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Satire (Giovenale)

"È stupida clemenza, in questo brulicare di poeti, graziare carte condannate al macero" - (Giovenale, Satire, Libro I, 1, "Le ragioni della satira")

Le Satire1 di Giovenale costituiscono l'unica produzione letteraria giunta ai nostri giorni del poeta latino vissuto fra l'anno 50 e il 140. In numero di sedici, scritte in esametri, sono suddivise in cinque libri secondo un ordine forse indicato dall'autore stesso: I:1-5; II: 6; III: 7-9; IV: 10-12; V: 13-16. I rari indizi cronologici oscillano fra il 100 e il 127 DC, lasso di tempo nel quale dovrebbe collocarsi la composizione o la pubblicazione dell'opera.

Nella prima satira, di carattere proemiale e programmatico, Giovenale polemizza contro le declamazioni alla moda e la loro fatuità, dichiarando il suo disgusto per la corruzione morale dilagante che lo spinge a dedicarsi alla satira, però, per premunirsi contro odi e vendette, afferma l'intenzione di attaccare non la generazione presente, ma quelle passate. Nelle satire, bersaglio del poeta è soprattutto l'omosessualità. Giovenale considera la vita a Roma malsicura per gli onesti, ironizza descrivendo un consiglio riunito da Domiziano per deliberare su come cucinare il gigantesco rombo offerto in dono all'imperatore, poi descrive l'umiliante condizione dei clienti convitati. La VI satira, la più lunga, è una feroce requisitoria contro l'immoralità e i vizi delle donne. Poi lo scrittore deplora la generale decadenza degli studi e la misera condizione dei letterati del tempo, rimpiangendo il mecenatismo che ha alimentato la letteratura augustea ed oppone alla falsa nobiltà della nascita quella reale derivante dall'ingegno e dai sentimenti. Attacca i cacciatori di eredità, gli imbroglioni e i frodatori, discute dell'educazione dei figli e della necessità di accompagnare i precetti con l'esempio. La XV satira descrive un episodio di cannibalismo, provocato da fanatismo religioso, avvenuto in Egitto, paese che il poeta dice di conoscere (ciò ha alimentato la tradizione secondo cui a causa di alcuni suoi versi, ormai ottantenne, sarebbe stato allontanato da Roma, con il pretesto di un incarico militare. L'ultima satira, incompleta, elenca i privilegi offerti dalla vita militare.

Per Giovenale la letteratura del tempo, col suo frivolo dilettarsi di trite leggende mitologiche, è ridicolmente lontana dal clima morale corrotto della società romana tra il finire del I secolo e i primi decenni del II. Di fronte all'inarrestabile dilagare del vizio la musa del poeta è l'indignazione e la satira il genere più adatto a esprimere il suo disgusto. Nella prima satira, Giovenale enuncia la propria poetica e la centralità che in essa occupa l'indignatio. Al contrario di Orazio, e anche di Persio che non rinunciava a proporre una terapia fondandola su un'arcigna base filosofica, Giovenale non crede che la sua poesia possa influire sul comportamento degli uomini, che ritiene irrimediabilmente corrotti, la sua satira si limita a denunciare, con una protesta astiosa, senza illusioni di riscatto. Giovenale rifiuta dì adeguarsi alla tradizione satirica precedente, il suo rifiuto è globale e investe il pensiero moralistico latino che si fonda su un adattamento alla società romana del grande patrimonio di topoi della filosofia cinico-stoica. Giovenale rifiuta le risposte di tale morale consolatoria, che insegna a restare indifferenti di fronte alle cose concrete, esteriori, a guardarle con ironia e distacco e a coltivare invece i beni interiori, a perseguire una superiore nobiltà dello spirito. Nel rifiuto di Giovenale v’è il rancore dell'emarginato che si vede escluso dai benefici che la società elargisce ai corrotti e costretto all'umiliante condizione del cliente ed è offeso nel vedere il vizio e la colpa premiati. L'astio sociale ed il risentimento sono componenti essenziali della satira di Giovenale, che nella vita quotidiana della capitale dell'Impero vede continuamente mortificati i valori morali e politici della tradizione.

A Giovenale, incapace di interpretare il tumultuoso sviluppo della società contemporanea, resta solamente l'invettiva. Le classi sociali paiono aver perso i loro ruoli secolari, la nobiltà non protegge più la cultura, sul modello del grande mecenatismo augusteo e si degrada nel piacere. La furia del poeta si accanisce contro la volgare arroganza dei nuovi ricchi, lo strapotere dei liberti, l'astuta intraprendenza degli orientali, l'abiezione morale dei letterati esposti al rischio della fame. Bersaglio privilegiato del poeta sono le donne emancipate e libere, che gli ispirano la lunga satira sesta, uno dei più feroci documenti di misoginismo di tutti i tempi. Nonostante la radicale avversione al suo tempo e la rabbiosa protesta contro le ingiustizie, contro l'oppressione e la miseria, l’atteggiamento di Giovenale verso il volgo, verso i rozzi e gli indotti, verso chiunque eserciti attività manuali o commerciali, è di profondo irrevocabile disprezzo. L'orgoglio intellettuale, l'astio nazionalistico contro greci e orientali che con la loro concorrenza danneggiano i clientes romani, istigano il poeta a rivendicare per sé agiatezza e riconoscimenti sociali. Giovenale resta lontano dalla solidarietà sociale e, sentendosi respinto da una società che mortifica e disprezza i suoi valori, tende ad idealizzare nostalgicamente il passato, come un tempo governato da una sana moralità agricola e polemicamente opposto al corrotto presente cittadino. 

La fuga dal presente, l’utopia arcaizzante (motivo topico del pensiero moralistico romano) è l'implicita ammissione della sua frustrante impotenza. Un deciso cambiamento di toni è presente nella seconda parte dell'opera di Giovenale. Negli ultimi due libri, il poeta rinuncia alla violenta indignazione e assume un atteggiamento più distaccato. Riavvicinandosi alla tradizione della satira, Giovenale si volge ad un'osservazione più generale e ad una riflessione più pacata, rassegnata di fronte all'insanabile corruzione del mondo, anche se, a tratti, riaffiora la rabbia.

Lo stile satirico sublime

Mentre, nella tradizione precedente, la satira avendo come oggetto la realtà quotidiana adottava un tono familiare, Giovenale, invece, constatando che il vizio pervade la vita di ogni giorno, respinge il tradizionale stile dimesso adottandone uno simile a quello dei generi letterari tradizionalmente opposti alla satira: l'epica e la tragedia, delle quali, però, Giovenale rifiuta la finzione perché la satira deve essere realistica. La satira di Giovenale, perciò possiede l'altezza di tono e solennità di stile conforme alla violenza dell'indignazione. Giovenale trasforma quindi profondamente il codice formale del genere satirico, recidendo il legame tradizionale con la commedia, bandendo cioè il ridicolo e accostando la satira alla tragedia, sul terreno dei contenuti e dello stile sublime. Un procedimento consueto di Giovenale è il ricorso alle solenni movenze epico-tragiche in coincidenza con i contenuti più bassi e volgari, per sottolineare con l'altezza della forma espressiva la degradazione della materia trattata.

Il suo realismo (che fornisce una ricca documentazione su usi e costumi della vita quotidiana del tempo) ha una forte spinta deformante nel tratteggiare figure e quadri di violenta crudezza. La sua espressione prorompe nell'iperbole e contrappone, con effetto volutamente urtante, toni aulici e plebei, parole alte e oscene, è esatta e ricca di significato, a volte sentenziosa. Nella sua enfasi declamatoria, nella denuncia e nell'invettiva, nella fissità dei suoi bersagli polemici e nel ripetersi dei topoi moralistici, emergono gli influssi delle scuole di retorica e delle declamazioni, ma tali strumenti espressivi sono funzionali alle ragioni ideologiche del poeta. L'opera di Giovenale fu quasi ignorata dagli scrittori del II e III secolo, mentre nel IV secolo ebbe ampia diffusione fra poeti e grammatici con la diffusione nelle scuole, favorita dal carattere spiccatamente moralistico dei suoi versi.

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1 - Il testo in italiano delle Satire con note biografiche sull'autore è reperibile sul sito la-poesia.it

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