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Teatro (rappresentazione)

Table of contents
1 Il teatro greco
2 Il teatro latino
3 Il teatro nel medioevo
4 Il teatro nel rinascimento
5 Il teatro del ‘600
6 Il teatro del ‘700

Il teatro greco

(parte da scrivere)

Il teatro latino

Articolo principale: Teatro latino

(parte da scrivere)

Il teatro nel medioevo

Il teatro nel rinascimento

Il teatro del ‘600

Il Seicento fu un secolo d'oro per il teatro. In Francia nacque e si consolidò il teatro classico che, basato sul rispetto delle presunte unità aristoteliche, si sviluppò dopo il 1630 con le grandi tragedie di Corneille e Racine, e con le commedie di Molière. In Inghilterra, tra i due secoli, fiorì il teatro elisabettiano, il cui massimo rappresentante fu Shakespeare. I temi del repertorio elisabettiano tragico, vari e complessi, erano ispirati alla tradizione greca e latina, ma anche alla storia inglese. Contravvenendo alle regole rinascimentali circa la purezza dei generi drammatici, nella struttura delle tragedie furono inseriti momenti e toni tipici della commedia, mentre quest'ultima con gli anni si colorò di tinte fosche, tragiche. In Spagna il teatro profano, estraneo alle norme aristoteliche e di impostazione moraleggiante, conobbe un'intensa fioritura nella prima metà del Seicento con autori quali Lope de Vega, Calderón de la Barca, Tirso de Molina.

Il teatro del ‘700

Durante il ‘700, il rinnovamento e la sperimentazione si manifestarono anche nel teatro, con la rivalutazione della parola, a differenza di quanto accadeva nella Commedia dell'Arte, in cui la parola soggiaceva alla comunicazione gestuale o si restringeva in un'espressività povera, oppure nel melodramma, si dissolveva in musica.

Il teatro del ‘700 fu caratterizzato dalla sempre maggiore importanza attribuita alla recitazione. Furono portati sulla scena personaggi dalla psicologia complessa e contraddittoria, che richiedevano agli interpreti la capacità di rivivere intimamente passioni ed emozioni, per esprimerle in modo convincente sulla scena. Gli autori rinnovarono il tema dell'amore in una ricca gamma di sfumature e situazioni, dando vita a un teatro che originò il dramma borghese ottocentesco. In Italia, Goldoni sostituì ai canovacci e all'ambientazione indeterminata degli spettacoli della Commedia dell'Arte, un testo scritto e una scena definita, mentre Vittorio Alfieri sviluppò il genere tragico, approfondendo lo scontro morale tra la figura dell'eroe e quella del tiranno. La Commedia dell'Arte, sviluppatasi in Italia nel corso del Cinquecento, e diffusasi in tutta Europa, divenne assai popolare in Francia, dove era recitata dagli attori della Comédie-Italienne. Gli attori improvvisavano anche brevi scene individuali con battute e lazzi, spesso attingendo da repertori. Nel XVII secolo, i governi di Spagna e Francia cercarono di censurare e regolamentare questa forma teatrale, ma fu proprio in Francia che la commedia ebbe la maggiore influenza, ispirando molta parte del teatro dei maggiori commediografi francesi. Nel ‘700, in Italia, Goldoni obbligò gradualmente le maschere a riferirsi ad un testo scritto, rinunciò alle facili buffonerie e inserì l'azione nel contesto borghese e mercantile. La tragedia fu ripresa dal bolognese Pier Iacopo Martello (1665-1727), che cercò di riproporre, con minore rigidezza, le forme del teatro francese del Seicento, usando in molte sue tragedie un verso di quattordici sillabe, modellato sul dodecasyllabe francese (Verso costituito di dodici sillabe divise da una cesura dopo la sesta è verso tipico della poesia drammatica francese. Martello, che ne fece un settenario doppio e lo utilizzò per le sue tragedie) e chiamato "martelliano" o "alessandrino". Il Settecento vide anche la riforma del melodramma. Dalla collaborazione del librettista Calzabigi, (1714–1795) con il musicista Gluck, iniziò una riforma del teatro musicale attesa da lungo tempo: la struttura dei drammi fu semplificata e gli intrecci resi più comprensibili e ridotti a poche scene per ogni atto. La contrapposizione radicale fra arie e recitativi, tipica del teatro precedente, fu sfumata a vantaggio della continuità drammatica e gli argomenti, attinti alla mitologia, furono rivestiti di un significato etico e pedagogico in accordo con la concezione didascalica del teatro cara all'illuminismo. Con la struttura del libretto definita sul piano metrico con la distinzione tra recitativi e arie, la lingua e la letteratura italiana acquistarono, nel Settecento, una diffusione internazionale e raggiunsero anche strati popolari (soprattutto nell'Ottocento). Il melodramma, che era già stato oggetto di un tentativo di regolamentazione da parte di Apostolo Zeno, trovò il suo maggiore interprete in Pietro Metastasio, che elaborò la riforma del teatro mediante soluzioni compositive ed assegnando alla parola la preminenza sulla musica e sugli altri elementi dello spettacolo. Metastasio creò un nuovo linguaggio sentimentale poetico che, impostosi grazie alla facilità comunicativa, influenzò Goldoni che, dalla cultura arcadica derivò l'istanza riformatrice, applicandola alla Commedia dell'Arte (teatro popolare), ma soprattutto apprese la lezione di una lingua semplice e comunicativa, tanto che i suoi testi reggono ancora oggi, come nessun altro del Settecento. Egli creò un teatro realistico e popolare capace di affascinare per la leggerezza dell'intreccio e la vivacità dell'invenzione. Nel secolo delle riforme, anche la tragedia, genere estremamente regolato e considerato eccelso, che aveva dato prove dignitose, si evolvette. Scipione Maffei (Verona 1675-1755), contribuì alla riforma del teatro italiano con trattati teorici e quattro opere teatrali: due commedie, un dramma pastorale e la tragedia Merope (1713), punto di partenza per la riforma del teatro tragico. Occorreva però il temperamento insofferente di un intellettuale alla perpetua ricerca di se stesso, il piemontese Vittorio Alfieri, per fare della tragedia l'espressione di una moderna tensione libertaria, che si concretizzò nel conflitto fra il tiranno (qualsiasi principio di autorità, anche interiore) e l'uomo libero che afferma la propria dignità e libertà con la morte. Tiranno e uomo libero coesistono, a volte, nella stessa persona e il tiranno può essere l'incontenibile forza interiore di un sentimento. Alfieri accettò le rigide convenzioni del genere tragico e anzi le esasperò, concentrando l'azione entro una fissità spazio temporale che esprime l'atemporalità del dramma. Le sue opere contribuirono a educare le generazioni risorgimentali.

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