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Quntilliano

Marco Fabio Quintiliano (35 – 95).

Marco Fabio Quintiliano nacque a Calagurris (oggi Calahorra), in Spagna nel 35 DC, il padre era maestro di retorica. Studiò grammatica e retorica a Roma, successivamente fece ritorno in Spagna, dove svolse attività forense. Fu richiamato a Roma da Galba, nel 68, ed incominciò la sua attività di maestro di retorica, senza però interrompere l'avvocatura. Il suo insegnamento ebbe grande successo ed ebbe fra i suoi allievi Plinio il Giovane e, forse, Tacito. Nel 78 Vespasiano gli affidò la prima cattedra statale con uno stipendio di centomila sesterzi annui. Domiziano lo incaricò dell'educazione di due suoi nipoti. Quintiliano, nell'88, si ritirò dall'insegnamento e dall'attività forense, dedicandosi esclusivamente agli studi. Morì dopo il 95.

Table of contents
1 Opere
2 Institutio oratoria - Piano dell’opera
3 Il programma educativo di Quintiliano

Opere

Sono perduti un trattato De causis corruptae eloquentiae e l' Artis rerhoricae (appunti che gli allievi di Quintiliano trassero dalle sue lezioni e pubblicarono contro la volontà del maestro), mentre resta l'opera principale di Quintiliano, in 12 libri, la Institutio oratoria, iniziata forse nel 93, e pubblicata probabilmente poco prima della morte di Domiziano, Nel 96. Sotto il nome di Quintiliano i manoscritti tramandano due raccolte spurie di declamazioni, non attribuibili a Quintiliano soprattutto per il forte colorito stilistico alieno dai gusti e dai giudizi che egli esprime nell' Institutio oratoria alcune di queste potrebbero essere di scuola quintilianea.

Il problema della corruzione dell'eloquenza affrontava questioni sia morali, sia di gusto letterario. Il primo aspetto era evidente nel diffuso malcostume della delazione, che spesso asserviva l'eloquenza a fini di ricatto materiale e morale, inoltre, nelle scuole erano abbastanza diffusi insegnanti corruttori della moralità degli allievi. L'altro aspetto del problema era letterario, perché nelle virtù e nei vizi dello stile taluni vedevano l'espressione di virtù e vizi del carattere. In epoca Flavia fu particolarmente acceso il dibattito fra i diversi orientamenti dell'oratoria: l'arcaizzante, il modernizzante, il ciceroniano. Dal punto di vista dei gusti letterari, Quintiliano sostenne una reazione classicistica nei confronti dello stile corrotto di cui vedeva in Seneca il principale esponente e responsabile. Quintiliano interpreta in termini moralistici la degenerazione dell'eloquenza e ne addita le cause nella generale degradazione dei costumi, ma, avendo una vasta esperienza scolastica è convinto dell'efficacia dell'educazione. La corruzione dell'oratoria ha, per Quintiliano, anche cause "tecniche", che egli ravvisa nel decadimento delle scuole e nella vacuità stravagante delle declamazioni retoriche, ed auspica una rinnovata serietà dell'insegnamento. L'institutio oratoria è, pertanto, un programma di formazione culturale e morale, che il futuro oratore deve seguire scrupolosamente dall'infanzia fino all'ingresso nella vita pubblica.

Institutio oratoria - Piano dell’opera

L' Institutio oratoria è dedicata all’oratore Vittorio Marcello e preceduta da una lettera all'editore che deve curarne la diffusione. Quintiliano raccoglie l'eredità di Cicerone, adattandola ai propri tempi con finezza e senso della misura. Col ritorno a Cicerone, Quintiliano manifesta l'esigenza di ritrovare una sanità di espressione che sia sintomo della saldezza dei costumi. Una simile esigenza è legata anche ai vasti mutamenti sociali verificatisi con l'ascesa al potere di Vespasiano, quando le eccentricità dell'età neroniana furono sostituite da comportamenti più sobri, anche perché i novi homines di provenienza italica e provinciale, raggiungendo posizioni preminenti tendevano a reintrodurre codici di comportamento più aderenti alla tradizione. Quando, intorno al 90, Quintiliano pubblicò il (perduto) De causis corruptae eloquentiae, il Nuovo Stile di cui Seneca pochi decenni prima era stato l'esponente più illustre, contava ancora seguaci e ammiratori, ma pochi anni dopo, ai tempi dell' Institutio (93–96), il nuovo classicismo propugnato da Quintiliano si era ormai affermato. Quintiliano, però, non è un classicista intransigente, e sa concedere riconoscimenti allo stile di Seneca.

Nell' institutio è vivace la polemica contro le sententiae della maniera senecana, infatti le piccole sentenze spezzano il discorso e lo rendono discontinuo e imprevedibile. Quintiliano, riteneva che l'elocuzione dovesse svolgersi in funzione della sostanza delle cose, mentre Seneca mirava a catturare l'interesse dell'ascoltatore ed a guidarne le reazioni. La polemica di Quintiliano contro Seneca e il Nuovo Stile rappresentava lo scontro tra due diverse esigenze del discorso: quella del docere, che fonda il discorso sull'oggettività delle cose dette e quella del movere, caratteristica del Nuovo Stile, che scarica il senso del discorso sul destinatario, e fa della sua percezione e delle emozioni con cui egli reagisce il vero obbiettivo.

Il programma educativo di Quintiliano

Quintiliano delinea un oratore ideale che si avvicina a quello ciceroniano (cultura, talento, tecnica, rettitudine morale) per la vastità della formazione culturale richiesta, ma, nella formazione generale, la filosofia è subordinata alla retorica e alla cultura letteraria. Il programma di letture tracciato nel libro X prevede una scelta di scrittori greci e latini. Quintiliano negli arcaici vede notevoli manchevolezze, ma sa distinguere fra ciò che deve essere attribuito a lode o a biasimo, al poeta, e quanto invece all'età in cui visse. Nel programma di Quintiliano, le letture degli autori hanno lo scopo di formare lo stile dell'oratore. Quintiliano propone, soprattutto, il modello ciceroniano, reinterpretato per realizzare un’ideale equilibrio fra asciuttezza e ampollosità. Quintiliano è avverso sia all'arcaismo, sia all'eccessivo modernismo dell'asianesimo senecano, (a volte ampolloso, ricercato e lezioso).

Lo stile di Quintiliano non è armoniosamente ampio e simmetrico come quello di Cicerone, ma in generale rappresenta il miglior esempio di ciò che egli stesso raccomanda: ricerca la chiarezza ed evita gli eccessi, non è dogmatico, mostra senso della misura ed equilibrio nella scelta dei modelli. Nel XII libro della Institutio, Quintiliano accenna ai rapporti fra oratore e principe. Quintiliano era fra quegli intellettuali che, come Tacito, accettavano il principato come una necessità. Nei limiti di tale contesto, il suo sforzo fu di ottenere per l'oratore il massimo di professionalità ed un alto grado di dignità. Quintiliano non pone in discussione il regime, ma le doti morali che l'oratore deve possedere sono utili, prima che al principe, alla società in generale (allontanano l'oratore dalla delazione, che era per il principe un importante strumento di potere e di controllo sul ceto aristocratico). Quintiliano cercò di assegnare all'oratore, una missione civile priva di ribellione, ma anche di avvilente servilismo, propugnando l'ideale ormai illusorio di un oratore guida per il senato e per il popolo romano. Quintiliano fu assai apprezzato durante il Medioevo ed il Rinascimento.


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