinio per le questioni militari è testimoniato dal trattatello (perduto) De iaculatione equestri, sulle tecniche del combattimento a cavallo. Compose inoltre la biografia (perduta) di un influente amico, il De vita Pomponii Secundo. Le campagne germaniche suggerirono a Plinio un'opera storica, i Bella Germaniae (perduto), di cui Tacito si servì come fonte. Dopo la morte di Claudio (54), Plinio condusse una vita appartata: da alcune allusioni contenute nella Naturalis historia emerge la sua violenta ostilità a Nerone. L'astensione da cariche pubbliche e impegni politici fu perciò salutare.

È probabile che in quegli anni Plinio si dedicasse all'oratoria e all'avvocatura, è di tale periodo il trattato Studiosus, che, dagli scarsi frammenti pare simile all' institutio oratoria di Quintiliano, era quindi un manuale per gli studenti di retorica. Plinio s'interessò anche di grammatica, il suo manuale Dubius sermo, sui problemi e oscillazioni dell'uso linguistico, ebbe considerevole fortuna, infatti, restano parecchi frammenti, poiché fu molto utilizzato e citato dai grammatici di tarda età imperiale. Con l'ascesa di Vespasiano (69–79), Plinio intraprese un’intensa carriera di procuratore imperiale, con numerosi incarichi di rilievo. Negli anni settanta, nonostante gli impegni di lavoro, Plinio si dedicò alle due opere che lo resero famoso. La prima e forse la più importante è la perduta storia romana A fine Aufidi Bassi, ossia una storia di Roma che continuava un’opera dello storico Aufidio Basso. L’opera di Plinio copriva gli anni tra il 50 e il 70, (fine del regno di Claudio e ascesa di Vespasiano).

Scrivere la storia di un periodo così vicino era impresa problematica. L'opera aveva un'impostazione pro-Flavia, ma Plinio, come dice nella Naturalis historia, non volle che fosse pubblicata mentre era in vita, per evitare accuse di servilismo verso Vespasiano. La fortuna delle storie pliniane fu presto soppiantata dall'opera di Tacito (55–117). Nel 77-78, Plinio concluse la colossale Naturalis historia e la dedicò a Tito (79–81), nel frattempo, svolse la mansione di prefetto della flotta imperiale di stanza in Campania e, per cause di servizio, trovò la morte il 24 agosto del 79 DC, travolto dall'eruzione vesuviana.

Table of contents
1 Opere
2 Plinio il Vecchio e l'enciclopedismo

Opere

Tutte le opere di Plinio sono andate perdute, tranne la Naturalis historia. Plinio sosteneva di non aver mai letto un libro tanto cattivo da non avere qualche utilità e lo scrittore leggeva di continuo, schedava, prendeva appunti. Il risultato fu un'opera enciclopedica in trentasette libri, destinata a inventariare le conoscenze acquisite dall'uomo. Plinio elaborò una mole impressionante di dati: trentaquattromila notizie, duemila volumi letti, di cento autori diversi, e centosettanta cartelle di appunti e schede preparatorie.

Naturalis historia - Piano dell'opera:

  • I. Indice generale dell'opera e bibliografia libro per libro.
  • II. Cosmologia e geografia fisica.
  • III-VI. Geografia.
  • VII. Antropologia.
  • VIII-XI. Zoologia.
  • XII-XIX. Botanica.
  • XX-XXXII. Medicina.
  • XXXIII-XXXVII. Metallurgia e mineralogia (con ampie digressioni sulla storia dell'arte).

Il testo della Naturalis historia (scienza della natura) è preceduto da un'epistola dedicatoria, a Tito, nella quale Plinio chiarisce motivazioni e limiti del suo lavoro. La lettera permette di datare il compimento dell'opera al 77-78 DC. Diversi passi della Naturalis historia contengono notizie o spunti autobiografici (luoghi visti, rapporti con personaggi illustri). Plinio meritò, come celebre storico di
Roma, una biografia nel De viris illustribus di Svetonio (70-122), ma il documento più interessante è costituito da tre lettere del nipote Plinio il Giovane (61-113), che forniscono informazioni sull'attività letteraria dello zio, un catalogo degli scritti e, in due lettere allo storico Tacito, la narrazione delle eccezionali circostanze in cui Plinio il Vecchio incontrò la morte. Il racconto della morte dello studioso contribuì molto alla fortuna di Plinio, come antesignano della scienza sperimentale, morto per appagare la propria curiosità scientifica. In realtà la concezione pliniana della cultura scientifica ha ben poco di sperimentale o empirico. Secondo il resoconto del nipote, Plinio si espose al pericolo per recare soccorso ad alcuni cittadini minacciati dall'eruzione

Plinio il Vecchio e l'enciclopedismo

Uno sforzo di sistemazione del sapere è presente in tutta la cultura romana della prima età imperiale e si concreta in opere di tipo manualistico, testi che intendono raccogliere il meglio delle conoscenze in un certo settore dello scibile o delle attività pratiche, e fornire al lettore nozioni accessibili e generali. La destinazione pratica di tali sintesi affievolì sempre più lo sviluppo teorico e lo sperimentalismo autonomo, mentre l'obiettivo della completezza dell'informazione non favorì le capacità critiche. I tempi erano maturi per lo sviluppo di enciclopedie, intese come inventari delle conoscenze acquisite. Dato l'elevato livello della scienza in Grecia e nel mondo ellenistico, opere di questo genere si configurarono per lo più come divulgazione di originali greci. La Roma imperiale conobbe una grande espansione dei ceti tecnici e professionali: medici, architetti, esperti in acquedotti e reti fognarie, agronomi, amministratori. In parte, tali ceti coincidevano con la nascente burocrazia imperiale e crescenti capacità tecniche furono richieste anche ai politici: coloro che amministravano le province erano sempre meno condottieri militari, e sempre più dei tecnici che si interessavano di economia e finanza, di risorse territoriali, di mezzi di trasporto e di sfruttamento delle risorse. Si verificò, quindi, una crescente richiesta di informazioni e di divulgazione scientifica. A partire dall'età di Seneca, la curiosità scientifica divenne anche una forma di intrattenimento culturale. I testi naturalistici di successo, però, non erano le severe opere di Aristotele o le rigorose Naturales quaestiones di Seneca, bensì un nuovo genere letterario, i paradoxa (dal greco paràdoxon, stranezza, cosa imprevista), ossia raccolte di aneddoti, piccole curiosità scientifiche, notizie antropologiche di varia attendibilità ed estratti da opere scientifiche più serie. Gli autori si presentano spesso come viaggiatori, che raccolgono materiale di prima mano. In qualche caso è dimostrabile che gli scrittori di paradoxa e mirabilia ebbero accesso a notizie recenti, e che quindi non si limitavano a riproporre nozioni e dicerie tradizionali, d'altra parte, non è sempre facile tracciare un confine tra esperienza diretta e condizionamento libresco. I naturalisti-viaggiatori, anche quando non inventano o non ricopiano altre compilazioni più antiche, sono però dei dilettanti, mancano il metodo e lo spirito sistematico. La tradizione paradossografica era stata avviata dagli scrittori greci al seguito di Alessandro Magno, più di tre secoli prima. La letteratura paradossografica esprime molto bene il limite della cultura scientifica romana: accoglie genuine curiosità e vivaci interessi pratici, ma non contiene in sé nessun principio sistematico e manca il collegamento fra esperienza pratica e tradizione, infatti, l'arricchimento delle esperienze non porta a un cambiamento dei modelli classici acquisiti dalla tradizione greca, in matematica, in astronomia, in geografia, in botanica e in zoologia, semplicemente, le nuove esperienze ed i nuovi dati sono raccolti e inventariati accanto a quelli tradizionali. La gigantesca opera erudita di Plinio il Vecchio è la realizzazione più compiuta di tali tendenze della cultura romana, che aveva già conosciuto grandi e piccole opere di sintesi. Pochi anni dopo Plinio, Quintiliano produsse un'opera di grande rilievo per la retorica e l'educazione, ma nessun altro autore concepì un progetto di conservazione integrale dello scibile, né esistevano opere greche paragonabili alla Naturalis historia.

Non è una circostanza casuale, il fatto che l'autore fosse vicino alle posizioni degli Stoici. La concezione dell'universo come una macchina cosmica retta da una Preveggenza divina e che l'uomo deve conoscere per rispecchiarne dentro di sé le virtù, era un'idea atta a guidare un progetto di enciclopedia. Una certa adesione allo stoicismo è, infatti, presente nella cosmologia, ma la mentalità enciclopedica è per Plinio un accomodante eclettismo, una scelta filosofica troppo precisa finirebbe per ridurre eccessivamente la quantità dei materiali da registrare e classificare nella Naturalis historia: nel libro della cosmologia Plinio affianca con disinvoltura posizioni stoicheggianti e curiose divagazioni magico-astrologiche, assolutamente estranee al pensiero stoico, e derivanti da fonti orientali. Dello stoicismo, Plinio conserva un generico senso della missione del saggio, ma è lo stoicismo indefinito e banalizzato, proprio della classe dirigente romana di quell'epoca, non una profonda ispirazione ideologica. In una immensa congerie di nozioni e di teorie altrui di suo, nell'enciclopedia naturale, Plinio porta impegno, senso pratico, e serietà morale, qualità tipiche di un solerte funzionario imperiale. Stilisticamente, Plinio è considerato da molti critici addirittura il peggior scrittore latino, però la stessa folle ampiezza del lavoro non era compatibile con una regolare elaborazione stilistica, inoltre, la tradizione enciclopedica romana non comportava un particolare sforzo di bello scrivere. Plinio non scrive sempre allo stesso modo: lo stile frammentario e affastellato che domina interi libri contrasta con vere e proprie tirate retoriche: elogi della scienza e della natura, condanne moralistiche del lusso e dello sfruttamento della natura; sono passi dimostrativi in cui si coglie una certa ambizione letteraria (è probabile che l'opera storica di Plinio avesse un diverso stile, infatti, le opere storiografiche sono vincolate, nella letteratura latina, ad una di più attenta cura formale). Come tutti i prosatori d’età neroniana e flavia, Plinio tende a rifuggire le ampie bilanciate architetture ciceroniane. Tale libertà dello scrivere in Seneca e Tacito diventa una nuova rivoluzionaria arte della parola, ma si risolve per Plinio in una confusione impersonale. L'opera era troppo lunga per essere letta completamente e anche per essere usata nelle scuole, però è facilmente divisibile in blocchi omogenei, e gli indici della materia e degli autori utilizzati facilitano la consultazione.

La Naturalis historia è uno dei testi antichi meglio organizzati e consultabili, perciò l'opera ha avuto una duplice sopravvivenza. Si cominciò molto presto a manipolarla, traendone riduzioni, e compilazioni di singole parti a contenuto omogeneo (la Medicina Plinii, un breviario medico, ebbe buona diffusione nel Medioevo), e antologie, in cui si accentuava sempre più il gusto esclusivo per l'anomalo e il curioso, tuttavia il testo originale della Naturalis historia continuò a essere copiato durante tutto il Medioevo. In questo periodo i suoi smisurati indici di fonti e autori erano una garanzia, promettevano accesso a tesori di sapere che rischiavano di perdersi. Nel corso del Medioevo il nome di Plinio crebbe sempre più di autorità, e paradossalmente questo autore che aveva rinunciato a qualsiasi originalità, per farsi voce impersonale della scienza altrui, diventò un'autorità su ogni aspetto del sapere. Fra Trecento e Cinquecento Plinio fu oggetto di cure filologiche da parte degli Umanisti. Il testo era notevolmente sfigurato dalla tradizione manoscritta, ma permetteva ampie osservazioni linguistiche e tecniche. La ricerca di una forma più appropriata del testo creò tuttavia un nuovo problema, che i dotti del Medioevo non avevano percepito. I progressi della scienza, portarono gli studiosi del Cinquecento a una situazione di dubbio, infatti in molti casi Plinio sbagliava, nonostante le appassionate difese degli Umanisti che imputavano l'errore alla tradizione manoscritta, la fede nell'autorità di Plinio si affievolì. Nell'era moderna, il testo pliniano assume un interesse non più pratico, ma storico. Resta un documento inestimabile per la storia dell'arte antica, per la storia della scienza, del folklore, della religione, etc. Gli stessi difetti intellettuali di Plinio, ossia la carenza di rigore teorico, di analisi, di selettività diventano preziosi per la tendenza a salvare tutto ciò che in essa vi è stato tramandato.


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